Inizia domani a Rio de Janeiro il vertice internazionale sull’ambiente che
si concluderà venerdì. Alla vigilia non si può essere ottimisti e sperare
che il documento conclusivo rappresenti una svolta all’altezza della sfida
in campo. Le negoziazioni che durano da tempo e che si sono svolte in
quest’ultima settimana qui, nella metropoli brasiliana, segnano distanze
profonde fra gli attori in campo: l’Europa che non rinuncia a esercitare una
leadership sulle politiche per lo sviluppo sostenibile, però obiettivamente
infiacchita dalla sua nota debolezza politica, ha di fronte da una parte i
paesi emergenti – Brasile, Sud Africa, India, Cina – sempre più potenti e,
che pur scegliendo politiche interne sempre più “green oriented”, sono
riluttanti ad accettare impegni stringenti che possano diventare freno al
loro sviluppo; dall’altra i paesi più poveri – organizzati nel G77 – che
giustamente reclamano fondi adeguati dopo essere stati vittime di uno
sviluppo che li ha depredati delle loro risorse e che spesso fa pagare
proprio a loro, si pensi alla desertificazione avanzante causata dai
cambiamenti climatici nei paesi dell’Africa sub sahariana o alle isole del
Pacifico minacciate dall’innalzamento del livello degli oceani, i prezzi
della nostra ricchezza. Inoltre gli Usa, dopo le speranze innescate
dall’elezione di Obama ormai quasi quattro anni fa, sono tornati a svolgere
un ruolo di retroguardia insieme ad altri paesi sviluppati, come ad esempio
il Canada che vuole cancellate proprio in questi giorni le proprie leggi che
si proponevano di affrontare il cambiamento climatico.
Servirebbe “un miracolo politico” nelle prossime ore per passare dai
generici impegni di cui sarà certamente piena la dichiarazione finale a
qualcosa di più stringente (risorse certe, percorso in tempi fissati per
raggiungere obiettivi chiari) che metta davvero al centro delle politiche di
tutti la sostenibilità per la costruzione di un mondo migliore.
Ma nonostante le obiettive difficoltà , l’appuntamento resta molto
importante, e non solo perché qui sono tutti i Governi del mondo
rappresentati da oltre 100 capi di Stato, e perché da qui appare evidente
l’intreccio tra crisi ambientale e quella economica per cui per affrontare
la seconda non si può che puntare su quella green economy che può salvare il
pianeta. Il motivo più fondato per non farsi trascinare dal pessimismo sta
proprio nel titolo del vertice : “Rio + 20”. Ciò che è cambiato nei
vent’anni dal primo storico vertice ONU sull’ambiente Ä— che , anche grazie
alla straordinaria innovazione tecnologica cui abbiamo assistito nel
frattempo, molte delle cose che allora dovevano essere declinate al futuro
oggi sono concrete realtà . L’uscita dall'”era del fossile”, allora utopia
delle associazioni ambientaliste, oggi è diventato obiettivo politico
raggiungibile. La Germania, il paese locomotiva d’Europa, si propone di
consumare energia proveniente esclusivamente da fonti rinnovabili entro il
2050; si diffonde sempre più la “chimica verde” grazie alla quale possiamo
ottenere prodotti da materia prima vegetale e rinnovabile e non più da
petrolio; progetti di mobilità sostenibile che ci liberino dalla dipendenza
dal vecchio “oro nero” si fanno avanti. Certo le difficoltà sono ancora
molte e, prima fra tutte, la difficoltà di conciliare la sacrosanta voglia
di uscire dalla povertà di miliardi di persone sul pianeta con la
contemporanea ricerca di un nuovo modello di sviluppo. E senz’altro, siccome
“anche il bene va fatto bene”, la green economy è condizione solo necessaria
ma non sufficiente per costruire un mondo più giusto. Ma a noi pare che la
strada sia tracciata e per questo sarebbe assai importante che i Governi
avessero più coraggio e che quel “miracolo politico” avvenisse già a Rio.
In questo quadro quale il ruolo dell’Italia? Certo le timidezze e alcuni
passi indietro (vedi gli ostacoli posti alla crescita delle rinnovabili o l’
ultimo decreto sviluppo e gli errori gravi su green economy lì contenuti)
non aiutano, ma il Ministro Clini ha fatto scelta politica intelligente
rimettendo il nostro Paese nel main stream delle politiche dell’Unione
Europea, uscendo dal ruolo di palla al piede che lo aveva caratterizzato ai
tempi del Governo Berlusconi. La domanda però interroga l’intera classe
dirigente del nostro Paese che pare ancora troppo distante e arretrata, e il
fatto che il sottoscritto sia l’unico parlamentare che parteciperà al
vertice non è un bel segnale.
Francesco Ferrante