Sciopero primo marzo: una richiesta di diritti da portare in Parlamento

di Roberto della Seta e Francesco Ferrante*
Pubblicato su Articolo 21

Le date, i giorni esatti sul calendario, se associati ad un evento che per qualche ragione assume valenza simbolica, sembrano poi quasi vivere di vita propria, evocando ricordi, scenari, battaglie vinte e perse, svolte più o meno importanti.
L’abbiamo visto anche recentemente col 9 novembre, il cui potente potere evocativo associato all’immagine del Muro è universale, spingendo addirittura qualcuno, come il presidente Sarkozy, a voler dire a tutti i costi,  suscitando le ironie degli internauti francesi prima e del mondo poi, c’ero anch’io.
Invece noi, negli anni a venire, vorremmo dire con soddisfazione di essere stati presenti alla Manifestazione del 1° marzo 2010, primo sciopero in Italia e in Europa degli stranieri.
La mobilitazione nasce Francia, dove il 1° marzo del 1963 partì lo storico e durissimo sciopero di 200mila minatori, e dove, il 1° marzo del 2005, è entrato in vigore il cosiddetto codice degli stranieri, la legge che simboleggia la concezione utilitarista dell’immigrazione, cioè l’idea che questo fenomeno epocale sia da valutare esclusivamente con criteri economici.
Il comitato promotore si propone  di organizzare una grande manifestazione non violenta per far capire all’opinione pubblica italiana quanto sia determinante l’apporto dei migranti alla tenuta e al funzionamento della nostra società .
Abbiamo subito aderito, tra i primi parlamentari a farlo, seguiti da un ampio numero di esponenti del Pd e da tutto il nostro partito.
Abbiamo aderito perché rifiutiamo quegli stereotipi veicolati da chi, come la Lega nord e parte del centrodestra italiano, vuole inquinare la convivenza civile nel nostro Paese.
Abbiamo aderito perché un giornale di orientamento politico opposto al nostro ha titolato un articolo, con lo stile che gli è proprio,  ‘Il sindacato vieta lo sciopero ai negri’: un titolo strumentale, grezzo ma che conteneva poi tra le righe del pezzo la verità  ineluttabile, ovvero che è anche grazie agli stranieri che va avanti la baracca. Il primo marzo sarà  dunque il giorno di un’Italia dove chi fa i lavori più duri, quelli che nessuno vuole più fare, quelli che mandano avanti le fabbriche del Nord, i latifondi del Sud e le aziende del Nord-Est si ferma, sciopera, non lavora. àˆ un modo per contarsi e per mandare un segnale: noi ci siamo e siamo utili.
Utili sì, infatti lo sappiamo bene quali siano le realtà  economiche che si basano ormai quasi esclusivamente sulla manodopera straniera, dalle badanti dei nostri anziani ai mungitori indiani. Utili ma vittime di un sistema di accoglienza e integrazione miope, secondo il quale un lavoratore che si ritrova in cassa integrazione col permesso di soggiorno scaduto diventa clandestino e dunque deve abbandonare l’Italia.
Facciamo nostra in tal senso la proposta di allungare il periodo di tempo con cui uno straniero che ha perso il lavoro può continuare a risiedere in Italia che è stata avanzata dal Comitato immigrati di Roma. Lo porteremo avanti in Parlamento insieme alla proposta di legge per l’ adozione dello ‘jus soli’ come criterio fondamentale della cittadinanza, stabilendo che tutti i nati in Italia da genitori stranieri siano cittadini italiani .
Dopo i fatti di Rosarno probabilmente forse non possiamo più dipingerci come ‘italiani brava gente’, e non solo per il comportamento della esasperata popolazione locale, ma anche per quella reazione tiepida da parte dell’opinione pubblica, sicuramente al di sotto della gravità  del fatto.
Dunque mai come adesso abbiamo bisogno di una manifestazione dal grande valore simbolico, che vedrà  cittadini stranieri e italiani uniti insieme per rivendicare quel  sacrosanto diritto all’inclusione piena e completa che spetta a chi contribuisce, col proprio lavoro e la propria cultura, a fare dell’Italia un Paese migliore.
*Senatori Pd

Bonino: Emma siamo con te, ora però interrompi lo sciopero

“La scelta di Emma Bonino di ricorrere allo sciopero della fame e della sete contro la violazione dei diritti democratici consumata in occasione di questa competizione elettorale è una prova in più di quanto la sua candidatura possa dare risposte alte e efficaci al bisogno di legalità  che le cronache ripropongono sempre drammaticamente.”- Lo dichiarano i senatori del Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, aderendo all’appello che loda l’impegno dell’esponente radicale, chiedendole però di interrompere il digiuno.

“Noi ci auguriamo che Emma possa sospendere questa sua iniziativa al più presto, e le confermiamo l’appoggio compatto e convinto degli ecologisti del Partito democratico.” concludono gli esponenti ecodem.

Carceri: suicidi sono atto di accusa contro Stato assente

 

“Nelle carceri italiane è in corso una drammatica e inesorabile strage silenziosa, con già  ben undici persone che dall’ inizio anno  si sono tolte la vita in vari istituti penitenziari del Paese. Non si può rimanere inerti di fronte a questo  fenomeno, perché i suicidi tra le mura degli istituti di pena hanno avuto un aumento esponenziale correlato al sovraffollamento carcerario che è  indegno di un Paese civile. Torno, per l’ennesima volta, a chiedere che il Presidente del Consiglio venga in Parlamento a riferire sulla reale consistenza del fenomeno delle morti in carcere e nei CIE in modo che possano essere concretamente distinti i suicidi dalle morti per cause naturali e da quelle, invece, avvenute per cause sospette.” – lo dichiara il sen. Francesco Ferrante, che presenta per la sesta volta un’interrogazione parlamentare in merito.
 

“E’ necessario – prosegue – che il governo intervenga immediatamente per rendere più umane le condizioni della vita quotidiana nei penitenziari, senza aspettare di costruirne altre, perché da nord a sud si continua a morire di carcere e in carcere, con una frequenza impressionante, tale da far presagire che il drammatico numero di suicidi conteggiato lo scorso anno, 72 persone, possa essere ampiamente superato. Il governo annuncia un  piano carceri che è teso solo a sostenere l’edilizia carceraria  in deroga alle procedure ordinarie, mentre per rendere più umane le condizioni della vita quotidiana nei penitenziari occorre aumentare la pianta organica delle guardie carcerarie, occorre disafollare le carceri attraverso il ricorso, quando possibile, alle pene alternative, che vanno finanziate, e garantendo a chi sta scontando la pena un adeguato sostegno psicologico.
Nessuna impunità  quindi. Ma un meccanismo adeguato per evitare che per una pena si possa morire.
Attendiamo risposte dal governo, che – conclude Ferrante –  deve ricordare che il suicidio di una persona in carcere è un atto di accusa contro lo Stato assente e distante, che è  stato incapace di impedirlo.”

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