Protezione civile: un andazzo lungo dieci anni

C’è un fastidioso retrogusto di ipocrisia e di doppia coscienza nella “nostra” reazione indignata – “nostra” nel senso di Pd, di giornali vicini al centrosinistra – di fronte alla degenerazione della Protezione Civile in “braccio separato” dello Stato che prepara, organizza, gestisce eventi di ogni tipo secondo procedure straordinarie e sulla base non di leggi, come tali votate dal Parlamento, ma di ordinanze, cioè di semplici atti amministrativi.

Noi ci ritroviamo del tutto in ciò che ha scritto sull’argomento Eugenio Scalfari nel suo editoriale su la Repubblica di domenica scorsa: “Non si è accorto Bertolaso – così Scalfari – che l’estensione della Protezione Civile ai Grandi eventi del tutto disconnessi dalle catastrofi causate dalla natura o dagli uomini , era al di sopra della possibilità  di un regolare servizio?”. Scalfari ha pienamente ragione anche a sottolineare che la pratica di applicare lo strumento delle ordinanze emergenziali a eventi prevedibilissimi e programmati con anni di anticipo, ha subìto un’ulteriore, preoccupante accelerazione durante i due anni di quest’ultimo governo Berlusconi, a partire dalla scelta di concentrare un una stessa persona le due funzioni di responsabile politico e di capo amministrativo della Protezione Civile.

Solo che a questo abuso sempre più largo dello strumento dell’emergenza per gestire eventi ordinari, a questo progressivo scivolamento della Protezione Civile verso compiti per essa impropri, anche il centrosinistra ha dato una bella mano. Dov’eravamo quando sono stati dichiarati “grandi eventi” la Presidenza italiana del G8, il 150° anniversario dell’Unità  d’Italia, l’Expo 2015? Eravamo al governo. Com’eravamo al governo quando sono state emanate molte delle ordinanze di protezione civile relative ai Mondiali di ciclismo del 2008 e ai Mondiali di nuoto del 2009, e in tanti casi in cui è stata prorogata la gestione commissariale dei rifiuti in Campania.

Troppi nostri compagni di partito, troppi commentatori oggi durissimi contro questa deriva, soltanto adesso si sono accorti di un andazzo che dura da almeno un decennio. E non per fare i primi della classe: ma evidentemente tutti costoro sonnecchiavano quando noi e altri insieme a noi – che da qualcuno anche dentro il Pd veniamo additati come “quinta colonna” di Bertolaso perché ci preme salvare il buono, ed è tanto (anche per merito del lavoro di Bertolaso), del sistema della protezione civile italiana – da tempo andavamo ripetendo che i grandi eventi non c’entrano nulla con la protezione civile, che a gestirli a colpi di ordinanze e di deroghe si riduce sensibilmente le possibilità  di un efficace controllo di legittimità  sui modi di tali gestioni.

Per carità , cambiare idea è sempre legittimo e in questo caso può essere salutare. Ma bisogna riconoscerlo, bisogna dire che è stato un errore, per chiunque l’abbia fatto, coltivare o assecondare questa prassi delle emergenze artificiali, così contribuendo a far crescere un ircocervo che nelle mani di Berlusconi è diventato decisamente un mostro.  E dobbiamo metterci in testa che la via per dare maggiore efficacia e speditezza ai processi della decisione amministrativa – un problema vero e serio – si affronta migliorando le regole, non derogando da quelle che ci sono. Questo deve fare anche il Pd: oggi dal suo ruolo di opposizione, per quando sarà  di nuovo forza di governo  impegnandosi, quanto meno, a non decidere a tavolino qualche nuova finta emergenza.

 

P.S. A proposito dell’inchiesta sulla Protezione Civile e del modo in cui la stampa ne ha riportato i contenuti: qualcuno dei giornalisti, spesso firme autorevolissime come Gad Lerner, che con certezza granitica hanno rappresentato la “Francesca” citata nelle intercettazioni come una puttana, le chiederanno scusa se si confermerà  che è “solo” una fisioterapista?

 

ROBERTO DELLA SETA    

FRANCESCO FERRANTE

Binetti: stop a transfughi che tradiscono fiducia degli elettori

“No a Parlamento come album figurine Panini”. 

“Basta con un Parlamento che sembra un album delle figurine Panini, dove non si sa più chi gioca con chi perché c’è stato il mercato invernale.  Basta con i transfughi che cambiando treno in corsa aderiscono ad un gruppo concorrente di quello che li ha fatti diventare parlamentari, e così tradiscono la fiducia degli elettori.  Bisogna mettere un freno a questa campagna acquisti indecente, che alimenta negli italiani l’idea, in questo caso più che giustificata, che la politica è solo opportunismo e convenienza personale”. Lo dicono i senatori del Pd Francesco Ferrante e Roberto Della Seta, preannunciando un disegno di legge costituzionale che, modificando l’articolo 67 della Costituzione,  non consenta al parlamentare di approdare in corso di legislatura ad un gruppo che al momento delle elezioni era concorrente rispetto a quello che lo ha eletto.
“E’ assolutamente legittimo – continuano i senatori Pd –  esprimere il proprio dissenso e il proprio disagio rispetto alle scelte e alle azioni del proprio partito e gruppo parlamentare, anche distaccandosene per dare vita a nuove aggregazioni. Ciò che invece è intollerabile è la scelta di chi, eletto in una lista, durante il mandato cambi casacca e indossi quella di un altro partito o gruppo. Il comportamento di  Paola Binetti, e prima di lei di Carra, Lusetti, Dorina Bianchi vìola ogni minimo criterio di etica della responsabilità  pubblica, ed è tanto più grave visto che con l’attuale legge elettorale i parlamentari non vengono scelti dai cittadini, ma nominati dai loro partiti. Insomma, Paola Binetti è intellettualmente disonesta se finge di non sapere che è in Parlamento grazie anche ai voti di chi, sebbene lontanissimo dalle sue idee, l’ha votata solo perché presente nelle liste di un partito, il Pd, che fin dalla nascita ha compiuto la scelta del pluralismo”.
Per Ferrante e Della Seta, “questa pratica di trasformismo, che oggi colpisce soprattutto il Pd ma in passato ha riguardato molti altri partiti e schieramenti, va fermata modificando l’articolo 67 della Costituzione, e interpretando in senso più restrittivo il principio della libertà  di mandato dei parlamentari. Un deputato o un senatore siano liberi di aderire al gruppo misto o ad un nuovo raggruppamento, non di passare con una ‘squadra’ avversaria”. 

Kyoto Club: in attesa di un accordo globale sul clima, i Governi puntino sui efficienza energetica e rinnovabili

Gli impegni sul clima dei grandi paesi, le difficoltà  di arrivare a breve ad un accordo vincolante, la richiesta delle imprese italiane al Governo di sostenere la ‘green economy’ emersa da un sondaggio realizzato dal Kyoto Club, sono stati alcuni dei temi al centro del convegno “Dopo Copenhagen. Le sfide energetiche e ambientali del 2020”, svoltosi oggi a Roma.

Dopo il deludente esito della conferenza sul clima di Copenaghen dello scorso dicembre «ci troviamo di fronte alla prospettiva di una lunga fase di tessitura della tela diplomatica», ha detto Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club, nel corso del convegno organizzato a Roma dall’Associazione, dal titolo “Dopo Copenhagen. Le sfide energetiche e ambientali del 2020” (presso la Sala della Protomoteca del Campidoglio).
Rispetto alle ottimistiche aspettative che avevano preceduto il summit danese oggi sembra sia mutata l’atmosfera e, quindi, arrivare ad un accordo globale vincolante è un processo tutto in salita.
A questo proposito è utile riassumere le proposte in campo dei paesi chiave della trattativa sul clima: Stati Uniti, Unione Europea e Cina.
Gli Stati Uniti, al momento, hanno dichiarato un impegno a tagliare le emissioni del 17% rispetto al 2005, una percentuale che si riduce al 4% se il riferimento è fatto sul 1990. A questa data di riferimento la riduzione della CO2 per l’UE è di almeno il 20% (target legalmente vincolante). Tuttavia se il paragone è rispetto al 2005, il taglio degli Usa diventa superiore a quanto indicato dall’Europa.
La Cina, che insieme agli Usa è responsabile del 40% delle emissioni mondiali, ha dato la sua disponibilità  a ridurre al 2020 l’intensità  delle emissioni di anidride carbonica (emissioni per unità  di Pil) del 40-45%. Questo obiettivo non si discosta molto rispetto al trend del passato, anche se l’impegno non sarà  irrilevante a causa dell’aumento del peso delle industrie energivore. In ogni caso, visti i tassi di crescita dell’economia, le emissioni di CO2 cinesi saranno più che raddoppiate alla fine del decennio, malgrado la riduzione dell’intensità  di carbonio.
Se si considerano, poi, tutte le proposte di riduzione degli altri paesi, industrializzati ed emergenti, molti studi arrivano alla conclusione che così si raggiungerebbe un livello di concentrazione di gas serra in atmosfera tale da provocare un aumento della temperatura media globale stimabile in 3-3,5 gradi centigradi, molto distante da quella “soglia critica” dei 2°C rispetto ai valori pre-industriali (uno dei pochi punti fermi dell’Accordo di Copenhagen) che potrebbe invece scongiurare conseguenze catastrofiche sia a livello ambientale che economico.
Di fronte allo stallo della politica e agli interessi delle superpotenze un fatto nuovo sembra però affermarsi ovunque: la crescita della ‘green economy’. «à‰ forse questo l’unico comparto che ha superato quasi indenne la crisi economica, malgrado non siano mancati anche qui morti e feriti», ha detto Silvestrini. «Solo per fare un esempio, le potenze del fotovoltaico e dell’eolico installate nel mondo nel 2009 – continua il direttore scientifico del Kyoto Club – hanno fatto registrare valori record rispetto all’anno precedente e in Europa il 61% di tutta la nuova potenza elettrica installata è da fonti rinnovabili, una quota inimmaginabile solo pochi anni fa».
Nel corso del Convegno è stato presentato un sondaggio curato dal Kyoto Club e rivolto alle imprese con l’obiettivo di ottenere impressioni e valutazioni sugli sviluppi post-Copenhagen. E’ interessante notare come il 54% degli intervistati non ritenga che il ritardo o la mancanza di accordi internazionali quantificati e vincolanti possa influire in modo determinante sulle decisioni di investimento nelle nuove tecnologie e nelle energie rinnovabili. Piuttosto, l’andamento di questi mercati è maggiormente legato all’innovazione tecnologica e all’evoluzione della crisi economica.
Dal sondaggio (che non aveva il carattere di scientificità  ma che ha comunque registrato un alto numero di risposte, 120), la stragrande maggioranza degli intervistati (92%) ha dichiarato che spetterà  ai singoli Governi assumere l’iniziativa, con misure e azioni coerenti sia con l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro i 2°C, sia con quello di rendere più competitivo il mercato nazionale. 
«I risultati più interessanti del sondaggio – ha commentato Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club – sono quelli che confermano che nel nostro Paese è già  presente una diffusa realtà  imprenditoriale, soprattutto costituita da piccole e medie imprese, che sta già  scommettendo su un futuro “low carbon” e che basa la propria sfida competitiva sull’innovazione tecnologica e la sostenibilità  ambientale. Purtroppo queste realtà  non sono ancora adeguatamente rappresentate e non vengono abbastanza ascoltate dalla politica. Ma è questa la strada da percorrere se vogliamo correre insieme agli altri Paesi europei incontro al futuro».
Kyoto Club è un’organizzazione non profit, costituita da imprese, enti, associazioni e amministrazioni locali, impegnati nel raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas-serra assunti con il Protocollo di Kyoto e quelli al 2020 resi obbligatori con il pacchetto europeo clima-energia.
A questo scopo, Kyoto Club promuove iniziative di sensibilizzazione, informazione e formazione nei campi dell’efficienza energetica, dell’utilizzo delle fonti rinnovabili e della mobilità  sostenibile.

 


 

 

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