In questi giorni – proprio a ridosso del G8 Ambiente che si tiene a Siracusa – si sta consumando una vicenda che mette a serio rischio la possibilità per il nostro Paese di rispettare gli obblighi internazionali di riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Dieci giorni fa il Parlamento, votando l’ennesima fiducia su un decreto “monstre” in cui il Governo e la maggioranza hanno ficcato tutto e di più, ha approvato un comma, palesemente incostituzionale perché lede l’autonomia delle Regioni, in cui si prevede che per la riconversione a carbone di centrali elettriche si possono ignorare le normative regionali. E’ un modo nemmeno così nascosto per consentire la riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle, fino ad oggi bloccata nella procedura di valutazione di impatto ambientale perché la legge regionale veneta istitutiva del Parco del Delta del Po (dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco), comprensibilmente impone che le centrali elettriche in quella zona possano essere riconvertite solo ricorrendo a combustibili meno inquinanti di quelli in uso. Di fronte a questo impedimento legislativo, Berlusconi e la sua maggioranza, come spesso capita, non hanno trovato di meglio che autorizzare per legge l’illegalità : così il 29 aprile, alla prossima riunione, la Commissione Via del Ministero dell’Ambiente nominata dal Ministro Prestigiacomo darà prevedibilmente il suo via libera, ignorando peraltro il formale “richiamo” che ci ha inviato l’Unione Europea sull’inquinamento da polveri che attanaglia l’intera Pianura Padana. Ma la conversione a carbone della centrale di Porto Tolle non solo comporterà impatti devastanti per il delicato ambiente del Delta del Po, come il passaggio di 3000 chiatte all’anno per portare il carbone all’impianto, e non solo contribuirà all’aumento dell’inquinamento da polveri pericolosissimo per la salute; aggiungerà anche ben 10 milioni di tonnellate di CO2 alle emissioni italiane, allontanandoci dagli obiettivi di riduzione vincolanti che abbiamo sottoscritto a livello internazionale prima ratificando il Protocollo di Kyoto e poi sottoscrivendo il pacchetto clima dell’Unione Europea. Il carbone tra i combustibili fossili è infatti quello peggiore in termini di contributo ai cambiamenti climatici: le 12 centrali a carbone attive in Italia hanno prodotto nel 2007 il 14% del totale dell’energia elettrica a fronte di un’emissione del 30% dell’anidride carbonica emessa per la produzione complessiva di elettricità . Anche avvalendosi delle migliori tecnologie oggi disponibili, gli impianti a carbone determinano emissioni più che doppie rispetto a quelle di una centrale a gas a ciclo combinato: per ogni KWh di energia elettrica da carbone si emettono oltre 770 grammi di CO2 contro i 365 di un ciclo combinato a gas. Conosciamo l’obiezione avanzata da alcuni per cui non sarebbe “realista” rinunciare ad accrescere il peso del carbone sul nostro mix elettrico, soprattutto in un periodo di crisi, visto che il carbone costa meno del petrolio e del gas. Invece la strada da percorrere, almeno sino a quando le sperimentazioni sul sequestro di anidride carbonica connesso agli impianti a carbone faranno qualche concreto passo avanti, è davanti ai nostri occhi ed è molto più realistica perché tiene conto non solo dei profitti a breve termine dei produttori di energia, ma si fa carico dell’intero sistema e può produrre insieme ricchezza, posti di lavoro e futuro migliore. La strada si chiama efficienza energetica e fonti rinnovabili: è la strada che hanno deciso di imboccare Obama e tutti i maggiori Paesi europei, e che solo la maggioranza di centrodestra italiana , ostinatamente negazionista nei confronti dei mutamenti climatici, si ostina ad ostacolare. Quanto sia questa seconda via sia la vera “real-politik” è confermato dai recenti dati sulla produzione elettrica italiana nel 2008, anno in cui ha cominciato a dare i suoi frutti la riforma delle incentivazioni previste per le fonti rinnovabili. Ebbene quella riforma, che seguiva princìpi europei, approvata durante il Governo Prodi sotto l’impulso di noi ecologisti democratici, ha permesso uno spettacolare balzo in avanti del 20% della quota di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (da 48 TWh del 2007 siamo passati a 57,5 TWh nel 2008) che ora contribuiscono per il 17% al totale della richiesta di energia elettrica nel nostro Paese. Si può fare. Speriamo che a Siracusa nel confronto con gli altri Paesi il nostro Governo capisca l’errore che sta commettendo, e che magari, anche considerando il “warning” dell’Unione Europea sulle polveri e recependo le proteste degli enti locali sull’esproprio delle proprie competenze, si possa fermare in extremis questa nefasta riconversione.
Francesco Ferrante
Roberto Della Seta