E’ stato giusto intervenire

L’ordine non regna a Bengasi. Prendendo in prestito l’espressione usata centottanta anni fa da un ministro degli esteri francesi per informare il suo Parlamento che i russi si erano impadroniti di Varsavia, frase divenuta simbolo della ragione di stato che prevale su ogni considerazione etica e umanitaria, si può dire che questo – impedire a Gheddafi di riprendersi Bengasi, arginare la violenza indiscriminata contro le città  liberate dagli insorti – fosse l’obiettivo della Risoluzione votata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu e che questo obiettivo sia stato per ora raggiunto.
Al netto delle polemiche più o meno strumentali, e al netto anche dei calcoli ad uso di politica interna che hanno mosso le scelte dei principali sponsor di un’azione di “ingerenza umanitaria” nella crisi libica, ciò rende l’intervento della comunità  internazionale in Libia pienamente legittimo e anzi, noi crediamo, giusto e dovuto. Nessun paragone è possibile con altri eventi recenti del dopo-11 settembre: non con l’Afghanistan, dove condivisibile o no la scelta dell’invasione nacque dall’obiettivo squisitamente politico di abbattere il regime talebano; ancora meno con l’Iraq, dove l’azione militare per eliminare Saddam Hussein rispondeva all’ideologia della “guerra preventiva” e dell’esportazione della democrazia. Semmai l’intervento in Libia si può confrontare con le iniziative politico-militari della comunità  iternazionale per fermare la guerra nella ex-Jugoslavia: tardive e sostanzialmente inefficaci in una prima fase – gli anni della guerra in Bosnia quando anche grandi coscienze pacifiste come Alex Langer invocarono disperatamente la discesa in campo dell’Occidente -, più tempestive nel caso del Kosovo dove però, è bene ricordarlo, l’intervento in difesa della popolazione albanese martoriata da Milosevic avvenne senza mandato delle Nazioni Unite e secondo modalità , le bombe su Belgrado, assai poco umanitarie.
E’ stato giusto intervenire in Libia, e in questo caso più che in molti altri l’azione militare ha di fatto lasciato fra parentesi gli egoismi nazionali e la stessa ragion di stato. Lo dimostrano i distinguo a casa nostra della Lega, per la quale migliaia di libici ammazzati contano meno che fermare l’arrivo in Italia di qualche centinaio di migranti in fuga dalla guerra, e lo dimostrano i “mal di pancia” di tanti, a destra, che dopo aver inneggiato per anni alle guerre di Bush adesso eccepiscono, come Ostellino sul Corriere di ieri, “sul diritto di intervento nei confronti di un Paese membro delle Nazioni Unite in preda a una rivolta interna”.
Naturalmente è vero, come molti ripetono in questi giorni, che Gheddafi non è l’unico tiranno al potere nel mondo, e che l’Europa e l’Occidente, come per anni hanno onorato lui ben conoscendone i delitti, così continuano ad onorare un’infinità  di suoi omologhi. Ma questa non è una buona ragione per opporsi oggi all’intervento in Libia. Per noi, da pacifisti convinti che non c’è pace senza giustizia, un mondo dove la sovranità  nazionale trova finalmente, seppure in un caso su molti, un limite invalicabile nella violazione sistematica dei più elementari diritti umani, è un mondo decisamente migliore.
ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCO FERRANTE