pubblicato su QualEnergia di giù/lug 2015
“Power to the people in energy revolution”, questo il titolo che occupava tutta la prima pagina del The Times di Londra sabato 2 maggio. Il servizio era sulla presentazione delle nuove batterie di Tesla e oltre all’ovvia, e amara, costatazione che nelnostro Paese è impossibile che un grande giornale dedichi altrettanta attenzione a questi temi, il punto fondamentale, come sanno bene i lettori di Qual Energia, approfondito anche nell’articolo del The Times, è che l’innovazione tecnologica sta rivoluzionando il sistema energetico e di conseguenza il nostro stesso modo di vivere. La generazione distribuita è la nuova frontiera su cui ci si misura in tutto il mondo perché i costi di conversione da fonti rinnovabili diminuiscono in maniera spettacolare e rapidissima e rendono convenienti tecnologie e impianti di piccola potenza che solo fino a pochissimo tempo fa venivano scartati perché “anti-economici”. L’innovazione energetica sta procedendo velocemente anche in un settore ‘storico’ – in Italia – delle fonti rinnovabili, come quello della geotermia. Oggi infatti l’opportunità di produrre energia pulita da risorse geotermiche a profondità e temperature molto inferiori rispetto al passato (media e bassa entalpia), attraverso impianti più piccoli, che meglio si possono integrare sia rispetto ai delicati equilibri del sottosuolo, sia relativamente a quelli altrettanto sensibili che riguardano il prezioso paesaggio italiano.
In Italia gli impianti ad alta entalpia (la tecnologia più vecchia), la maggior parte dei quali si trovano in Toscana e grazie ai quali l’Italia è il primo produttore italiano di energia elettrica da geotermia (i GWh prodotti sono 6mila), forse non c’è molto spazio per aumentare la produzione di questi impianti che sono quelli che maggior impatto hanno sul territorio,
Ma invece si puo’ lavorare su quelli a media entalpia (già oggi producono 500 MWh) e in particolare con quelli a ciclo binario a reimmissione completa e a emissioni zero. In Italia la legge prevede di favorire la realizzazione di dieci progetti pilota per lo sviluppo di impianti geotermici a media entalpia di piccola taglia (5MW): dal successo di queste sperimentazioni – che metteranno in moto investimenti privati per circa 400 milioni di euro – verrà una spinta decisiva per l’innovazione italiana in geotermia. E altrettanto interessante è la possibilità offerta da piccoli impianti da 200 kW (che occupano 60 mq e hanno bisogno di pozzi di appena 400 m di profondità ).
Quando però abbiamo organizzato nel marzo scorso – in un appuntamento speciale del Forum Qual Energia – un confronto tra esperti, amministratori, associazioni e imprese , ciò che è apparso evidente è l’assoluta mancanza di fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni che dovrebbero esercitare un controllo “terzo” sulle iniziative imprenditoriali, e di qui la confusione. Una confusione grave, che non solo non sa distinguere tra le diverse tecnologie geotermiche, ma che induce a far entrare nei ragionamenti di alcuni cittadini inceneritori, depositi nucleari e chi più ne ha più ne metta. A alcuni sembra che “tutte le vacche siano grigie” e che quindi ci si debba opporre – con la stessa intensità – a qualsiasi impianto. E inevitabilmente entrano in conflitto con altri cittadini, tecnici, imprenditori che, al contrario, ritengono che scegliendo le tecnologie più adatte e puntando sulle rinnovabili si possa costruire un futuro migliore, non solo in generale, nella lotta ai cambiamenti climatici, ma anche concretamente sui territori mettendo in campo iniziative anche in grado di rilanciare l’occupazione.
Per la geotermia a media entalpia per esempio l’obiettivo di 30mila posti di lavoro non è affatto una chimera. Certo sono posti di lavoro diffusi non concentrati. La forza della generazione distribuita sta proprio nel rinunciare alle grandi mega-centrali (dove certo lavoravano in tanti ma erano fonte di inquinamento grave e di danni alla salute) in favore di impianti più piccoli, puliti e disseminati sul territorio. Servono allora istituzioni più affidabili e la consapevolezza che in futuro sempre più territori saranno interessati dalle istallazioni di impianti da fonti rinnovabili. Lo slogan del futuro può essere la frase di Diderot “anche il bene va fatto bene” ma sempre tenendo presente che “dobbiamo fare”: uscire dall’era del fossile è possibile ma non succede da sé, servono imprese che investano, cittadini organizzati che spingano in quella direzione e sorveglino, istituzioni preparate e che sappiano darsi una strategia.
Da queste riflessioni è nato l’appello SmartItaly che riproduciamo in queste pagine
Francesco Ferrante
Vicepresidente Kyoto Club