il pacchetto clima e la miopia italiana

Alla vigilia del decisivo e storico – come lo ha preventivamente definito Barroso – vertice europeo sul “pacchetto clima” è forse utile fare un po’ di chiarezza sui punti ancora in discussione e sulla disastrosa strategia seguita dal Governo Berlusconi che prova in queste ore ad accreditare l’idea di essere uscito dall’isolamento in cui si era cacciato, ma che in realtà  nulla ha ottenuto, fortunatamente, relativamente alle sue richieste iniziali. I tre 20 ormai famosi, da raggiungere entro il 2020 si riferiscono al 20% di miglioramento dell’efficienza energetica, al raggiungimento del 20% di produzione di energia da fonti rinnovabili e alla riduzione del 20% delle emissioni di gas di serra. In parallelo a questo pacchetto si è discusso anche del Regolamento sulle emissioni di anidride carbonica relativamente alle auto, raggiungendo un accordo complessivo su questo tema, fondamentale per tutto il sistema industriale, la settimana scorsa.  E già  qui il Governo italiano ha perso un’occasione. Infatti, come è noto, la nostra industria automobilistica, per la tipologia di modelli prodotti, è la più avanzata in Europa su questo fronte, e quindi sarebbe stato utile, non solo dal punto di vista ambientale e dello stimolo all’innovazione tecnologica ma anche nella pratica di un “sano protezionismo”, se l’Italia avesse giocato un ruolo d’avanguardia nell’approvare gli obiettivi ambiziosi che alla fine la UE si è data e nel definire una road map per raggiungerli che fosse stringente e obbligasse i competitors dell’industria italiana  ad investire molto per colmare il gap attualmente esistente. Invece il nostro Governo è stato inesistente nella trattativa, e non credo casualmente il ruolo di positivo protagonista di questo dossier è stato svolto dall’europarlamentare del Pd Guido Sacconi che era il relatore del provvedimento. Analizzando invece il “pacchetto clima” vero e proprio, sul primo “20” quello sull’efficienza energetica che forse è il più importante ma anche il più debole perché non prevede Direttive che lo rendano davvero obbligatorio e cogente, il Governo Berlusconi si è reso protagonista del capolavoro con cui nel decreto anticrisi presentato la settimana scorsa si prevede la sostanziale cancellazione del miglior provvedimento di incentivazione – il 55% di detrazioni fiscali – che il Governo Prodi aveva approvato nella sua ultima Finanziaria. L’opposizione del Pd, delle associazioni ambientaliste, delle tante imprese che finalmente si stavano lanciando in questo settore forse riusciranno a far recedere Tremonti da questa malsana intenzione. Resta il gesto, significativo di una cultura che appare impermeabile alla richiesta di innovazione che sale anche da quel tessuto di piccole e medie imprese più innovative.

Sul secondo “20” , quello relativo alle fonti rinnovabili, la figuraccia di Berlusconi e dei suoi Ministri è stata poi epica: hanno urlato e minacciato veti chiedendo un’improbabile revisione al 2014 degli obiettivi da raggiungere, e se ne sono tornati a casa con un pugno di mosche in mano. Come era ovvio e prevedibile gli obiettivi finali non si toccano né ora , né nel 2014 quando, ovviamente, si farà  una verifica esclusivamente sulle modalità  previste per raggiungerli. Ancora un’occasione persa: quello raggiunto ieri sulle fonti rinnovabili è davvero un accordo storico, un volano di sviluppo straordinario per un settore industriale che già  oggi nella sola Germania occupa più di 250.000 persone e che in Italia, grazie anche alle favorevoli condizioni climatiche, potrà  avere uno sviluppo impetuoso se solo il Governo la smettesse di remare contro e, ad esempio, emanasse il decreto attuativo della riforma degli incentivi alle rinnovabili che facemmo approvare con l’ultima Finanziaria del nostro governo, e che giace ormai da mesi in qualche cassetto del Ministro Scajola.

Infine sul terzo “20”, quello sulla riduzione delle emissioni di gas di serra su cui si è concentrata la campagna di retroguardia scatenata dal Governo e dai suoi corifei – inventando mirabolanti cifre sui costi puntualmente smentite dalla Commissione – , quello su cui le trattative sono ancora aperte e che, auspicabilmente, troverà  una sua conclusione nel vertice di oggi e domani, mentre appaiono ridicoli i nostri Ministri quando si vantano di avere ottenuto che venissero considerati i meccanismi flessibili che in realtà  nessun paese aveva mai messo in discussione, i punti essenziali per misurare efficacemente i costi e i benefici che ne avrebbe il nostro sistema industriale sono tre: quali le concrete modalità  di applicazione per il settore manifatturiero, quali quelle per il settore termoelettrico, che ricadute avrà  sul nostro tessuto di piccole e medie imprese. E ancora sull’ultimo punto, il compromesso che si profila – esentare da qualsiasi obbligo quegli impianti che stanno sotto il limite delle 5mila tonnellate annue di emissioni di CO2 – è una soluzione che protegge adeguatamente il nostro sistema, in cui è stato decisivo il ruolo giocato dalla delegazione del Pd in Parlamento e non certo quello del nostro Governo, distratto e impegnato solamente in una battaglia che lo vedrà  sconfitto sul settore termoelettrico. Chiedere come hanno fatto i nostri Ministri che vengano assegnate quote di emissioni gratuite di gas di serra ai produttori di energia elettrica vanificherebbe di fatto tutta l’architettura prevista dal pacchetto e si rinuncerebbe ad ogni innovazione in questo settore decisivo. E’ auspicabile e probabile che Sarkozy e gli altri leader sbattano la porta in faccia a Berlusconi e alla nostra Confindustria che si sono ostinati in questa richiesta che non era nemmeno condivisa dall’organizzazione che raggruppa tutte le Confindustrie europee che giustamente, dal loro punto di vista, si concentravano invece sulla trattativa per prevedere un passaggio più graduale per alcuni settori del manifatturiero che altrimenti sarebbero a rischio di delocalizzazione. Questa era una battaglia giusta e se il Governo non avesse avuto un approccio ideologico e miope avrebbe potuto essere molto più efficace. Per fortuna è probabile che anche in questo caso la trattativa finirà  bene, ma paradossalmente avrà  fatto molto di più per il nostro sistema industriale la posizione e l’autorevolezza della Merkel che non i nostri Ministri guidati dall’improvvisazione e dall’approssimazione dovuta alla mancanza di conoscenza degli argomenti trattati.