Accordo Clima Ue: vince l’ambiente, sconfitto Berlusconi

Ecodem: “Per il Governo di  centrodestra solo una serie di figuracce

“Possiamo scommetterci: il tentativo di Berlusconi e di tutti coloro che lo hanno appoggiato nella sua dissennata campagna contro il pacchetto clima della Ue sarà  quello di accreditare l’idea che le richieste del nostro governo siano state accolte”: Francesco Ferrante degli Ecodem commenta le ultime dichiarazione del Presidente del Consiglio.
 

“Berlusconi è allergico alla sconfitta e prova a spacciare per vittoria quello che è stato un sonoro schiaffo in faccia: l’accordo sul pacchetto clima della ue che si sta profilando in queste ore  rigetta tutte le richieste più pericolose provenienti da parte del nostro Governo. Si tratta invece di un passo avanti importante, che potrà  persino essere ulteriormente migliorato dal Parlamento Europeo per mettere davvero l’Europa in prima fila nella nuova sfida su cui è impegnato anche Barack Obama: rinnovare il sistema economico e industriale e far fronte alla crisi economica a partire dall’ambiente e dall’energia rinnovabile”.
 

“Invece di cogliere questa opportunità  il governo e Confindustria hanno invece orchestrato una campagna di disinformazione sui costi ‘insostenibili’ del pacchetto clima. Quando la Commissione europea li ha smentiti clamorosamente si è proseguito minacciando veti in realtà  impossibili a meno che non fossero previste clausole di revisione. Anche in questo caso i leader europei non hanno neppure preso in considerazione tali richieste”.
 

“Appare quindi davvero ridicolo – conclude Francesco Ferrante – provare a spacciare per una grande vittoria l’aumento della possibilità  di ricorrere a meccanismi flessibili. Insomma tanto rumore per nulla se non fosse che abbiamo fatto una figuraccia in Europa e che l’Italia si è messa in una posizione di retroguardia proprio nel settore che potrebbe garantire un futuro migliore”.

il pacchetto clima e la miopia italiana

Alla vigilia del decisivo e storico – come lo ha preventivamente definito Barroso – vertice europeo sul “pacchetto clima” è forse utile fare un po’ di chiarezza sui punti ancora in discussione e sulla disastrosa strategia seguita dal Governo Berlusconi che prova in queste ore ad accreditare l’idea di essere uscito dall’isolamento in cui si era cacciato, ma che in realtà  nulla ha ottenuto, fortunatamente, relativamente alle sue richieste iniziali. I tre 20 ormai famosi, da raggiungere entro il 2020 si riferiscono al 20% di miglioramento dell’efficienza energetica, al raggiungimento del 20% di produzione di energia da fonti rinnovabili e alla riduzione del 20% delle emissioni di gas di serra. In parallelo a questo pacchetto si è discusso anche del Regolamento sulle emissioni di anidride carbonica relativamente alle auto, raggiungendo un accordo complessivo su questo tema, fondamentale per tutto il sistema industriale, la settimana scorsa.  E già  qui il Governo italiano ha perso un’occasione. Infatti, come è noto, la nostra industria automobilistica, per la tipologia di modelli prodotti, è la più avanzata in Europa su questo fronte, e quindi sarebbe stato utile, non solo dal punto di vista ambientale e dello stimolo all’innovazione tecnologica ma anche nella pratica di un “sano protezionismo”, se l’Italia avesse giocato un ruolo d’avanguardia nell’approvare gli obiettivi ambiziosi che alla fine la UE si è data e nel definire una road map per raggiungerli che fosse stringente e obbligasse i competitors dell’industria italiana  ad investire molto per colmare il gap attualmente esistente. Invece il nostro Governo è stato inesistente nella trattativa, e non credo casualmente il ruolo di positivo protagonista di questo dossier è stato svolto dall’europarlamentare del Pd Guido Sacconi che era il relatore del provvedimento. Analizzando invece il “pacchetto clima” vero e proprio, sul primo “20” quello sull’efficienza energetica che forse è il più importante ma anche il più debole perché non prevede Direttive che lo rendano davvero obbligatorio e cogente, il Governo Berlusconi si è reso protagonista del capolavoro con cui nel decreto anticrisi presentato la settimana scorsa si prevede la sostanziale cancellazione del miglior provvedimento di incentivazione – il 55% di detrazioni fiscali – che il Governo Prodi aveva approvato nella sua ultima Finanziaria. L’opposizione del Pd, delle associazioni ambientaliste, delle tante imprese che finalmente si stavano lanciando in questo settore forse riusciranno a far recedere Tremonti da questa malsana intenzione. Resta il gesto, significativo di una cultura che appare impermeabile alla richiesta di innovazione che sale anche da quel tessuto di piccole e medie imprese più innovative.

Sul secondo “20” , quello relativo alle fonti rinnovabili, la figuraccia di Berlusconi e dei suoi Ministri è stata poi epica: hanno urlato e minacciato veti chiedendo un’improbabile revisione al 2014 degli obiettivi da raggiungere, e se ne sono tornati a casa con un pugno di mosche in mano. Come era ovvio e prevedibile gli obiettivi finali non si toccano né ora , né nel 2014 quando, ovviamente, si farà  una verifica esclusivamente sulle modalità  previste per raggiungerli. Ancora un’occasione persa: quello raggiunto ieri sulle fonti rinnovabili è davvero un accordo storico, un volano di sviluppo straordinario per un settore industriale che già  oggi nella sola Germania occupa più di 250.000 persone e che in Italia, grazie anche alle favorevoli condizioni climatiche, potrà  avere uno sviluppo impetuoso se solo il Governo la smettesse di remare contro e, ad esempio, emanasse il decreto attuativo della riforma degli incentivi alle rinnovabili che facemmo approvare con l’ultima Finanziaria del nostro governo, e che giace ormai da mesi in qualche cassetto del Ministro Scajola.

Infine sul terzo “20”, quello sulla riduzione delle emissioni di gas di serra su cui si è concentrata la campagna di retroguardia scatenata dal Governo e dai suoi corifei – inventando mirabolanti cifre sui costi puntualmente smentite dalla Commissione – , quello su cui le trattative sono ancora aperte e che, auspicabilmente, troverà  una sua conclusione nel vertice di oggi e domani, mentre appaiono ridicoli i nostri Ministri quando si vantano di avere ottenuto che venissero considerati i meccanismi flessibili che in realtà  nessun paese aveva mai messo in discussione, i punti essenziali per misurare efficacemente i costi e i benefici che ne avrebbe il nostro sistema industriale sono tre: quali le concrete modalità  di applicazione per il settore manifatturiero, quali quelle per il settore termoelettrico, che ricadute avrà  sul nostro tessuto di piccole e medie imprese. E ancora sull’ultimo punto, il compromesso che si profila – esentare da qualsiasi obbligo quegli impianti che stanno sotto il limite delle 5mila tonnellate annue di emissioni di CO2 – è una soluzione che protegge adeguatamente il nostro sistema, in cui è stato decisivo il ruolo giocato dalla delegazione del Pd in Parlamento e non certo quello del nostro Governo, distratto e impegnato solamente in una battaglia che lo vedrà  sconfitto sul settore termoelettrico. Chiedere come hanno fatto i nostri Ministri che vengano assegnate quote di emissioni gratuite di gas di serra ai produttori di energia elettrica vanificherebbe di fatto tutta l’architettura prevista dal pacchetto e si rinuncerebbe ad ogni innovazione in questo settore decisivo. E’ auspicabile e probabile che Sarkozy e gli altri leader sbattano la porta in faccia a Berlusconi e alla nostra Confindustria che si sono ostinati in questa richiesta che non era nemmeno condivisa dall’organizzazione che raggruppa tutte le Confindustrie europee che giustamente, dal loro punto di vista, si concentravano invece sulla trattativa per prevedere un passaggio più graduale per alcuni settori del manifatturiero che altrimenti sarebbero a rischio di delocalizzazione. Questa era una battaglia giusta e se il Governo non avesse avuto un approccio ideologico e miope avrebbe potuto essere molto più efficace. Per fortuna è probabile che anche in questo caso la trattativa finirà  bene, ma paradossalmente avrà  fatto molto di più per il nostro sistema industriale la posizione e l’autorevolezza della Merkel che non i nostri Ministri guidati dall’improvvisazione e dall’approssimazione dovuta alla mancanza di conoscenza degli argomenti trattati.

 

Un po’ di sano moralismo

Mentre sul tema della collocazione europea impazza nel Pd un dibattito dai toni vagamente necrofili – questo che a tutti i costi vuole “morire socialista”, quell’altro che rabbrividisce soltanto all’idea -, dibattito che sembra interessare molto un ristretto ceto politico e molto poco i cittadini, il nostro partito è sotto i riflettori non proprio edificanti di media e opinione pubblica perché lambito da una serie di inchieste giudiziarie su ipotesi di commistioni tra affari e politica. 

Sul primo punto, due osservazioni. Chi ha scelto liberamente e consapevolmente di dare vita al Pd, cioè ad un partito che raccoglie ex-comunisti, ex-socialisti, ex-democristiani, ex-liberali, ex-verdi, e che si propone di fondare un riformismo “di nuovo conio” calato nei problemi e nelle sfide del XXI secolo, doveva sapere che a valle di questa scelta non sarebbe “morto” politicamente né socialista né liberale né popolare, ma democratico. E in particolare, fa un po’ sorridere questo attaccamento viscerale, ombelicale, di alcuni dirigenti ed esponenti del Pd provenienti dalle fila dei Ds a una famiglia politica europea che è diventata “casa loro” solo da qualche anno. 

Sull’altro problema, la “questione morale” dentro il Pd, va intanto segnalato il totale strabismo di un sistema dell’informazione che sembra capace di indignazione civile solo se e quando il bersaglio è la sinistra. Malattia, si badi, che contagia quasi tutti: i giornali vicini al centro-destra, ma questo non sorprende, i grandi quotdiani e periodici di informazione, persino i campioni dell’anti-politica come Beppe Grillo, mai stato così silente come dopo il ritorno al potere di Berlusconi. 

Detto questo, nessun dubbio che una “questione morale” nel Pd si ponga, e che vada presa sul serio e presa di petto. Walter Veltroni ha ragione: la grande maggioranza di chi fa politica nel Partito Democratico – eletti, amministratori – la fa con passione civile e convincimento etico. Ma questa maggioranza non deve restare silenziosa, deve fare un passo avanti e contrastare, alla luce del sole, l’abitudine, coltivata da troppi nel nostro partito, a ridurre la politica – citiamo dalla celebre intervista di Enrico Berlinguer a Eugenio Scalfari di quasi tre decenni fa – a una “macchina di potere e di clientela”. Che pure oggi accada spesso così – lo ripetiamo: non solo nel Pd ma anche nel Pd – è incontestabile: per reagire non occorre aspettare l’esito delle inchieste della magistratura. 

Moltissimi che hanno votato il 14 ottobre 2007 per la nascita del Pd, l’hanno fatto convinti della necessità  di un partito nuovo. Che non guardasse alle vecchie appartenenze ma nemmeno replicasse i metodi più impresentabili della consuetudine politica italiana. Se questo non sarà  si allontaneranno, tanti di loro hanno già  perso fiducia ed entusiasmo: e la loro delusione sarà  la premessa del nostro fallimento. 

E’ moralismo questo? Può darsi, ma parafrasando Bertolt Brecht, beato quel Paese, e quel partito, che non hanno bisogno di un bel po’ di moralismo. 

 

ROBERTO DELLA SETA 

FRANCESCO FERRANTE

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