Intervista di Stefania Taruffi, pubblicata sul web magazine Periodico Italiano.
Nell’ambito della giornata di studio internazionale organizzata dall’ Ateneo Pontificio Regina Apostolorum insieme all’ Università Europea di Roma si è parlato di “Una rivoluzione verde in Africa – Lo sviluppo è il nuovo nome della pace”, focalizzando l’attenzione sul tema dello sviluppo agricolo in Africa.
La posizione della Chiesa e della Fao è stata in quella sede nettamente a favore della necessità di incrementare la produzione di cibo in Africa per affrontare il problema della fame e soprattutto dell’utilizzo degli Ogm (organismi geneticamente modificati) in agricoltura, quale condizione determinante per favorire lo sviluppo agricolo. Di contro però, già dagli anni ’60 gli ambientalisti di tutto il mondo continuano a sottolineare invece i danni che tali semi modificati possono produrre sull’ambiente e sull’uomo.
Vari gruppi di ambientalisti occidentali già allora esercitarono forti pressioni sulla ‘Green Revolution’ di Borlaug, soprattutto in Africa, impedendone di fatto la realizzazione.
Spiega il Dr. Francesco Ferrante, Responsabile Agricoltura e membro della Segreteria Nazionale di Legambiente che “non si hanno abbastanza certezze che le colture da semi Ogm non riducono e compromettono la biodiversità del territorio. Le piante prodotte con semi modificati sono molto resistenti e quindi invasive”. E ricorda che “in realtà con gli Ogm i rischi potenziali e spesso rilevati ci sono, lo abbiamo visto con la vicenda della multinazionale americana Monsanto, specializzata in biotecnologie agrarie”.
Ricordiamo che il mais Ogm prodotto da questa azienda era stato approvato dalla Commissione Europea per il consumo umano. In seguito, una revisione dei dati della sperimentazione, voluta e promossa da Greenpeace, ha dimostrato effetti tossici sui reni e sul fegato. Ricorda inoltre Ferrante che “nessuna compagnia assicurativa assicura i produttori di Ogm dai disastri ambientali rilasciati dal loro utilizzo nell’ambiente, anche questo è un dato indicativo”.
E rispetto alla ‘rivoluzione verde’ Ferrante sostiene che “di fatto non è mai avvenuta perché non ha risolto affatto il problema della fame nel mondo e continuano a morire milioni di persone”. Il Responsabile Agricoltura di Legambiente afferma dunque che “non esiste al momento un problema di mancanza globale di cibo, ma quello di una corretta distribuzione delle produzioni. Non serve dunque aumentare la produttività , di conseguenza non servono semi geneticamente modificati. Occorre piuttosto sostenere i paesi sottosviluppati con una politica di ‘miglioramento delle tradizionali tecniche agricole’, favorendo l’introduzione di macchine, di tecniche di coltura tradizionale più evolute, la creazione di sistemi di irrigazione e così via”.
Concetto che trova riscontro nelle parole del contadino africano intervistato in occasione della giornata internazionale sulla Rivoluzione verde in Africa di cui sopra, Motlatsi Musi, che ai vantaggi economici e produttivi ottenuti con i semi Ogm evidenziava anche un grande problema: “La mia produzione con l’utilizzo dei semi di mais modificati è aumentata sì del 40%, ma spesso mi trovo nella condizione di avere un’eccedenza produttiva che non so come smaltire rispetto alla richiesta locale. Il mio vero problema è la distribuzione commerciale del surplus ad altre regioni con meno produttività ”.
Inoltre nel discorso di Musi emergeva anche che con i guadagni del suo lavoro agricolo egli ha potuto acquistare un mulino a mano, una seminatrice automatica e una pompa per portare acqua alle sue coltivazioni. Il che denota, come è facile immaginare, una generale mancanza di attrezzature agricole che esula dal problema dei semi Ogm e rientra in generale nella necessità di un programma di investimenti mirati nel settore agricolo.
Ferrante di Legambiente sostiene inoltre che “il problema sono le multinazionali che puntano a vendere i semi Ogm da loro brevettati ai contadini africani i quali non hanno più la proprietà dei loro semi”. Il continente africano va sicuramente aiutato. Ma non aumentando la sua capacità produttiva senza tenere conto dell’ambiente, della popolazione indigena che vive spesso in tribù la cui economia è basata sulla rotazione agricola, proprio a causa delle difficili condizioni ambientali. L’equilibrio dell’uomo con il territorio nel quale vive non può non passare dalla ragionevolezza, ovvero in una sostenibilità di questo rapporto non solo attraverso la tecnologia ma anche e soprattutto attraverso un sistema ben applicato di relazioni sociali interne ed esterne miranti a favorire un processo di evoluzione naturale e migliori scambi commerciali con altri paesi produttori.