Kyoto Club: in attesa di un accordo globale sul clima, i Governi puntino sui efficienza energetica e rinnovabili

Gli impegni sul clima dei grandi paesi, le difficoltà  di arrivare a breve ad un accordo vincolante, la richiesta delle imprese italiane al Governo di sostenere la ‘green economy’ emersa da un sondaggio realizzato dal Kyoto Club, sono stati alcuni dei temi al centro del convegno “Dopo Copenhagen. Le sfide energetiche e ambientali del 2020”, svoltosi oggi a Roma.

Dopo il deludente esito della conferenza sul clima di Copenaghen dello scorso dicembre «ci troviamo di fronte alla prospettiva di una lunga fase di tessitura della tela diplomatica», ha detto Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club, nel corso del convegno organizzato a Roma dall’Associazione, dal titolo “Dopo Copenhagen. Le sfide energetiche e ambientali del 2020” (presso la Sala della Protomoteca del Campidoglio).
Rispetto alle ottimistiche aspettative che avevano preceduto il summit danese oggi sembra sia mutata l’atmosfera e, quindi, arrivare ad un accordo globale vincolante è un processo tutto in salita.
A questo proposito è utile riassumere le proposte in campo dei paesi chiave della trattativa sul clima: Stati Uniti, Unione Europea e Cina.
Gli Stati Uniti, al momento, hanno dichiarato un impegno a tagliare le emissioni del 17% rispetto al 2005, una percentuale che si riduce al 4% se il riferimento è fatto sul 1990. A questa data di riferimento la riduzione della CO2 per l’UE è di almeno il 20% (target legalmente vincolante). Tuttavia se il paragone è rispetto al 2005, il taglio degli Usa diventa superiore a quanto indicato dall’Europa.
La Cina, che insieme agli Usa è responsabile del 40% delle emissioni mondiali, ha dato la sua disponibilità  a ridurre al 2020 l’intensità  delle emissioni di anidride carbonica (emissioni per unità  di Pil) del 40-45%. Questo obiettivo non si discosta molto rispetto al trend del passato, anche se l’impegno non sarà  irrilevante a causa dell’aumento del peso delle industrie energivore. In ogni caso, visti i tassi di crescita dell’economia, le emissioni di CO2 cinesi saranno più che raddoppiate alla fine del decennio, malgrado la riduzione dell’intensità  di carbonio.
Se si considerano, poi, tutte le proposte di riduzione degli altri paesi, industrializzati ed emergenti, molti studi arrivano alla conclusione che così si raggiungerebbe un livello di concentrazione di gas serra in atmosfera tale da provocare un aumento della temperatura media globale stimabile in 3-3,5 gradi centigradi, molto distante da quella “soglia critica” dei 2°C rispetto ai valori pre-industriali (uno dei pochi punti fermi dell’Accordo di Copenhagen) che potrebbe invece scongiurare conseguenze catastrofiche sia a livello ambientale che economico.
Di fronte allo stallo della politica e agli interessi delle superpotenze un fatto nuovo sembra però affermarsi ovunque: la crescita della ‘green economy’. «à‰ forse questo l’unico comparto che ha superato quasi indenne la crisi economica, malgrado non siano mancati anche qui morti e feriti», ha detto Silvestrini. «Solo per fare un esempio, le potenze del fotovoltaico e dell’eolico installate nel mondo nel 2009 – continua il direttore scientifico del Kyoto Club – hanno fatto registrare valori record rispetto all’anno precedente e in Europa il 61% di tutta la nuova potenza elettrica installata è da fonti rinnovabili, una quota inimmaginabile solo pochi anni fa».
Nel corso del Convegno è stato presentato un sondaggio curato dal Kyoto Club e rivolto alle imprese con l’obiettivo di ottenere impressioni e valutazioni sugli sviluppi post-Copenhagen. E’ interessante notare come il 54% degli intervistati non ritenga che il ritardo o la mancanza di accordi internazionali quantificati e vincolanti possa influire in modo determinante sulle decisioni di investimento nelle nuove tecnologie e nelle energie rinnovabili. Piuttosto, l’andamento di questi mercati è maggiormente legato all’innovazione tecnologica e all’evoluzione della crisi economica.
Dal sondaggio (che non aveva il carattere di scientificità  ma che ha comunque registrato un alto numero di risposte, 120), la stragrande maggioranza degli intervistati (92%) ha dichiarato che spetterà  ai singoli Governi assumere l’iniziativa, con misure e azioni coerenti sia con l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro i 2°C, sia con quello di rendere più competitivo il mercato nazionale. 
«I risultati più interessanti del sondaggio – ha commentato Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club – sono quelli che confermano che nel nostro Paese è già  presente una diffusa realtà  imprenditoriale, soprattutto costituita da piccole e medie imprese, che sta già  scommettendo su un futuro “low carbon” e che basa la propria sfida competitiva sull’innovazione tecnologica e la sostenibilità  ambientale. Purtroppo queste realtà  non sono ancora adeguatamente rappresentate e non vengono abbastanza ascoltate dalla politica. Ma è questa la strada da percorrere se vogliamo correre insieme agli altri Paesi europei incontro al futuro».
Kyoto Club è un’organizzazione non profit, costituita da imprese, enti, associazioni e amministrazioni locali, impegnati nel raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas-serra assunti con il Protocollo di Kyoto e quelli al 2020 resi obbligatori con il pacchetto europeo clima-energia.
A questo scopo, Kyoto Club promuove iniziative di sensibilizzazione, informazione e formazione nei campi dell’efficienza energetica, dell’utilizzo delle fonti rinnovabili e della mobilità  sostenibile.