Capiamo le cautele del direttore di Europa sul caso Penati: in linea generale ha ragione lui, Penati come qualunque cittadino ha il pieno diritto di utilizzare tutti gli strumenti disponibili per difendersi, prescrizione compresa.
Ma la vicenda che coinvolge l’ex-sindaco di Sesto non si può affrontare solo “in linea generale”. Perché riguarda da vicino anche una intera comunità politica qual è il Pd, investe le sue stesse ragioni fondative. Siamo nati per offrire agli italiani una politica eticamente ripulita dalle tante ombre che oggi, e non solo per colpa del berlusconismo, la offuscano: dunque Penati ha il diritto di difendersi come crede, ma il Pd ha il dovere di dire che se non rinuncia alla prescrizione ciò lo pone inevitabilmente fuori dal partito.
Dopo di che è davvero preoccupante che qualcuno anche tra i dirigenti democratici neghi l’esistenza, anche nel nostro seno, di una questione morale, non veda l’abitudine di troppi nostri rappresentanti e amministratori a coltivare comportamenti che testimoniano di un rapporto non proprio pacifico con l’idea di etica pubblica. Non bisogna essere magistrati per sapere che non solo a Sesto San Giovanni ma in diverse realtà dove siamo stabilmente forza di governo, si è consolidato nel tempo un sistema di rapporti opachi tra chi prende le decisioni politico-amministrative e chi è portatore d’interessi economici: ciò vale in molti e diversi campi, dall’urbanistica alla sanità , e ciò semplicemente significa che in più di un caso le scelte di governo rispondono più all’interesse privato di qualche potentato economico che all’interesse generale della comunità che si amministra.
E’ verità , ma una verità che non può e non deve consolarci, ribadire che la gran parte dei dirigenti del Pd sono persone per bene e che le nostre zone d’ombra sono niente al paragone dei buchi neri – da Scajola a Dell’Utri alle varie P3 e P4 – di cui è fatta la questione morale nell’attuale centrodestra. I nostri elettori – quelli che già ci votano e quelli che non escludono di sceglierci – chiedono molto di più, e non c’è dubbio che fino a oggi il Pd non abbia fatto abbastanza per mantenere quella promessa da cui è nato: accreditarsi come un partito che fa dell’etica pubblica una delle basi della sua proposta riformista.
Nei giorni scorsi il Corriere della sera ha ricordato che prima di occuparsi oggi di Penati, la Commissione di garanzia del Pd fu chiamata a dirimere un atro caso controverso. Chi scrive insieme ad altri parlamentari del Pd (Lumia e Realacci) aveva rivolto una lettera aperta al segretario Bersani, chiedendogli che il Pd non candidasse a sindaco di Enna, come allora ventilato, il senatore Vladimiro Crisafulli, politico siciliano di lungo corso che alcuni anni fa venne filmato nel corso di un’indagine della magistratura mentre discuteva di appalti con un boss mafioso all’epoca già condannato. L’episodio fu considerato dai giudici penalmente non rilevante, ma politicamente era e rimane rilevantissimo: chi ritiene normale chiacchierare di appalti con un notorio capo mafia non dovrebbe rappresentare il Pd né da parlamentare né da sindaco.
La nostra iniziativa valse a bloccare la candidatura di Crisafulli, ma noi per avere posto pubblicamente la questione siamo stati “ammoniti” dalla Commissione di garanzia, con la motivazione – sintetizziamo – che i panni sporchi si lavano in casa. Ecco, c’è almeno da sperare che questa volta i “garanti” del Pd si mostrino maggiormente all’altezza della domanda di pulizia, trasparenza, rigore che ci rivolge il nostro popolo.
Roberto Della Seta
Francesco Ferrante