la strada verde dei nuovi riformisti

Poche storie, abbiamo perso le elezioni. Il Pd è sotto di 4 milioni di voti rispetto al risultato di dodici mesi fa, rimane il primo partito solo in due regioni su venti, è sconfitto in un discreto numero di province e comuni dove il centrodestra non governava da lungo tempo. Questo dato negativo si accompagna con una seconda evidenza, essa invece incoraggiante: il fallimento dei propositi berlusconiani di ottenere dal voto un plebiscito personale.
Il duplice segno dell’esito elettorale espone il nostro partito ad un grande rischio: che la soddisfazione per il mancato sfondamento del Pdl, in sé più che legittima, ci faccia trascurare o peggio rimuovere quell’altra verità : dopo un anno di governo e malgrado l’insufficienza delle risposte anti-crisi e le cadute di prestigio e d’immagine del premier, il centrodestra non perde consensi (in percentuale), mentre nel campo della vecchia Unione il Pd s’indebolisce a vantaggio sia dell’Italia dei Valori che delle sinistre radicali. Il progetto del Partito democratico è in crisi, la nostra “vocazione maggioritaria” vacilla persino nelle tradizionali roccaforti della sinistra italiana. O la discussione in vista del congresso prenderà  di petto questa difficoltà  innegabile oppure la crisi si avviterà  in un precoce, inarrestabile declino di quella che è stata e che resta una grande speranza: dare vita in Italia ad un forte, moderno partito riformista.
Una lettura pure approssimativa del voto europeo può aiutare, intanto, a capire quale strada debba imboccare il Pd. Il centrosinistra è in difficoltà  quasi dappertutto, il centrosinistra è sempre meno socialista. Sono queste le due principali costanti del risultato elettorale in Europa. Nel nuovo Parlamento di Strasburgo le forze catalogabili di centrosinistra peseranno un po’ meno sul totale, e parecchio di meno peseranno i socialisti: anzi, per la prima volta il campo riformista non vedrà  una netta maggioranza socialista (circa 160 i parlamentari socialisti, più di 150 tra verdi, liberaldemocratici e democratici italiani). Le due tendenze sono tra loro intrecciate: i partiti socialisti faticano a rimanere competitivi come forze maggioritarie d’alternativa ai conservatori, e in molti casi una quota crescente di elettori sceglie offerte riformiste che si collocano al di fuori della storia e dell’identità  socialista. E’ così in Francia, dove Europe-Ecologie di Cohn-Bendit con il suo clamoroso 16% da una parte e il Modem di Bayrou (sebbene in flessione) dall’altra conquistano più voti del Partito socialista. E’ così in Germania, con i Verdi che ritornano ai loro massimi storici. E’ così in Gran Bretagna, dove Verdi e Liberali ottengono insieme più seggi dei Laburisti.
Naturalmente ognuna di queste situazioni ha cause in parte specifiche, legate ai singoli contesti nazionali, ma non c’è dubbio che tutte quante rispondano anche a una dinamica generale. Nell’Europa del XXI secolo l’equazione “socialista uguale riformista” – lo ricordava ieri questo giornale – non vale più. Perché ci sono problemi e temi nuovi – l’ambiente, la necessità  di passare dal welfare dell’egualitarismo a quello delle pari opportunità , la frammentazione sociale, oggi una crisi economica di sistema che chiede risposte originali – i quali mettono duramente alla prova, e più di una volta mettono in crisi, l’abito mentale della tradizione socialista.
Il Partito democratico ha l’occasione storica di guidare la ricerca e la costruzione di un riformismo calato nello spirito dei tempi. Non è un partito socialista, non hanno una storia socialista (con rare eccezioni) la sua base, i suoi quadri, i suoi dirigenti. E questo che per lungo tempo è parso un punto debole del riformismo italiano, ora può essere la sua forza, il suo principale valore aggiunto. Può consentirgli, per esempio, di innalzare la bandiera dell’ambientalismo politico, in Italia resa inservibile dal minoritarismo dei nostri Verdi ma che in Europa, nel mondo – Obama docet – non è mai stata così essenziale ad un progetto riformista popolare e vincente. L’ambiente è un territorio cruciale per dare nuovo slancio, nuovo respiro, nuova freschezza al segreto del successo di ogni riformismo: offrire la politica come mezzo per migliorare la vita di ciascuno e anche, però, per migliorare il mondo, per renderlo più giusto. L’ambiente come “green revolution”, per creare sviluppo e al tempo stesso scongiurare il collasso climatico; l’ambiente come radicamento degli individui e delle comunità  nei loro “luoghi”; l’ambiente come metafora delle risorse più preziose su cui l’Italia può contare, dal paesaggio all’alta qualità  umana e territoriale che dà  alimento al “made in Italy”: risorse largamente immateriali e perciò stesso “ecologiche.
Insomma, rispetto alla gran parte dei partiti riformisti europei il Pd è molto più libero di dare forma e corpo a un’identità  riformista mescolata e rinnovata, perché ha molto meno da perdere del suo passato. Ma deve decidere in fretta che questa sia la sua rotta, prima che una pigra inerzia lo sospinga a costruirsi come condominio di due vicende storiche – la neo-comunista, la cattolico- democratica – certamente nobili e ricche e però ancora più statiche, più sclerotiche di quella del socialismo europeo. Serve insomma un Partito democratico fedele alla sua ispirazione originaria di rottura, di “rivoluzione” degli equilibri pre-esistenti nel campo progressista; un partito non di ex, non di reduci e nostalgici, un partito che trovi finalmente il coraggio di assomigliare – nei suoi gruppi dirigenti, nei suoi amministratori – agli oltre tre milioni di cittadini che meno di due anni fa votarono per la sua nascita e che in grande maggioranza non si sentivano né post-comunisti né post-democristiani.
Questa è la vera posta in gioco del congresso. Convincere noi stessi di essere nati per dare corpo a una grande forza riformista come l’Italia non ha mai avuto, una forza con i piedi, la testa e il cuore nel presente e nel futuro. E darci una leadership – magari di storia non democristiana e non comunista: perché non ambientalista? – che sia all’altezza del compito e sufficientemente forte nell’investitura per liberarsi dal controllo soffocante di capicorrente e capibastone. Solo così il Partito democratico potrà  diventare agli occhi degli italiani un’alternativa credibile alla destra più inquietante, ma anche più popolare, che ci sia in Europa.

Roberto Della Seta
Francesco Ferrante