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Qualcuno, o forse tutti, all’interno del Governo devono avere pensato che l’escamotage migliore per uscire dal pasticcio nucleare in cui si erano cacciati fosse ricorrere a quello che in un primo momento era sta chiamata “pausa di riflessione” e poi più pomposamente “moratoria”. Fatto sta che mercoledì 23 marzo 2011 il Governo Berlusconi entra in Consiglio dei ministri come l’ultimo governo occidentale a voler impiantare delle centrali atomiche e ne esce per forza di cose senza uno straccio di politica energetica. Sempre nel corso del medesimo Consiglio dei Ministri viene stabilito che il referendum che proporrà agli italiani il quesito sull’abolizione della legge, de facto defunta, per il ritorno all’energia atomica in Italia si terrà nella data quasi balneare del 12 e 13 giugno: la paura che si raggiunga il quorum evidentemente cresce. Il combinato disposto della furbata dei dodici mesi di moratoria e dei 24 mesi per l’elaborazione della strategia nucleare, ovvero a scadenza delle legislatura danno la misura di quanto la questione nucleare fosse diventata ingombrante per il Governo. Nel provvedimento correttivo al decreto 31 sulla localizzazione dei siti, la strategia era infatti prevista originariamente a distanza di tre mesi dall’approvazione del provvedimento. Ora, con l’approvazione della moratoria di un anno, il termine per la definizione del piano programmatico e’ invece spostato ulteriormente in avanti a 24 mesi. Si prende tempo, e si cerca di depotenziare il referendum, cercando di togliere dal tappeto l’orientamento sul nucleare che in vista delle prossime amministrative avrebbe pesato come un macigno sulle spalle dei candidati di centrodestra chiamati ai soliti equilibrismi. Certo, ammettere che il rilancio nucleare italiano era già morto prima di nascere e sbattere subito la porta in faccia alla lobby che già si stava fregando le mani al pensiero di tutti quei miliardi di euro di soldi pubblici necessari al programma nucleare era un po’ troppo per questo Governo in questa ottica vanno lette le dichiarazioni di qualcuno che parla ancora di decisioni da ponderare e non da assumere sull’onda dell’emotività . Forse allora l’emotività deve aver travolto il cancelliere Angela Merkel, che quasi in contemporanea al disastroso Consiglio dei Ministri italiano annunciava testualmente che “la Germania prima esce dal nucleare meglio è”. Una dichiarazione che non deve sorprendere più di tanto, perché da tempo in Germania la gran parte della popolazione è contraria all’energia nucleare, ed anzi aveva suscitato parecchi malumori il rinvio della dismissione degli impianti che era accordato sotto la pressione di alcuni grandi gruppi energetici. Si potrebbe obiettare che per i tedeschi, forti del loro comparto delle energie rinnovabili che va a gonfie vele e che distribuisce energia in maniera diffusa e democratica – il 50% dei pannelli solari è in mano a singoli cittadini – hanno una posizione di vantaggio. Invece è l’Italia, oltre alle note potenzialità nel campo delle rinnovabili, che ha la posizione di assoluto privilegio di partire già da quella opzione zero che il Commissario Ue all’Energia Oettinger ha messo sul tavolo: niente centrali da dismettere, niente costi esorbitanti in materia di sicurezza e smaltimento. Il nucleare è sul viale del tramonto, ce lo dice anche il cancelliere dello stato locomotiva d’Europa. Ascoltiamo lei, una laureata in fisica, e lasciamo perdere gli equilibrismi di chi si è occupato, dai tempi del glorioso “Colpo grosso”, esclusivamente di televisione. |
Francesco Ferrante Roberto Della Seta