àˆ da tempo che nel Pd convivono opinioni diverse, anche radicalmente diverse, sul ruolo e le scelte di Sergio Marchionne. Spesso queste differenze tendono a cristallizzarsi in giudizi sommari e un po’ apodittici – Marchionne campione di riformismo o pericoloso reazionario -, mentre sarebbe utile che alle caricature si sostituisse una discussione vera, di merito, sulle strategie industriali e sindacali dell’amministratore delegato della Fiat.
Pietro Ichino, ad esempio, continua a tessere lodi sperticate della svolta impressa da Marchionne all’organizzazione del pianeta-Fiat, e ieri ha firmato sul Corriere della Sera un’ispirata, entusiastica apologia del nuovo stabilimento di Pomigliano: spazioso, luminoso, colorato, insomma una fabbrica “a misura di persona”.
Ora, non dubitiamo che la decrizione fatta da Ichino sia fedele, e del resto era difficile immaginare che una fabbrica ricostruita exnovo nel 2011 in un paese qualsiasi del nord del mondo non presentasse un aspetto più gradevole di quello che hanno stabilimenti vecchi di cinquanta o cento anni. Ma forse il rapporto tra un’azienda e i suoi lavoratori non può ridursi a questo: forse in un quadro di relazioni tra lavoratore e datore di lavoro, tra uomo e macchina che si vuole così moderno, fatica a trovare posto la decisione, su cui lo stesso Ichino esprime dubbi, di escludere dalla nuova fabbrica tutti coloro che hanno in tasca la tessera di un sindacato sgradito.
Ma ciò che a nostro avviso più di tutto manca in questi entusiasmi “marchionniani”, che non spiegano perché mai ci si dovrebbe appassionare a politiche industriali che ignorano del tutto il terreno fondamentale su cui si gioca già oggi e si giocherà sempre di più in futuro la competizione tra case automobilistiche: la volontà e la capacità di innovare, in particolare di innovare nel campo dell’impatto ambientale.
Tutti i grandi concorrenti della Fiat puntano su questo, proponendo modelli sempre piú ecologici. Dal nostro campione nazionale, invece, solo silenzio. La Fiat sembra disinteressata all’auto a metano (che pure aveva sviluppato tra i primi), ed è del tutto invisibile sull’elettrico e sull’ibrido, su cui francesi, giapponesi e tedeschi si stanno sfidando in una serrata corsa tecnologica.
A noi piacerebbe tanto che Marchionne desse risposta a un paio di domande, ci pare sensate: come può la Fiat recuperare il terreno competitivo perduto, che è tanto anche a prescindere dalla crisi, se continua a investire in innovazione, soprattutto in innovazione ecologica, molto meno dei suoi concorrenti? Se per esempio decide di utilizzare sui Suv e sulle Jeep destinati al mercato europeo motori Chrisler che consumano e inquinano molto di più dei pari gamma Mercedes, Bmw o Nissan?
Sarebbe bello se queste stesse cose gliele chiedessero i suoi tifosi: perché gli interni quasi “lussuosi” della nuova Pomigliano non bastano a sanare il vulnus inferto ai diritti sindacali, e il futuro italiano della Fiat e dei suoi lavoratori dipende da altro.
Roberto Della Seta e Francesco Ferrante