Pubblicato su Ecoscienza – periodico dell’Arpa Emilia Romagna
La green economy può essere la chiave per rispondere alla crisi e costruire nuovo sviluppo e occupazione. L’affermazione ormai si legge ovunque: i documenti dell’Unione Europea e persino la peraltro deludente, sul piano degli impegni concreti, dichiarazione finale del vertice Rio+20 che chiaramente indicava quella strada quale l'”infrastruttura” più utile non solo per affrontare i cambiamenti climatici ma anche per combattere la povertà . Paesi importanti e molto diversi tra loro ne hanno fatto asse portante delle loro politiche industriali: dalla Germania, “locomotiva d’Europa” e leader indiscussa nelle rinnovabili, fino addirittura alla Cina che, pur essendo rapidamente diventata la più grande inquinatrice al mondo “grazie” alla sua impetuosa crescita, sta investendo centinaia di milioni di dollari all’anno su eolico e solare. Ma la green economy non si riduce a rinnovabili ed efficienza energetica: innovazione di prodotto – si pensi alla bio plastica, quella che invece del petrolio usa materia prima vegetale e rinnovabile, i cui leader siamo proprio noi italiani – e dei processi di produzione si diffondono sempre di più. Insomma il cammino sembra chiaramente tracciato, chi lo imbocca per primo potrà godere anche dei vantaggi connessi all’aumento di competitività di cui qualsiasi sistema economico in questo mondo globalizzato ha acuto bisogno. E qui però arrivano le dolenti note per il nostro Paese. In Italia infatti invece di cavalcare l’onda sembra quasi che si sia deciso di frenare o addirittura di remare nella direzione opposta. Prima il Governo Berlusconi , poi lo stesso Ministro dello Sviluppo Economico del governo tecnico, invece di puntare in campo energetico su efficienza e rinnovabili si sono esercitati nel mettere bastoni tra le ruote all’unico settore che in questi anni , svolgendo anche un’utilissima funzione anticiclica, aveva visto un aumento dell’occupazione. Si è così arrivati nel luglio scorso all’emanazione dei due decreti sulle rinnovabili elettriche, il quinto conto energia per i fotovoltaico e l’altro per tutte le altre fonti, che basandosi su complicati sistemi d registri e aste stanno imponendo uno stop dannosissimo all’intero settore. Non era in discussione la necessità di ridurre gli incentivi, per evitare di pesare eccessivamente sulle bollette elettriche e per evitare speculazioni, ma si sarebbe dovuto procedere eliminando pastoie burocratiche e accompagnando dolcemente le tecnologie al raggiungimento della ormai vicina grid parity. Invece nulla di tutto questo: le difficoltà per passare dalla progettazione alla realizzazione di un impianto sono addirittura aumentate, gli istituti di credito stringono maggiormente la borsa e nel caso del fotovoltaico si giunge al paradosso per il quale un decreto che prevede il decalage delle tariffe per cinque semestri per arrivare al 2014, vedrà esaurirsi le risorse disponibili entro i primi mesi dell’anno prossimo. E che dire dell’efficienza energetica per la quale da una parte non è stato ancora emanato il decreto sulle rinnovabili termiche che si attende ormai da oltre un anno, e dall’altra non si rende stabile, anzi la si svuota , quella misura utile e che si era rivelata efficacissima dello sconto fiscale del 55% per ristrutturazioni edilizie che prevedano interventi di risparmio energetico.?! E in questo quadro , già piuttosto sconsolante, qualche settimana fa è uscita una prima bozza di Strategia Energetica Nazionale che , al solito, sul fronte delle rinnovabili è piena di belle intenzioni (superamento degli obiettivi europei al 2020) ma paurosamente vuota di strumenti concreti. E invece in quella stessa Strategia si punta su trivellazioni alla ricerca di petrolio italiano che richiamo di “bucherellare” il nostro territorio e i nostri mari per poco o nulla. Insomma il problema è che a fronte di un sistema produttivo diffuso che sembra pronto a raccogliere la sfida del terzo millennio, lo sguardo dei decisori sembra troppo rivolto all’indietro e troppo attento ai desideri di “poteri forti” legati al fossile. Dobbiamo impegnarci invece per cambiare quella Strategia, far seguire alle parole delle dichiarazioni i fatti delle politiche concrete che pensino a un sistema energetico low carbon , sempre meno dipendente dal fossile e che sempre più punti sulla generazione distribuita da rinnovabili. Con la rete elettrica adeguata, i sistemi di accumulo necessari, la capacità di tenere il gas metano e i cicli combinati quale fonte e tecnologia di transizione indispensabilie. àˆ questa la richiesta che viene da cittadini e imprese a questo la politica dovrebbe saper trovare la risposta .