Clima. Le bugie del governo

Da grandissimo, geniale illusionista qual è sempre stato, Silvio Berlusconi è riuscito a far passare l’accordo sul pacchetto clima della Ue , l’ormai celebre “20-20-20” contro i mutamenti climatici, come un successo trionfale suo e del suo Governo: “Ci hanno dato soddisfazione su tutto – così il premier -, meglio non poteva andare”. 

In realtà , quasi tutte le richieste di Roma non sono state accolte: per constatarlo basta confrontare i contenuti dell’accordo con le dichiarazioni sul tema rese quasi quotidianamente negli ultimi due mesi da Berlusconi, dai suoi ministri, dalla presidente di Confindustria che è stata la più autorevole suggeritrice del tentativo di boicottare il pacchetto.

In una prima fase, il Governo ha chiesto che l’adozione del pacchetto clima venisse rinviata di almeno un anno, perché troppo costosa per l’Italia e perché incompatibile con l’attuale, drammatica crisi economica. Da Bruxelles, da Parigi, da Londra, da Berlino è stato risposto che i costi lamentati da Roma erano largamente “gonfiati” e che le misure necessarie per fronteggiare i mutamenti climatici – più efficienza energetica, più energie pulite – torneranno utili anche per rispondere alla recessione perché serviranno ad alleggerire i costi energetici a carico delle famiglie e delle imprese, a favorire la nascita di molti posti di lavoro nei settori legati all’innovazione energetica, a ridurre le importazioni di petrolio. Risultato? L’accordo si è fatto, gli obiettivi inizialmente previsti (-20% sulle emissioni dannose per il clima, più 20% di efficienza energetica, almeno il 20% di energie pulite) non sono stati toccati.  

Fallito l’obiettivo principale, Berlusconi ha avanzato una serie di proposte subordinate rivolte a svuotare di fatto l’efficacia del pacchetto clima, ma anche questo “piano B” non ha avuto molto successo. Bocciata la proposta (non condivisa nemmeno dalle organizzazioni degli industriali degli altri Paesi europei) di esentare dal pagamento delle quote di emissione il settore termoelettrico. Bocciata la richiesta di inserire una “clausola di revisione” al 2009, dopo la conferenza Onu di Copenaghen, con la quale i “nostri” volevano mettere nero su bianco il concetto che se in Danimarca non si troverà  l’accordo, il pacchetto clima sarebbe tornato in discussione. Bocciata la richiesta di abbassare per l’Italia l’obiettivo di produzione di energia da fonti rinnovabili da raggiungere entro il 2020 (pretesa oltre modo “tafazziana” per il “Paese del sole”, che dallo sviluppo delle rinnovabili potrebbe trarre enormi benefici anche economici). Infine, l’ultima bugia: l’Italia avrebbe strappato la garanzia di una speciale protezione per i propri settori industriali a rischio delocalizzazione. Anche questo è falso: il meccanismo inserito nell’accordo protegge (consentendo loro di pagare un po’ meno per le quote di emissione) soprattutto quei settori manifatturieri, quali la siderurgia, molto cari alla Germania, mentre lascia nell’incertezza su quanto pagheranno (un’incertezza che non si scioglierà  prima del 2010) i settori più importanti per il sistema industriale italiano quali il vetro, la carta, la ceramica. Insomma, per l’industria manifatturiera italiana hanno fatto molto di più le riservate pressioni dei  tedeschi che non le scomposte minacce di veto del nostro premier.

Resta allora una domanda: come è possibile che quasi tutti i giornali e i telegiornali italiani, con rare eccezioni, abbiano dato totale credito alle frottole di Berlusconi? Certo non è l’unico caso in cui il nostro sistema mediatico mostra di sentirsi ancora pienamente in “luna di miele” con il Governo, ma su questo tema si evidenzia un problema in più: la pigrizia e l’ignoranza di troppi nostri “informatori”. Un buco da colmare rapidamente visto che come dimostra l’esito dell’ultimo consiglio europeo, come testimoniano con forza ancora maggiore le prime scelte del presidente eletto Usa Barack Obama,  la questione ambientale e quella connessa della lotta ai mutamenti climatici sono oggi e saranno sempre di più al centro dell’agenda politica e dello stesso cammino per dare risposte rapide, efficaci, innovative ai rischi di collasso dell’economia.