pubblicato su La Nuova Ecologia
Confesso in premessa che sono fortemente convinto che rimpiangeremo questi anni di presidenza Obama da tutti i punti di vista, a partire dalla politica estera del Presidente che pure tante critiche gli ha procurato. Ma io non dimentico quel discorso al Cairo che credo sia stato il punto più alto toccato da un politico occidentale nel rivolgersi agli “altri”. E non mi pare obiezione sufficiente e sensata, quella di chi, giustamente peraltro, sostiene che le “primavere arabe” che da lì scaturirono non hanno avuto un gran successo. Lo rimpiangeremo per le politiche sociali – l’Obamacare innanzitutto – che nonostante una maggioranza congressuale avversa è comunque riuscito a portare avanti. E in economia la ricetta “obamiana” si è rivelata – è noto – la migliore per combattere la crisi. Confessata questa mia passione politica per l’obamismo in genere, ritengo che sia stato importantissima e positiva anche la svolta impressa da Barack nelle politiche ambientali e nella lotta ai cambiamenti climatici. A livello internazionale – approfittando anche della deludente scomparsa dell’Europa – ha preso la leadership su questo fronte , nel quale appena 7 anni fa a Copenhagen era stato uno dei principali responsabili del fallimento di quella Conferenza, per consentire la storica firma degli Accordi di Parigi, quelli che hanno certificato che “i fossili sono fuori dalla Storia”. E gli impegni di riduzione di emissione di gas di serra presi dalla sua amministrazione sono ormai paragonabili (seppur ancora non sufficienti) a quelli più ambiziosi che storicamente erano quelli europei. Ma anche negli Usa la sua presidenza si è caratterizzata per la difesa delle prerogative dell’Epa , la potente agenzia di protezione ambientale da sempre nel mirino dei Repubblicani, per combattere l’inquinamento, soprattutto da carbone, nello stimolo alle rinnovabili (nei suoi 8 anni è aumentata di 30 volte la quota di fotovoltaico in Usa), nello spingere sull’innovazione tecnologica, promuovendo e incentivando aziende rivoluzionarie come Tesla. Intendiamoci Obama, anche in questo campo è tutt’altro che un “estremista”, o anche un “ambientalista” nel vero senso della parola. Lo dimostra il lungo tempo impiegato prima di mettere definitivo veto all’oleodotto Keystone (storica battaglia degli ambientalisti americani) e soprattutto il suo “pragmatismo” con cui, per liberarsi dalla dipendenza geopolitica dai paesi produttori di petrolio, ha lasciato via libera e anzi favorito la diffusione della controversa pratica del fracking. La grandezza di Obama è stata quella di avere capito che lotta ai cambiamenti climatici e difesa dell’ambiente dovevano essere tra le keywords e le priorità della sua azione politica e cosi è stato. Nel comprendere che una politica che voglia indicare un futuro di speranza e di cambiamento non possa che essere “intinsecamente ambientalista”. Una lezione di politica che purtroppo in Italia continua ad essere ignorata.
Francesco Ferrante