Articolo pubblicato su Il Manifesto
Proviamo a fantasticare: e se i «grillini» diventassero per il centrosinistra
ciò che la Lega è stata per il centrodestra? Se più dell’Idv – dove l’appeal
giustizialista di Di Pietro è stata l’occasione per il riciclaggio di seconde
e terze file della prima Repubblica anziché per la promozione di un personale
politico «inedito» e innovativo – finissero per portare un po’ di sangue
fresco nel corpo decisamente anemico dell’attuale Pd e dei suoi alleati, e
molto più dell’esausta e antichissima sinistra radicale portassero temi e
linguaggi contemporanei nel discorso quanto mai stentato e datato del
riformismo italiano?
Le differenze tra i due fenomeni – la Lega degli inizi, questo movimento
«cinque stelle» che presentatosi solo in cinque regioni su 13 ha raccolto
quasi mezzo milione di voti – sono immense. I mondi di riferimento non
potrebbero essere più lontani: da una parte un elettorato poco metropolitano,
non giovanissimo, culturalmente tradizionalista, spaventato dai ritmi sempre
più incalzanti della globalizzazione e dei connessi cambiamenti socio-
economici e per questo allettato dall’offerta di un’identità etnica – la
Padania – magari un po’ inventata ma rassicurante; dall’altra un elettorato
giovane, prevalentemente cittadino, a suo agio con i temi e anche con i
linguaggi e le tecniche comunicative della globalizzazione, proiettato in
un’identità , come direbbe Manuel Castells, «progettuale».
Eppure per più di un aspetto queste due «novità », l’una e l’altra giunte ad un
primo successo nel più totale disinteresse dei media tradizionali, si
assomigliano.
Entrambe hanno raccolto il loro iniziale consenso scagliandosi contro i vizi e
i privilegi del ceto politico consolidato, che per la Lega era «Roma ladrona»
e per i «grillini» è la casta dei politici di professione; entrambe hanno
rifiutato l’etichetta di destra (la Lega) e di sinistra (i «grillini»);
entrambe hanno utilizzato per imporsi un linguaggio rozzo, demagogico,
estremista; entrambe si sono mostrate particolarmente aggressive verso le
forze politiche che attingono al bacino elettorale più vicino (Bossi che dava
del mafioso a Berlusconi e dei porci ai «neofascisti» di An, o che rivendicava
l’ascendenza della Lega nella lotta partigiana; Grillo che riempie di insulti
e di disprezzo i leader del Pd).
Dall’altra parte, come i valori e i temi proposti dalla Lega sono sempre stati
decisamente «di destra» – l’attaccamento alla tradizione, il rifiuto
dell’immigrazione – così quelli dei «grillini» sono oggettivamente e
soggettivamente «di sinistra»: la partecipazione democratica, l’innovazione
tecnologica («banda larga per tutti»), i diritti civili, l’ambiente, un
welfare rinnovato capace di rispondere ai bisogni e ai problemi di gruppi
sociali poco tutelati a cominciare dai giovani e dai precari.
Inoltre sia la Lega che i «grillini» presentano una analoga caratteristica che
li fa contraddittori e in parte sfuggenti: sono forze radicali, populiste,
sotto certi aspetti persino sovversive, e al tempo stesso fanno breccia in un
elettorato non ideologizzato e dunque, si può dire, «di centro».
La Lega che nelle province piemontesi da Cuneo a Novara e nel Veneto ex-bianco
fa il pieno di voti che secondo le categorie politologiche sono squisitamemnte
moderati, i «grillini» votati da un elettorato le cui scelte elettorali si
sottraggono ad ogni criterio di appartenenza. Se questa breve e sommaria
analisi ha qualche base di verità , resta una domanda di fondo: nel caso della
Lega e del centrodestra, l’incontro è stato il capolavoro di due politici con
tratti geniali, Berlusconi e Bossi.
Nel caso dei «grillini» e del centrosinistra, oggi figure così, carismatiche e
capaci di altrettanto, in un campo e nell’altro non sembrano alle viste.
Emergeranno?
ROBERTO DELLA SETA e FRANCESCO FERRANTE