Ieri il Senato ha completato l’approvazione a maggioranza, col voto contrario del Pd, del complesso di norme che consentirebbero il ritorno al nucleare in Italia. Da quando è nato il governo Berlusconi, questo obiettivo è indicato da molti esponenti del centrodestra, in particolare dal ministro Scajola, come la panacea per i problemi energetici dell’Italia. Forse nel mondo solo il presidente iraniano Ahmadinejad e l’ex-presidente dell’Enel Chicco Testa sono più fissati di Scajola con il nucleare.
Diciamo subito che parlare concretamente di nucleare per il Pd e per noi ecologisti democratici non è una bestemmia. Del resto dal referendum del 1987 moltissimo è cambiato anche rispetto al rapporto tradizionalmente non facile tra ambiente ed energia: allora il nucleare era visto come la minaccia più grande per l’ambiente, oggi c’è una minaccia, meglio un processo già in atto, ben più temibile e globale come sono i cambiamenti climatici. Oggi ridurre le emissioni che alimentano i cambiamenti del clima, dunque ridurre i consumi di petrolio e di fossili, è una priorità e un’urgenza assoluta: per l’Italia il nucleare non serve affatto a questo scopo, ma per esempio è importante che per preparare un futuro senza petrolio, nel mondo e anche in Italia venga intensificata la ricerca per arrivare alla fusione nucleare o a una fissione davvero sicura.
Il punto è che la destra italiana agita la bandiera nucleare a modo suo, cioè per mero spirito di propaganda. Tace del tutto sui problemi irrisolti del nucleare – le scorie, i costi esorbitanti, i rischi di proliferazione -; propone procedure di tipo quasi militare per scegliere i siti e gestirli negando ai cittadini l’accesso alle informazioni che riguardano i nuovi impianti; ignora i veri nodi da sciogliere per dare all’Italia una politica energetica rinnovata ed efficace: come incentivare l’efficienza energetica, come colmare il gap rispetto ai grandi Paesi europei sulle nuove rinnovabili, come spingere la ricerca sulle nuove tecnologie energetiche dal sequestro di CO2 all’idrogeno.
Negli ultimi mesi questa mancanza di serietà e questa povertà di idee sono divenute ancora più lampanti. Perché dall’agosto 2008 sono successe nel mondo cose importanti. Da gennaio gli Stati Uniti hanno un nuovo presidente che parla pochissimo di nucleare e invece ha messo al centro dei suoi obiettivi di governo il decollo delle nuove energie e un programma straordinario per il risparmio energetico nell’edilizia e nei trasporti, di cui è parte integrante la stessa scelta di puntare sulla Fiat come partner di Chrisler. E poi da alcuni mesi è arrivata una terribile crisi economica, e tutti i Paesi più grandi ed importanti alla crisi hanno risposto puntando sulla “green revolution” dell’efficienza energetica e delle fonti pulite. Secondo uno studio recente di Hsbc, uno dei maggiori gruppi bancari del mondo, nell’Unione europea oltre metà delle risorse pubbliche anti-crisi sono finalizzate all’innovazione energetico-ambientale, mentre in Cina la percentuale è del 37% e negli Stati Uniti è di quasi il 15%. Bene, anzi male, perché in Italia solo l’1% dei fondi pubblici anti-crisi è stato impegnato in questa direzione.
A riprova di questo ostinato immobilismo, ecco un elenco parziale dei passi indietro e dei passi falsi accumulati dal governo Berluscoini e dalla sua maggioranza in tema di energia: il tentativo di cancellare gli incentivi del 55% alle ristrutturazioni degli edifici a fini di risparmio energetico, poi fortunatamente rimangiato; il tentativo di boicottare l’accordo europeo sul clima, anch’esso fallito ma che certo non ha giovato all’immagine internazionale del nostro Paese; le norme che autorizzano la riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle e l’ampliamento di tutti gli impianti a carbone in deroga alle leggi esistenti; la cancellazione della messa al bando decisa dal governo Prodi di elettrodomestici e lampadine a bassa efficienza, che sarebbe scattata dal prossimo gennaio; l’approvazione in Senato di una mozione in cui si dice che i cambiamenti climatici non esistono e che se ci fossero darebbero più benefici che danni.
A fronte di tutto questo, resta come sola proposta in positivo il ritorno al nucleare. Si vuole discutere di nucleare? Bene, ma lo si faccia lasciando da parte la demagogia e badando ai fatti.
I fatti dicono che costruire una centrale è molto costoso e che per questo le nuove centrali si fanno quasi soltanto in Paesi dove gli investimenti li paga lo Stato. Dicono che se l’Italia realizza 4 centrali per un totale di 6400 MW, come annunciato da Scajola, questo costerà al sistema Paese non meno di 20/25 miliardi e che il contributo di queste quattro centrali ai consumi di energia sarà inferiore al 5%. Dicono, soprattutto, che ripartire col nucleare non serve a ridurre la dipendenza dal petrolio (il petrolio non viene quasi più utilizzato per produrre elettricità ), non serve a fronteggiare la crisi economica (i cantieri non apriranno prima di cinque anni) e non serve ad affrontare la crisi climatica (i nuovi impianti entrerebbero in funzione dopo il 2020, mentre secondo gli scienziati gli anni decisivi per fermare il “global warming” sono i prossimi dieci/quindici).
La verità è che per affrontare le tre crisi globali nelle quali anche l’Italia è coinvolta – crisi economica, crisi climatica, crisi energetica – il nucleare per il nostro Paese è un’arma completamente spuntata. Però è un’arma costosissima, per fabbricare la quale dovremo inevitabilmente rinunciare alle cose più utili, più efficaci, più tempestive. Come ha detto recentemente Al Gore, “la buona notizia è che le iniziative di grande portata necessarie a porre rimedio alla crisi del clima sono esattamente le stesse che occorre intraprendere per risolvere la crisi economica e la crisi della sicurezza energetica”. La cattiva notizia, invece, è che il governo italiano non se n’è accorto.