“Siamo chiari sin dall’inizio: non troveremo un fine per la nazione né la nostra personale soddisfazione nella mera continuazione del progresso economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi nazionali sulla base del Prodotto Interno Lordo. Perché il Pil comprende l’inquinamento dell’aria e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine. Mette nel conto le serrature speciali con cui chiudiamo le nostre porte, e le prigioni per coloro che le scardinano. Il Pil comprende la distruzione delle sequoie e cresce con la produzione di napalm. E se il Pil comprende tutto questo, molte cose non sono state calcolate. Non tiene conto dello stato di salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione e della gioia dei loro giochi. E’ indifferente alla salubrità delle nostre fabbriche e insieme alla sicurezza delle nostre strade. Non comprende la bellezza della nostra poesia, l’intelligenza delle nostre discussioni, l’equità dei rapporti tra noi. Il Pil non misura né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né le nostre conoscenze, né la nostra compassione, né la devozione al nostro Paese”. Queste sono parole di Bob Kennedy. E sono tra i materiali che Ermete Realacci ha scelto per presentare “Patriottismo dolce. Identità , territorio, coesione, competizione”, il seminario in corso in questi giorni a Fiesole che vede la partecipazione di numerosi esponenti politici, amministratori locali, esponenti dell’associazionismo, dell’economia, di movimenti impegnati nella costruzione del Partito Democratico. L’ambizione è quella di ragionare sul tema della nostra identità nazionale e in quella rintracciare anche le nostre migliori possibilità di rilancio. Perché Bob Kennedy aveva ragione, ma nel nostro caso puntare su beni che siamo abituati a pensare “immateriali” significa anche scegliere i settori che meglio garantiscono al nostro Paese e al nostro sistema economico di svolgere un ruolo importante in questo mondo dall’economia globalizzata e trovare nuove occasioni di sviluppo e di nuova occupazione. La tutela dell’ambiente e del nostro paesaggio, di quello straordinario intreccio unico al mondo di natura e opera dell’uomo, la cura e l’amore per i nostri beni culturali non sono forse l’unico modo per poter rilanciare ad esempio il turismo – uno dei settori industriali più importanti per l’Italia? Valorizzare le tradizioni enogastronomiche e quelle artigianali non è il modo per dare una nuova chance alla nostra agricoltura in crisi e combattere il rischio spopolamento che minaccia alcune delle nostre aree cosiddette “marginali” e che invece costituiscono il tessuto più prezioso che fa di questo un Paese meraviglioso da amare? E non è investire su ricerca e innovazione, riempire il loro prodotti di know-how e conoscenza, l’unica maniera con la quale le nostre aziende possano reggere alla concorrenza di chi, India e Cina in primo luogo ovviamente, può contare su manodopera a bassissimo costo?
Insomma puntare sul “made in Italy” significa puntare proprio su quella soft economy di cui si iniziano a vedere i protagonisti su tanti dei nostri territori e a cui però la politica stenta ancora a dare risposte concrete. Il Partito Democratico in costruzione queste risposte deve invece cercare e trovare per dimostrare la sua utilità concreta e quella di Fiesole è una tappa importante su questa strada che deve essere un Giro d’Italia pieno di amore per il nostro Paese e di simpatia per i suoi cittadini.