«Il Pd ha commesso a mio parere un grave errore che parte, ahimé, da lontano e non riguarda solo l’ambientalismo. Il Partito Democratico era nato con l’esplicita volontà – urgenza e necessità direi – di andare “oltre” le culture di provenienza dei due partiti che lo stavano costituendo. E l’ambientalismo, ricordo il discorso “fondativo” di Veltroni al Lingotto, era il primo dei pilastri su cui costruire il “nuovo” partito. Con il tempo questa tensione si è smarrita e si è privilegiato piuttosto un ritorno “identitario” che, quale effetto collaterale, ha di fatto marginalizzato altre culture. Noi le prime vittime. Inoltre, nel Pd è ancora forte una cultura industrialista, per la quale, a titolo di esempio, sulla questione energetica bisogna senz’altro essere favorevoli a rinnovabili ed efficienza, ma scattano meccanismi di prudenza eccessiva se esplicitamente si parla di “uscita dal fossile”. Oppure sulle infrastrutture o il consumo di suolo: alle dichiarazioni di principio più che condivisibili, spesso non corrispondono, specie a livello locale, conseguenti scelte politico-amministrative di rigore. Insomma: noi siamo stati anche una voce scomoda in questi anni, ma ci sono processi irreversibili e confido sul fatto che il seme gettato non si inaridisca».
Come analizza le scelte sulle altre candidature fatte dal PD, in particolare per quanto personalità che hanno espresso pià volte posizioni negative verso le rinnovabili?
«Evidentemente il suo riferimento è a Massimo Mucchetti. Io ritengo sinceramente che i motivi per cui Mucchetti sia candidato con il Pd siano altri e siano gli stessi per cui io stimo Mucchetti quale uno dei migliori giornalisti in circolazione e un uomo libero: le sue battaglie contro i monopoli e contro i conflitti di interesse di qualsiasi genere. Voglio ricordare che per anni Mucchetti è stata l’unica voce, oltre a quella degli ambientalisti, a scagliarsi contro quel vergognoso regalo ai petrolieri che era il CIP 6. Detto ciò è indubbio che Mucchetti abbia invece una posizione non condivisibile sulle rinnovabili (anche i migliori sbagliano) che lo ha portato a dire addirittura qualche sciocchezza persino sui numeri e contro le quali io stesso ho polemizzato più volte. La speranza è che coloro che si occupano di ambiente nel Partito e nel prossimo Parlamento siano in grado di neutralizzare queste posizioni e di prendere da Mucchetti il meglio che è in grado di offrire».
Perché ritiene che oggi sia importante che le istanze del mondo ecologista abbiano un’adeguata rappresentanza in Parlamento?
«La tutela dell’ambiente, la promozione e il sostegno della green economy quale strumento efficace per cambiare un modello di sviluppo che mostra anche sin troppo evidentemente la corda, sono elementi essenziali nella costruzione di un futuro desiderabile. Se la politica continua a non capirlo sarà difficile ogni cambiamento concreto. Peraltro, persino un osservatore esterno come Aldo Cazzullo in un suo recente editoriale per il Corriere della Sera faceva notare questa anomalia tutta italiana della mancanza di rappresentanza politica dell’ambientalismo proprio a partire dalla nostra esclusione».
Qual è stato il risultato che ritiene più importante della sua esperienza di Senatore della Repubblica?
«In difesa, l’avere evitato ennesimo condono edilizio (per 17 volte il Pdl ci ha provato!) e l’approvazione della cosiddetta “legge sugli stadi”, che in realtà nascondeva ennesimo scempio del territorio e regalo ai palazzinari senza alcuna utilità per realizzare davvero nuovi impianti sportivi. In attacco, la norma che vieta la commercializzazione di sacchetti di plastica non biodegradabili. Una vera rivoluzione nei comportamenti dei cittadini (che sono tornati all’uso della sporta, rifiutando cosi la pratica dell’usa e getta) e un sostegno concreto, aldilà di tante chiacchiere, alla green economy e alla ricerca di nuovi prodotti che non utilizzino il fossile come materia prima».
Quale il suo maggior rammarico?
«Non essere riuscito a difendere lo sviluppo delle rinnovabili. Sono orgoglioso di avere fatto con Ronchi la prima riforma strutturale degli incentivi nel 2007 che diede il via a quel salto che ci ha fatto colmare il gap che allora avevamo con il resto d’Europa. Ma in questa legislatura, prima il duo Berlusconi/Romani e poi il Ministro Passera e i suoi collaboratori hanno provato a mettere i bastoni fra le ruote in tutti i modi all’unico settore industriale anticiclico nella crisi economica. Oggi abbiamo colmato quel gap e possiamo girare in Europa a testa alta grazie agli 80 TWh prodotti da rinnovabili lo scorso anno, ma il settore si è fermato e addirittura deve ricorrere a cassa integrazione. Una vera amarezza».
Pensa di continuare a fare attività politica?
«L’ho fatta per vent’anni nell’associazionismo e non smetterò di certo perché non sarò in Parlamento». Roberto Rizzo