Articolo sul Fatto Quotidiano di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante –
Spesso si sente dire a sinistra: com’è stata possibile in così breve tempo una così radicale “mutazione genetica” del Pd, finito – quasi senza colpo ferire – sotto il controllo esclusivo di Matteo Renzi? La risposta non può essere soltanto nel leggendario istinto trasformista delle élite politiche italiane, che pure ha contato parecchio (con casi persino comici: come Migliore, trasformatosi in sei mesi da capogruppo di Sel alla Camera in ultrà renziano relatore dell”Italicum”). In realtà , a guardarla bene la discontinuità tra la vecchia sinistra di derivazione Pci, simboleggiata meglio di tutti da D’Alema, e il “Pdr”, il “Partito di Renzi” , è assai meno profonda di quanto appaia a prima vista. Per capirlo basta fermarsi su un paio di figure “cerniera” di questo processo, quasi degli “anelli mancanti” nella catena di passaggi e trasformazioni che hanno condotto dal dalemismo al renzismo.
Il primo “anello mancante” è Matteo Orfini, da circa un anno presidente del Pd. Forse senza volerlo, è stato lo stesso Orfini a rivelare che oggi, nel suo nuovo ruolo di attendente di Renzi, la pensa più o meno allo stesso modo di quando “attendeva” a D’Alema. Preoccupato che qualcuno potesse equivocare le sue dichiarazioni contro De Gennaro dopo la sentenza europea sui fatti di Genova del 2001, ha chiarito che lui con i “no global” non ha mai avuto niente a che fare. Orfini: nessuno aveva dubbi! La sinistra (si fa per dire) di D’Alema non ha mai avuto niente a che fare con pensieri e movimenti che contestano lo “status quo”: in questo la continuità con la sinistra (si rifà per dire) di Renzi è perfetta. Il problema, va detto, non è solo italiano. Vi è un’immagine che descrive meglio d qualunque discorso la bancarotta politica e culturale di questa sinistra “embedded”, è la foto di gruppo dei leader che parteciparono al vertice del G8 nel giugno 1999 a Colonia: tutti politici di centrosinistra a partire dal succitato D’Alema, primattori di quella “sinistra di governo” rimasta totalmente e volutamente estranea alle domande di cambiamento – lotta allo strapotere della finanza, diritti, ambiente, beni comuni – che in quegli stessi anni segnavano la stagione dei movimenti altermondialisti.
D’altra parte, lo stesso Renzi ha mutuato e mette in pratica alla grande molte ricette tipiche dei dalemiani, a cominciare da un atteggiamento sistematicamente supino verso quei pochi poteri davvero “forti” che sopravvivono in Italia. Le prove di quest’altra continuità abbondano: dalle nomine ai vertici delle principali aziende pubbliche – al posto di Scaroni il suo braccio destro Descalzi, De Gennaro confermato a Finmeccanica, Luisa Todini messa a capo delle Poste – alla proroga delle concessioni autostradali che ha regalato 14 miliardi ai “signori delle autostrade”, dal piano-trivellazioni agognato dall’industria petrolifera agli ultimi decreti Ilva che continuano a sacrificare il diritto alla salute dei tarantini in nome del profitto degli oligopoli siderurgici.
Un’ennesimo “test” di continuità tra D’Alema e Renzi è recentissimo: la promozione di Claudio De Vincenti a vice-Renzi in sostituzione di Del Rio. Ecco, anche De Vincenti si può considerare un “anello mancante”: presentato su molti giornali come esponente della “sinistra Pd” per la sua vicinanza a Bersani, in realtà è un autorevole e assai competente rappresentante di quell’establishment post-comunista che ha sempre schifato come la peste ogni visione, ogni prospettiva che chieda cambiamenti radicali nelle politiche economiche e sociali. Per citare un solo esempio, De Vincenti è stato un irriducibile avversario dei referendum sull’acqua pubblica, e da sottosegretario e poi viceministro ha cercato in ogni modo di evitare che il risultato di quel voto – un plebiscito a favore dell’acqua “bene comune” – fermi la privatizzazione dei servizi pubblici locali.
Da decenni la scienza evoluzionista ha abbandonato la ricerca dell”anello mancante” in un’ipotetica catena che dagli antichi primati arriva fino all’uomo. Non esiste l’”anello mancante”, l’evoluzione non è un processo lineare. Si può dire lo stesso nel caso del Pd: nessuna “mutazione genetica”, nessun “anello mancante”. Il renzismo, per dirla con Clausewitz, non è che la prosecuzione del dalemismo con altri mezzi.