Il piano energetico che vogliamo

Pubblicato su www.ecodemonline.it
Perché insistiamo tanto sulla necessità , ormai da tempo diventata ineludibile, che il nostro Paese si doti di una strategia energetica, che sia un vero e proprio “piano” o quanto meno un’adeguata programmazione fondata sull’efficienza e le fonti rinnovabili? Non solo perché questo serve a rimediare alle evidenti storture di un mercato la cui liberalizzazione, avviata ormai più di dieci anni fa, non si è ancora conclusa, ma soprattutto perché decidere le linee del nostro futuro energetico è un passaggio cruciale per l’intero sistema industriale italiano, indispensabile per il rilancio della nostra economia, per dare fiato alle imprese – specie quelle piccole e medie che pagano prezzi dell’elettricità  troppo elevati – e per costruire le condizioni affinché nel mercato globalizzato le nostre imprese energetiche possano giocare da protagoniste. Nel mondo, crisi o non crisi, è in atto una rivoluzione, le formidabili innovazioni tecnologiche di questi ultimi anni rendono finalmente credibili e concretamente realizzabili obiettivi che sembravano utopistici fino a poco tempo fa: la costruzione di una società  “low carbon”, che riduca drasticamente la sua dipendenza dalle fonti fossili, e il passaggio ad un sistema di “generazione distribuita” dell’energia, obiettivi che rappresentano una vera e propria “rivoluzione di sistema”, capace di rendere più efficienti e sostenibili gli stili di vita e di “democratizzare” il potere energetico.
Insomma, noi ecodem chiediamo una nuova “strategia energetica” (il documento lo trovate a questo indirizzo) perché gioverebbe all’ambiente, all’economia, alla società .

Le storture da raddrizzare

La mancata programmazione che ci accompagna da più di vent’anni ha determinato diversi paradossi, primo fra tutti la cosiddetta overcapacity. Oggi nel nostro Paese la potenza installata (oltre 100.000 MW) è circa il doppio delle punte di consumo, con l’effetto che molte centrali moderne ed efficienti (quelle a ciclo combinato delle ultimi generazioni), e quindi anche più “pulite”, sono fortemente sottoutilizzate. In questo quadro, appare davvero insensato pensare a potenziamenti o, peggio ancora, a realizzazioni ex-novo di centrali termoelettriche (specialmente di centrali a carbone, il fossile maggiormente climalterante), mentre semmai bisognerebbe programmare la chiusura progressiva delle centrali più vecchie ed inquinanti, in modo da liberare il mercato per quelle più moderne ed efficienti già  in funzione.
La seconda grave stortura è quella legata al prezzo del gas. Negli ultimi anni nel mondo si è assistito a una rapida e drastica riduzione del prezzo del gas e al suo disaccoppiamento da quello del petrolio. Ciò è dipeso dalla prepotente entrata sul mercato dello shale gas, il cosiddetto gas “non convenzionale”: una fonte ambientalmente problematica, che vede l’aperta contrarietà  di molti movimenti ambientalisti, ma una fonte che comunque ha determinato una modifica radicale nel meccanismo domanda-offerta. Negli Stati Uniti, che erano fino a poco tempo fa i più grandi importatori di metano e che ora invece estraggono più gas di quanto ne consumino, il prezzo si è addirittura dimezzato. La tendenza generale a una riduzione dei prezzi del gas non ha riguardato, caso pressoché unico in Europa, l’Italia, dove la rigidità  dell’approvvigionamento – solo tubi e nella mani di un solo soggetto – ha mantenuto i prezzi molto più alti. E siccome l’Italia, più di qualsiasi altro Paese europeo, utilizza proprio il gas per produrre elettricità , questa rigidità  del nostro mercato ha contribuito a far sì che da noi il prezzo dell’energia elettrica resti superiore rispetto al resto d’Europa. Dunque, un obiettivo quanto mai urgente per l’Italia è diversificare le modalità  di approvvigionamento (ci vogliono rigassificatori oltre ai tubi) e liberalizzare davvero l’accesso alla rete.
L’ultima grave stortura da affrontare è quella di più vecchia data, anche se si è manifestata con evidenza solo recentemente a seguito della positiva “esplosione” delle rinnovabili, in particolare del fotovoltaico: una rete elettrica troppo vecchia e decisamente inadeguata. In questo caso la liberalizzazione e la separazione della rete dagli operatori è fortunatamente già  realtà , ma il mancato collegamento con la Sicilia, per esempio – finalmente lo scorso anno son partiti i lavori – ci costa quasi un miliardo l’anno! Si tratta dunque di accelerare i tempi nella modernizzazione della rete tenendo conto delle nuove esigenze imposte dalle rinnovabili, per loro natura diffuse e/o non programmabili: da qui la necessità  di puntare sulle smart grid, di realizzare nuovi sistemi di accumulo che permettano di rendere disponibile l’energia elettrica in momenti diversi dalla sua effettiva produzione , magari investendo da subito nella realizzazioni di batterie italiane. Altrimenti ci ritroveremo anche in questo caso, come per i pannelli fotovoltaici, a doverci rifornire in Cina!

Efficienza energetica

Come spiega bene Gianni Silvestrini (link all’articolo), investire in efficienza energetica è il modo migliore per ridurre l’inquinamento e ridurre la dipendenza dalle fonti fossili e quindi dalle importazioni, alleggerendo così la nostra bolletta energetica che l’anno scorso ha raggiunto la cifra record di 62 miliardi di euro. Del resto, l’efficienza energetica è anche un formidabile volano di sviluppo e occupazione (la stessa Confindustria ha stimato come straordinarie le potenzialità  occupazionali di un piano serio per l’efficienza energetica). Per questo occorre subito rendere permanenti il credito d’imposta del 55% sulle ecoristrutturazioni degli edifici, che, introdotto dall’ultimo Governo Prodi, ha già  dato frutti notevoli sia sul piano della riduzione dell’inquinamento, sia su quello – assai concreto – del risparmio per le famiglie, e ha anche rappresentato una boccata d’ossigeno per il settore edilizio duramente colpito dalla crisi economica. Ma non basta, bisogna anche spingere sulle rinnovabili termiche, potenziare il sistema dei certificati bianchi, sostenere il miglioramento dell’intensità  energetica lanciando un nuovo programma Industria 2020 che aiuti innovazione e ricerca.

Incentivi alle rinnovabili: quali e quanti

Sugli incentivi alle rinnovabili in questi anni si sono dette molte sciocchezze. Si sono “affibbiati” alle rinnovabili gli oneri di sussidi, quelli legati al Cip6, che in realtà  hanno foraggiato le fonti fossili e l’incenerimento dei rifiuti. E mentre si mettevano sotto accusa gli incentivi alle rinnovabili, si taceva su numerosi oneri impropri che “gonfiano” le bollette: centinaia di milioni l’anno per gli oneri nucleari, o l’IVA impropriamente calcolata anche sugli oneri di incentivazione.
Detto ciò, è vero che grazie soprattutto al boom del fotovoltaico – nel 2011 abbiamo persino superato la Germania per potenza installata nell’anno – la cifra che spendiamo in bolletta per sostenere le rinnovabili è diventata significativa: l’anno scorso ha superato i 5 miliardi, e a regime, tra fotovoltaico e altre rinnovabili, raggiungerà  i 12. E’ troppo? O invece si dovrebbe fare ancora di più? Per rispondere in maniera sensata è utile prendere come riferimento la Germania, che è il Paese che funziona da benchmark in questo settore. I tedeschi hanno speso molto più di noi (9 miliardi di euro nel 2010) e per più tempo. Nessuno lì si è lamentato, perché era evidente che grazie a questo impegno si costruiva un grande settore industriale, 380mila posti di lavoro e una leadership mondiale, e si producevano benefici per ambiente e famiglie. Così dovremmo fare in Italia: governare con attenzione gli incentivi per diminuirli in corrispondenza con le innovazioni tecnologiche, per raggiungere in questo modo il più rapidamente possibile la grid parity  per tutte le fonti (per il fotovoltaico si tratta di una meta secondo molti ormai raggiungibile in due o tre anni), investendo in ricerca e sviluppo affinché anche in Italia cresca un forte comparto industriale delle rinnovabili. Le potenzialità  ci sono tutte: gli inverter migliori per il fotovoltaico si fanno già  in Italia, persino nell’eolico esportiamo più tecnologia di quanta ne importiamo. Si tratta di dare certezze al settore, di smetterla con gli “stop-and-go” che hanno caratterizzato quest’ultima fase normativa, di sconfiggere le posizioni che per ideologia o per interesse negano che le rinnovabili saranno il futuro dell’energia.

Francesco Ferrante, senatore pd, è vice presidente di Kyoto Club. E’ stato direttore generale di Legambiente.

Roberto Della Seta, senatore pd, è stato Presidente di Legambiente. Entrambi fanno parte dell’esecutivo nazionale dell’Associazione ecologisti democratici.