Anche per l’ambiente e per l’ambientalismo, Barack Obama sembra oggi sinonimo di svolta, di rivoluzione. Il suo piano di sgravi e investimenti “anti-crisi” mette la sostenibilità ambientale al centro dello sforzo per sostenere il lavoro, le famiglie, le imprese: “Raddoppieremo la nostra capacità produttiva di energia pulita – aveva detto il neo-presidente nel suo primo discorso del sabato alla nazione -, costruiremo una rete elettrica di quasi 5 mila chilometri che sarà alimentata da queste nuove fonti, risparmieremo due miliardi all’anno rendendo il 75% degli edifici federali più efficienti dal punto di vista energetico, le famiglie pagheranno bollette più leggere risparmiando in media 350 dollari all’anno”. E ieri puntualmente ha firmato i relativi atti di Governo, aggiungendoci anche i provvedimenti per la riduzione dei consumi e delle emissioni delle automobili. Per chi da anni si batte in politica con questa idea in testa, non era possibile non emozionarsi nel sentire gli argomenti utilizzati dal Presidente degli Stati Uniti d’America per spiegare questa svolta di 180 gradi rispetto al suo predecessore. Una rivoluzione.
L’idea che l’ambiente non solo non sia nemico dell’economia, del benessere, ma che anzi in questi mesi di dura recessione possa diventare uno dei principali trampolini verso la ripresa, mette in discussione gli opposti pregiudizi di chi pensa che l’ecologia sia un lusso che soprattutto in tempi di crisi economica non ci si può permettere (refrain molto utilizzato in questo nostro Paese), e di chi nel mondo ecologista teorizza una triste decrescita economica come solo vero antidoto alla crisi ecologica.
E’ una svolta importante, il cui merito – va detto per onestà intellettuale – Obama condivide con buona parte dell’Europa. Prim’ancora che si votasse negli Stati Uniti, infatti, l’Europa con Barroso, con Sarkozy, con Brown, con la Merkel, con Zapatero, ha resistito a una tentazione che pure vi è stata: rispondere allo “tsunami” economico-finanziario arrivato da oltreoceano seppellendo il pacchetto 20/20/20, cioè le misure per ridurre del 20% al 2020 le emissioni che alimentano i mutamenti climatici, portare al 20% la quota delle rinnovabili sulla produzione totale di energia, migliorare del 20% l’efficienza energetica. L’Europa ha scelto di procedere su questa strada nonostante lo scenario economico così radicalmente e negativamente nuovo, e molti leader europei hanno più volte sottolineato che dalla crisi economica si può uscire prima e meglio se l’ambiente è uno degli ingredienti base delle politiche anti-cicliche. E non a caso proprio in questi giorni la Commissione ha voluto ricordare che se a Copenaghen si riesce a raggiungere un accordo globale (lo stesso obiettivo su cui ha esplicitamente detto di voler lavorare Obama), il target per l’Unione Europea di riduzione delle emissioni di CO2 al 2020 salirà automaticamente sino al 30%. (Ahi, che dolore per Berlusconi e i suoi sodali!)
Insomma, vi è oggi nelle classi dirigenti dei Paesi industrializzati una larga consapevolezza dell’utilità , meglio della necessità di un “new deal ecologico” all’insegna della coppia Keynes più ambiente E’ così negli Usa, in Germania, nel Regno Unito, in Francia. Non è così in Italia, dove la destra al governo (e con lei, dispiace dirlo, l’attuale presidenza di Confindustria) guarda all’ambiente con occhi vecchi di almeno due o tre decenni. Il governo e la maggioranza hanno cercato, per fortuna senza successo, di boicottare il “pacchetto clima”. Hanno persino provato ad azzerare gli ecoincentivi alle ristrutturazioni edilizie introdotti dal governo Prodi, tornando in extremis sui loro passi davanti alla protesta compatta dell’opposizione e di quasi tutte le forze sociali.
Sul rapporto virtuoso che vi può essere tra ambiente ed economia, la destra italiana è fuori dallo spirito dei tempi. Ciò offre al Pd una grande occasione e lo carica, al tempo stesso, di una grande responsabilità . Se non vogliamo limitarci ad entusiasmarci e tifare da spettatori lontani per la svolta “obamiana” (attività che alla lunga può renderci persino un po’ patetici), è giunto il momento di fondare su tale intuizione uno degli argomenti centrali del nostro discorso pubblico e anche della nostra polemica politica, e poi dimostrare concretamente , con atti di governo, nella metà d’Italia dove governiamo città , province, regioni, che per noi l’ambiente in tempi di crisi non è un lusso ma è un elemento decisivo dello sforzo per limitare i costi economici e sociali della crisi in atto.
“Un new deal ecologico” è il titolo di uno dei primi appuntamenti – organizzato dall’Associazione degli Ecologisti Democratici – in preparazione della conferenza programmatica del Pd, che si terrà sabato prossimo 31 gennaio a Roma e sarà concluso da Walter Veltroni. Quel giorno e poi tutti i giorni nei mesi che verranno, il Partito Democratico dovrà impegnarsi per fare di questa sfida una delle fondamenta – culturali, programmatiche, politiche – della sua azione politica. Solo così, ci si passi l’orrendo gioco di parole, non sembreremo troppo pallidi al cospetto di Obama.
Roberto Della Seta
Francesco Ferrante