Intervista pubblicata su Greenreport
«La presente legge stabilisce i criteri di sostenibilità ambientale rivolti ad orientare, sperimentare, promuovere, attuare e incentivare le procedure di acquisto di prodotti derivanti da materiali post consumo recuperati attraverso la raccolta differenziata dei rifiuti urbani, al fine di migliorare le prestazioni ambientali dei beni e dei servizi disponibili sul mercato e di diffondere modelli di comportamento responsabile nei confronti del risparmio, del riciclo e del riutilizzo di materia». E’ il primo articolo di un disegno di legge che va esattamente a sanare un vulnus: mentre i flussi di energia e le esigenze di risparmio ed efficienza energetica sembrano finalmente essere state assimilate da politici e cittadini, altrettanto non si può dire dei flussi di materia, normalmente ignorati tanto che non esistono ad oggi incentivi destinati alle materie rinnovabili, così come avviene per le energie.
Quella elaborata dal primo firmatario Francesco Ferrante è dunque una proposta di disegno di legge tanto rivoluzionaria quanto banale, se vogliamo, perché mette l’accento su tutto il ciclo di vita di un prodotto superando anche il paradosso tutto italiano che concentra per esempio ogni attenzione sulla raccolta differenziata e le sue percentuali, fregandosene poi dell’effettivo riciclo del materiale raccolto e del suo reimpiego sul mercato.
Senatore Ferrante, la vostra proposta di Ddl segue le linee di indirizzo della Ue: carta, plastiche miste, vetro fine e compost sono le materie prime seconde oggetto del vostro testo. Su questa attualissima materia industriale “green” è possibile un’attenzione trasversale?
«Noi siamo nella fase di raccolta delle adesioni. Per il momento sotto la proposta ci sono solo le nostre quattro firme (Ferrante, Della Seta, De Luca, Di Giovan Paolo, ndr). Prima della presentazione definitiva è necessario trovare un po’ di adesione anche da parte del centrodestra: su una materia come questa dobbiamo cercare un’alleanza più vasta possibile, anche se finora non è che abbiano dimostrato grande attenzione sui temi della sostenibilità ».
Questo Ddl riuscirà finalmente a spostare l’attenzione, dalla raccolta differenziata al fine vero, cioè il riciclaggio, ed il conseguente utilizzo sistemico a livello industriale?
«Ce lo auguriamo, perché l’obiettivo è soprattutto quello di spiegare che il destino finale della raccolta differenziata è prima di tutto il riciclo e poi quello del recupero energetico che ad oggi però è l’unico incentivato, seppur solo per la parte rinnovabile dei rifiuti dopo che abbiamo tolto gli assimilati. Non si capisce perché se la gerarchia europea prevede il recupero energetico solo dopo quello di materia, l’Italia incentivi solo l’uno invece dell’altro. Il nostro ddl andrebbe a sanare proprio questo errore».
E’ pensabile riconoscere con un marchio green dedicato i nuovi manufatti o parti di prodotto che saranno incentivati (quasi una sorta di doc della sostenibilità )?
«Credo che noi prima di tutto dobbiamo stabilire dei limiti minimi, cioè una percentuale di materie seconde riutilizzate che dia diritto agli incentivi. Poi chi vuole far di più si faccia pure i suoi marchi volontari, l’importante è stabilire un limite minimo di legge».
Questo Ddl incentiva l’acquisto e la commercializzazione dei prodotti che impiegano materiali post consumo: le risorse economiche di copertura (nel testo si legge: “gli incentivi sono erogati sino al raggiungimento della convenienza economica rispetto ai prodotti derivanti dagli analoghi materiali vergini, sulla base dell’evoluzione dei costi tecnologici”) trovano leva sulle componenti tariffarie dell’energia elettrica e del gas, ma in sostituzione o in aggiunta ai costi già presenti su queste tariffe?
«Non mi pare plausibile almeno in una fase come questa, di pensare di poter aumentare le spese dello stato. Quindi la soluzione è la stessa del recupero energetico, anche in questo caso un modello di prelievo diffuso che per il singolo cittadino sarà quasi insignificante».
La fase di ricerca e di start up è a carico delle imprese di settore della green economy: il ministero dello Sviluppo economico come dovrebbe integrare l’impegno sulla fase formativa e di ricerca d’uso dei nuovi prodotti?
«Il ministero deve stabilire la cornice entro la quale questo meccanismo virtuoso parte e può svilupparsi».
Incrociare la realizzazione di prodotti legati al solare e al fotovoltaico con l’uso – post ricerca e scouting industriale – di materia prima seconda per la loro realizzazione potrebbe dare nuovi impulsi a questi due pilastri (energia e materia) della green economy?
«In teoria assolutamente sì. Nella pratica ovviamente c’è bisogno di esperti che ne dimostrino la fattibilità e quindi ben vengano gli investimenti in ricerca da parte dei protagonisti dell’impresa».