Il Pd ha un problema. Più esattamente: ne ha tanti, ma uno in particolare che è proprio tutto suo, costitutivo, non dipende né dall’azzardo delle larghe intese né dalle imboscate di Berlusconi e neppure dall’aspra dialettica congressuale. E’ un problema che condivide con altri, ma ma nel suo caso è particolarmente ingombrante vista l’ambizione, del Pd medesimo, di proporsi come forza centrale per un cambiamento radicale e virtuoso.
Questo problema in più nasce da un rapporto vischioso, talvolta decisamente opaco con la sfera degli interessi economici.
Il punto, sia chiaro, non è che il Pd intrattiene relazioni con il mondo dell’impresa e anche con singoli imprenditori: sarebbe una follia se non lo facesse, poiché le necessità e le richieste delle imprese sono parte decisiva di ogni progetto plausibile di governo dell’Italia.
No, la faccenda è diversa: è che talvolta, abbastanza spesso, questi legami paiono ispirati da logiche inconfessabili, cioè fanno sorgere il dubbio che sulle posizioni e sulle scelte del Pd la convenienza privata di questo o di quell’interesse “costituito” pesi di più di una considerazione, per quanto opinabile, dell’interesse generale.
Meglio di tanti scandali che vedono accusati di corruzione esponenti del Pd – da Penati, a Del Turco, a Lorenzetti, fino alle ricorrenti indagini che coinvolgono dirigenti del Pd siciliano -, meglio persino di quel monumento agli intrecci impropri tra sinistra politica e sistema bancario che si chiama Monte dei Paschi, due altri esempi, sebbene irrilevanti sul piano giudiziario, aiutano a chiarire ciò che intendiamo. Li riassumiamo in alcune domande. E’ accettabile in termini di “ecologia della politica” che Pierluigi Bersani quando era responsabile economico dei Ds abbia ricevuto – in modo, sia chiaro, formalmente lecito – 100 mila euro di finanziamento per la sua campagna elettorale dai Riva, proprietari dell’Ilva, e 100 mila da Federacciai che dell’Ilva è di fatto un emanazione? Come non pensare che ciò abbia condizionato in qualche misura l’atteggiamento che egli tenne verso la già molto controversa gestione industriale dell’Ilva, prima da responsabile economico dei Ds e subito dopo da Ministro dello sviluppo?
Ancora. Il fatto (anch’esso non contrario ad alcuna norma di legge) che Matteo Colaninno, attuale responsabile economico del Pd, sia al tempo stesso amministratore delegato di Omniaholding, cassaforte “di famiglia” che attraverso Immsi – società ex-Telecom rilevata nel 2002 da suo padre Roberto – detiene il 7% delle azioni Alitalia, non intacca in nulla la credibilità e la trasparenza delle posizioni del Pd sui casi Telecom e Alitalia?
Qualcuno che ci conosce obietterà che queste nostre osservazioni sono dettate dal risentimento con cui molti “ex” (noi lo siamo) vivono l’abbandono della vecchia casa politica.
Per una parte almeno chi la pensa così non ha torto. Il fatto è che le cose che scriviamo qui le dicevamo identiche da dirigenti del Partito democratico. Per esempio abbiamo detto più volte – non proprio ascoltatissimi, da qualcuno (l’allora deputato tarantino del Pd Ludovico Vico) esplicitamente minacciati – che il bubbone dell’Ilva di Taranto nasce anche dalla complicità con i Riva di quasi tutta la politica: locale e nazionale, di destra e di sinistra. Volevamo un Pd inattaccabile sul fronte dell’etica pubblica, vorremmo una sinistra che la smetta di “tubare” con quella lunga schiera di furbetti e furboni che da Ilva, a Telecom, ad Alitalia ha distrutto ricchezza e salute degli italiani. Una sinistra – qui il tema non è più soltanto etico – che invece di fare da stampella ai resti sempre più fatiscenti del vecchio capitalismo cresciuto sui sussidi, sulle protezioni politiche, sulle chiusure oligopoliste, rivolga finalmente attenzione e cura a quell’altra economia, sistematicamente trascurata dalle politiche pubbliche ma decisamente più vitale e più strategica, che vive di mercato e di innovazione, fatta di migliaia di imprese piccole e meno piccole che scommettono sul futuro e combattono a viso aperto nell’arena globalizzata.
Se questo auspicio è spirito di vendetta allora sì, non desideriamo altro.
ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCO FERRANTE