pubblicato su huffingtonpost.it
Mentre in Italia Matteo Renzi e la minoranza Pd si insultavano sull’articolo 18 conRenzi dipinto come la nuova Thatcher e Fassina, Bersani, Cuperlo liquidati come dinosauri in estinzione, a New York 300 mila persone manifestavano nella “marcia per il clima“, invocando dai governi misure radicali per fermare i cambiamenti climatici passando dall’energia del petrolio a quella del sole e dell’efficienza. Le due vicende sono in apparenza del tutto scollegate, ma in realtà rimandano entrambe a una stessa domanda: cosa significa essere di sinistra nell’Italia del 2014?
Certamente, su questo Renzi ha ragione da vendere, non significa trattare l’articolo 18 come un totem intoccabile. Anche per colpa di un sindacato decisamente strabico, il mondo del lavoro italiano è tra i più iniqui dell’Occidente: milioni di precari e di lavoratori cosiddetti atipici sono esclusi da qualunque tutela, non solo rispetto al licenziamento ma di fronte alla possibilità , che dovrebbe essere un diritto, di progettare il proprio futuro e di non rischiare, se perdono il lavoro, la povertà assoluta. Ciò non vuol dire naturalmente che gli “altri”, i “garantiti” – per esempio qualche milione di operai o di dipendenti pubblici che guadagnano poco più di 1000 euro al mese e godono della “copertura” dell’articolo 18 – siano dei “privilegiati”, come spudoratamente e incredibilmente ha dichiarato la vicesegretaria Pd Serracchiani. Ma certo, nell’Italia di oggi rinnovare alla radice le regole che governano il mercato del lavoro secondo il principio di tutele crescenti e universali è un obiettivo squisitamente di sinistra, e chi lo contrasta merita fino infondo la qualifica di conservatore. Per essere ancora più chiari: se la riforma preannunciata da Renzi sostituisse a strumenti selettivi come la cassa integrazione straordinaria o in deroga l’accesso per tutti i lavoratori nei periodi di non-lavoro a un vero sussidio di disoccupazione (passaggio, va sottolineato, non proprio a costo zero per il bilancio dello Stato…), anche se cancellasse la tutela dell’articolo 18 (tranne che per i licenziamenti discriminatori) essa farebbe dell’Italia un Paese più giusto, più progredito.
Altrettanto “di sinistra”, nel mondo attuale, è battersi contro i cambiamenti climatici che minacciano il benessere dell’uomo prima ancora degli equilibri naturali, che in Italia aggiungono fragilità a un territorio già martoriato dal dissesto idrogeologico e che come dimostrano innumerevoli tragedie recenti – dall’uragano Katrina in avanti – colpiscono con più forza i più deboli e i più poveri. Insomma, i danni prodotti dal “climate change” sono più classisti che democratici! In più, la lotta per il clima è anche il cuore di una nuova economia – efficienza energetica, fonti rinnovabili, chimica verde, manutenzione edilizia, riciclaggio dei rifiuti – che in questi anni di crisi si è dimostrata la più efficace per creare lavoro e resistere alla recessione.
A questo punto del discorso nasce però un problema. Se c’è una questione su cui Renzi e i suoi oppositori nel Pd vanno perfettamente d’accordo è proprio l’ambiente: nel senso che tutti, tranne rare “mosche bianche” tipo Realacci e Civati, se ne infischiano. Avete mai sentito Fassina o Cuperlo dire che l’ecologia è la via maestra per combattere il declino economico, industriale, sociale dell’Italia? Noi no, mai. Se ne fregano, come se ne frega Renzi che addirittura, nel recente decreto sblocca-Italia, ha infilato una serie di norme per trivellare la terra e il mare italiani alla ricerca di un po’ di petrolio (poco e di pessima qualità ) e invece continua a mettere i bastoni tra le ruote alle politiche per l’efficienza energetica e per lo sviluppo delle rinnovabili.
Davanti alla sfida “verde” che arriva dai 300 mila di New York e dai tanti altri che hanno sfilato in decine di città del mondo Roma compresa, Renzi come Bersani e Fassina e come il 99% della politica italiana stanno tutti dalla stessa parte. Sono tutti, rubiamo l’espressione al presidente del consiglio, irrimediabilmente “vecchia guardia”. Resta una piccola speranza: ora Renzi è in America, in viaggio tra la California simbolo della “green economy” e dell’economia dematerializzata, e il palazzo delle Nazioni Unite dove Ban Ki-moon ha convocato i leader mondiali per discutere dell’emergenza-clima; magari lì si convince che la sinistra delle trivelle petrolifere è altrettanto giurassica di quella degli ex-comunisti.
ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCO FERRANTE