Documenti

Incentivi alle rinnovabili, ma per le rinnovabili

Pubblicato sul portale AgiEnergia

Sono sostenibili i costi che la collettività  sostiene per incentivare il ricorso alle fonti rinnovabili, indispensabili per combattere i cambiamenti climatici e per promuovere quella green economy che a livello internazionale viene vista come strada fondamentale per affrontare la crisi economica? Intanto facciamo un po’ di chiarezza su quanto spendiamo oggi. Nel 2008 gli oneri Cip 6 scaricati sulle nostre bollette ammontavano a 1,8 miliardi di euro. Ma se andiamo a vedere dentro quei numeri, scopriremo che per le fonti effettivamente rinnovabili (geotermia, solare, eolico) si sono spesi poco più di 200 milioni, mentre invece se ne sono “regalati” ai petrolieri che bruciano combustibili fossili ben 800 milioni grazie alla trovata tutta italiana delle “assimilate” per cui per anni abbiamo concesso a fonti non rinnovabili gli stessi incentivi che in tutta Europa erano destinati esclusivamente alle fonti pulite. Questa “truffa” l’avremmo fermata con la prima finanziaria del governo Prodi, quella del 2007, con una norma che finalmente riallineava il nostro Paese agli altri paesi europei cancellando le “assimilate”. Bisogna però usare il condizionale perché se è vero che il regalo ai petrolieri sta finendo e quegli 800 milioni in futuro resteranno giustamente nelle tasche dei cittadini, successivamente a quel dicembre 2006,  più volte la lobby degli inceneritoristi ha provato a salvare gli oltre 700 milioni che attualmente si spendono per gli RSU che invece andrebbero concessi solo per la parte dei rifiuti biodegradabile (al massimo il 50%). Con questo Governo quegli assalti sono andati a buon fine almeno per gli inceneritori che si dovrebbero costruire in Campania e in Sicilia e comunque le proroghe sono sempre in agguato. La prima cosa quindi che si dovrebbe fare affinché i cittadini  non paghino in tariffa costi davvero impropri sarebbe quella di impedire che in Parlamento vincessero le lobby e che non si modifichi più quella norma – faccio peraltro notare che in tutta Europa si bruciano rifiuti per recuperare energia senza usufruire di incentivi. Quindi nel 2008 i costi che abbiamo sostenuto per le vere rinnovabili considerando anche i 110 milioni per il “conto energia” dedicato al fotovoltaico e i 400 per i certificati verdi – restano al di sotto di 1 miliardo di euro, meno di quanto abbiamo speso per sostenere i profitti di aziende petrolifere e di quelle impegnate nello smaltimento dei rifiuti!
Per il futuro è comunque corretto pensare a una riduzione degli incentivi. Essendo stato autore insieme a Edo Ronchi della riforma delle incentivazioni, nella finanziaria del 2008, ovviamente difendo la scelta di allora, utile per far finalmente “partire” le rinnovabili in questo Paese. E così è stato: siamo arrivati a 500 Mw di solare fotovoltaico istallato e l’anno scorso abbiamo prodotto oltre 6 Twh di energia elettrica con il vento. Insomma quegli incentivi sono stati il volano giusto, ora si possono però riallineare con quelli previsti negli altri paesi Europei, magari contemporaneamente assicurando che le linee guida per le rinnovabili, in gestazione tra il Ministero dell’Ambiente, quello dello Sviluppo Economico e quello dei Beni Culturali  da oltre 10 anni, vengano finalmente partorite e costringendo le Regioni (come prevede la legge) a darsi obiettivi vincolanti nella produzione di energia da rinnovabili in  modo che gli obiettivi al 2020 possano davvero essere raggiunti.

In questo quadro per cui, se non si legifera allegramente sulle assimilate e se il Governo riduce con giudizio gli incentivi per le rinnovabili, i 7 miliardi di spese paventati dall’Autorità  per il futuro sono un rischio che non correremo, non credo abbia senso spostare quegli oneri dalla tariffa elettrica alla fiscalità  generale: peraltro in nessun Paese europeo dove il meccanismo funziona si è scelta quella strada. Due i motivi fondamentali per cui è meglio rimanere con questo sistema: il primo è quello per cui così internalizziamo i costi e i cittadini sanno con un meccanismo trasparente (la tariffa A3) che quelli sono i costi che stanno sostenendo per quella causa, il secondo, molto più pratico, è che così quelle risorse non sono a disposizione del Ministro del Tesoro di turno che, in periodi di crisi , o per scelte “politiche” contingenti, potrebbe avere la tentazione di toglierle, ridurle, fissare tetti che vanificherebbero tutto il meccanismo. Ovviamente però potrebbero essere apportate utili correzioni a quel meccanismo: esentare dall’IVA il costo che in bolletta si sostiene per incentivare le rinnovabili e spostare sulla fiscalità  generale altri oneri di sistema, quali ad esempio il decomissioning nucleare, che attualmente pesano impropriamente sulle nostre bollette, sarebbero ad esempio interventi auspicabili e che si potrebbero prendere immediatamente.

Francesco Ferrante

 

GREEN ECONOMY

Guardiagrele (Ch), venerdì 17 luglio 2009
 

SEMINARIO ESTIVO DI SYMBOLA
 

Green economy: esperienze e prospettive
Francesco Ferrante, vicepresidente Kyoto Club
 

Siamo nel pieno di una grave crisi economica, di cui forse i mesi peggiori sono ancora davanti a noi: come affrontarla? Si può, nello stesso tempo, rimediare ai guasti peggiori della crisi, difendere i più deboli che perdono lavoro, le imprese in difficoltà   e insieme pensare al futuro e dare nuove opportunità  al sistema affinché si possa uscire dalla crisi con un “nuovo benessere” e una migliore qualità  della vita per le persone? Per rispondere a questa domanda in tutto il mondo – dagli Stati Uniti all’Europa, ma anche nei paesi emergenti ,dal Brasile all’India, alla Cina – ci si sta rivolgendo alla “green economy”, a quell’economia che punta sull’innovazione tecnologica, nel comparto energetico innanzitutto – efficienza e fonti rinnovabili – ma anche ad esempio su nuovi sistemi di mobilità  e trasporto, applicando l’information technology anche in questo campo. Una “green economy” parente stretta della “soft economy”  teorizzata da Ermete Realacci e che è alla base della stessa nascita di Symbola, e nella quale a pieno titolo vanno considerate quelle imprese che puntano sulla valorizzazione di “beni” tradizionali come ad esempio quelli di cui il nostro Paese e l’Abruzzo, dove teniamo questo seminario, sono ricchissimi: paesaggio, natura, cultura, tradizioni eno-gastronomiche.
 

Non a caso il progetto “banca delle risorse”, che Legambiente ha voluto lanciare insieme all’Anci all’indomani del territorio con l’obiettivo di incrociare le richieste dei comuni abruzzesi colpiti dal sisma con le offerte di solidarietà  provenienti da tutta Italia, sta incontrando i primi successi proprio dall’attenzione di quelle aziende che lavorando sulla qualità  hanno anche un elevato tasso di responsabilità  sociale.
 

Sul piano globale, lo straordinario impatto che sta avendo sulla scena mondiale l’avvento di Barak Obama ha tra l’altro anche il merito di rendere evidente che la strada per costruire una società  più equa e giusta sia sul piano interno – si pensi alla vera rivoluzione che il Presidente Usa propone nel sistema sanitario di quel Paese – che a livello globale – le politiche di pace, quelle di cooperazione e rispetto verso l’Africa – sono un tutt’uno con le politiche ambientali. E infatti nel proporre l’introduzione del sistema “cap and trade” per l’anidride carbonica, un sistema che quando definitivamente approvato provocherà  una vera e propria rivoluzione nel modo di produrre della più grande economia del mondo,  temi etici – “noi ricchi dobbiamo assumerci l’onere di fermare la febbre del pianeta che abbiamo causato e di cui pagano le maggiori conseguenze i paesi poveri” – andavano a braccetto con quelli di convenienza – “noi americani dobbiamo liberarci dalla dipendenza dal petrolio e dai paesi che lo producono”.
E dobbiamo anche riflettere su un’altra novità  che sta avvenendo nel paese che già  oggi è il grande inquinatore e che sempre più peserà  nell’economia mondiale: la Cina. E’ vero che quel paese, insieme agli altri emergenti come l’India e il Brasile, è il più riluttante a firmare accordi internazionali vincolanti sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica, ed è vero che il loro approccio di fronte alla richiesta di riduzione di quelle emissioni è stato sino adesso del tipo: “ma che volete? Avete inquinato sino adesso e siete i responsabili di questo straordinario aumento di concentrazione di CO2 in atmosfera perché avete pensato esclusivamente alla vostra ricchezza e ora che toccherebbe a noi dare ai nostri popoli automobili, elettrodomestici, in alcuni casi anche solo servizi essenziali quali la luce elettrica nelle abitazioni, volete che ci fermiamo noi? Non se ne parla proprio”.
Ma il loro atteggiamento sta cambiando e proprio la Cina – grazie alle sue dimensioni – è diventato rapidamente il maggior produttore di energie rinnovabili al mondo, tanto che negli Usa e in Europa si sta iniziando a diffondere la paura che anche su quelle tecnologie su cui sino adesso ci ritenevamo all’avanguardia insieme al Giappone, gli emergenti grazie alla loro straordinaria dinamicità  e rapidità  possano sopravanzarci.
Anche per questo sarebbe tanto più necessario in questa parte del mondo e nel nostro Paese in particolare investire sempre di più sull’innovazione per potere giocare un ruolo importante in questa nuova economia, partendo dalla valorizzazione di quelle eccellenze che già  abbiamo in casa.
 

Il nostro Paese ha infatti grandi numeri per eccellere nello sviluppo sostenibile: dalle piccole e medie imprese del made in Italy, all’agroalimentare di qualità , al turismo, la nostra forza economica, la nostra capacità  competitiva si basano non sulla quantità  ma sulla qualità , la bellezza, la bontà  di ciò che produciamo e che offriamo al mondo, e dunque recano un segno intrinsecamente ecologico. L’ultimo esempio, forse il più vistoso, di questa vocazione “verde” dell’Italia è nel salvataggio della Chrysler affidato da Barak Obama alla Fiat. Da sempre la specialità  della Fiat è stata produrre automobili piccole e a bassi consumi, e questa vocazione produttiva oggettivamente ecologica ne fa oggi, tra le case automobilistiche, quella con più futuro. Ma gli esempi sono innumerevoli: dal vino italiano che nel 2008, malgrado la crisi, ha visto crescere ulteriormente il valore del suo export (sebbene la quantità  prodotta sia quasi la metà  di vent’anni fa) confermandoci come la prima potenza vinicola del mondo, alla chimica verde delle bioraffinerie, quella che grazie anche ad intelligenti ed innovativi accordi con gli agricoltori ricava dal mais le plastiche biodegradabili che ha in un’azienda italiana – la Novamont – il suo campione mondiale.
 

Dalla ricerca ITALIA si possono trarre numeri interessanti per quanto riguarda il settore agro alimentare.
 

Siamo al primo posto in Europa nella graduatoria dei prodotti Dop e Igp con 173 prodotti certificati, seguiti dalla Francia con 161, quindi dalla Spagna con 117.
 

Nel 2008 le aziende agricole dedite alla filiera corta sono salite a 60.700, con una crescita del 6% rispetto al 2007 e confermando il trend, ancora più positivo, registrato nel 2005-2006 (+18,3%). Se si considera poi il periodo 2000-2007, si rileva un tasso di crescita del 57%. Il giro di affari del settore sale invece a 2,7 miliardi (+8% rispetto all’anno precedente), trainato soprattutto dalla produzione di vino (43%, con 21.400 aziende), ortofrutta (23%, con 18.840), carne e salumi (8%, con 4.900 aziende), formaggi e latte (10.500 operatori). La vendita diretta contraddistingue comunque nel nostro Paese anche la produzione di olio (10%, con 7.750 aziende), miele (3%, per 4.850 aziende), piante e fiori (7.200 operatori).
 

L’Italia è leader europeo per la diffusione del metodo della produzione biologica. Nel nostro Paese opera circa un terzo delle imprese biologiche europee e si colloca un quarto della superficie bio comunitaria. Rilevante la posizione italiana anche nel panorama mondiale; in termini di superficie- 1,15 milioni di ettari –  essa si colloca infatti al quinto posto preceduta soltanto da grandi Paesi per estensione quali l’Australia, Cina, Argentina e Stati Uniti. Il giro d’affari complessivo del mercato biologico viene stimato pari a circa 1.900 milioni di euro. Il 4% del fatturato del settore viene esportato, per un valore, nel 2007, di circa 900 milioni di export. Oltre alla positiva propensione all’export, il settore bio evidenza segnali di vitalità  legati alle caratteristiche delle imprese, condotte nel 65% dei casi da operatori con un’età  inferiore ai 50 anni, altamente scolarizzati (con una percentuale dei laureati, in particolare, del 17%) ed orientati all’innovazione tecnologica. 
 

Ma ormai anche nel campo delle energie rinnovabili il sistema italiano si è finalmente rimesso in moto. Ancora il gap nei confronti degli altri paesi europei  è ampio ed è dovuto ai nostri colpevoli ritardi, ma grazie anche alla riforma del sistema di incentivazione che abbiamo realizzato con la finanziaria  del 2008 – la seconda del Governo Prodi – lo scorso anno abbiamo raggiunto un record nella produzione da eolico , oltre 6 Twh, e finalmente abbiamo iniziato a istallare quantità  significative di solare fotovoltaico (ormai abbiamo superato i 500 Mw). Insomma iniziamo finalmente ad essere in linea con ciò che avviene in Europa e nel mondo  in questo campo: nel 2008 in Europa sono stati istallati impianti eolici per 8000 Mw, contro i 7000 Mw di centrali a gas, e anche il fotovoltaico ha raggiunto uno spettacolare risultato di 4000 Mw; nel mondo nel 2008 per la prima volta gli investimenti in fonti rinnovabili (140 miliardi di dollari) hanno superato quelli nel tradizionale fossile (110 miliardi di dollari).
Questo dinamismo sulle istallazioni, anche in Italia si sta trasferendo finalmente sulla ricerca e sull’innovazione nelle quali alcune nostre imprese stanno già  svolgendo ruoli importanti.
Una breve e certamente non esaustiva rassegna di esperienze innovative e di successo: la Angelantoni sul solare termodinamico, il cui dinamismo ha attratto gli investimenti anche di una multinazionale quale la Siemens (la tecnologia ideata da Rubbia, messa punto dall’Enea è stata successivamente trasferita sul mercato proprio grazie ad Archimede Solar Energy (Ase), azienda del Gruppo Angelantoni,  unico produttore al mondo di tubi ricevitori solari a sali fusi per le centrali del solare termodinamico); la siciliana Moncada, uno dei leader sull’eolico che ha realizzato una turbina tutta italiana; le aziende – spesso spin off universitari, Ferrara e Parma tra gli altri – impegnate nella ricerca di alternative all’utilizzo del silicio come componente delle celle fotovoltaiche; le imprese come la Giacomini, che nata come produttrice di singoli componenti per il riscaldamento e la distribuzione sanitaria, ha successivamente specializzato la propria produzione, puntando sul risparmio energetico e sullo sviluppo di nuovi sistemi ad alto contenuto tecnologico destinati alle energie rinnovabili ; le aziende specializzate in tecnologie innovative per il risparmio nella pubblicazione illuminazione (l’Umpi Elettronica di Cattolica, la Sorgenia Menowatt che ha la sua base operativa nelle Marche, ma anche i produttori di led, la cui sperimentazione a Torraca ha raggiunto interessanti obiettivi); la Faam di Monterubbiano (ancora nelle Marche), leader europeo per la produzione di batterie e veicoli elettrici, le sue macchine elettriche da oltre un decennio puliscono le ramblas di Barcellona, mentre l’estate scorsa hanno debuttato alle Olimpiadi di Pechino per contribuire allo spostamento degli atleti e al monitoraggio ambientale.
Insomma il nostro Paese offre non solo opportunità , ma anche esperienze concrete su cui basare politiche industriali di rilancio che sappiano stimolare l’innovazione: servono però scelte decise e coraggiose. Serve in particolare puntare a una radicale riconversione del nostro sistema energetico verso l’efficienza, il risparmio, le fonti rinnovabili, come risposta alla crisi economica e a quella climatica e come motore di sviluppo, occupazione, progresso tecnologico. Non serve affatto invece, anzi è dannosissimo, accarezzare l’idea, peraltro velleitaria, di tornare al nucleare del passato, pericoloso e costosissimo.
 

Il nucleare è davvero troppo caro e l’ultima conferma proviene dal rapporto del Massachusetts Institute of Technology di Boston (Mit). Il documento del Mit sottolinea infatti che, nonostante l’attenzione sul tema sia cresciuta e nuove politiche di rilancio siano state annunciate in molti paesi, lo sviluppo del nucleare è in calo a livello globale. Ad eccezione dell’Asia, e in particolare di Cina, India e Corea, esistono infatti pochi progetti concreti. Negli Stati Uniti non vi è attualmente alcun cantiere aperto ed il lento sviluppo del nucleare, rispetto agli annunci e alle previsioni, rende meno probabile lo scenario di espansione ipotizzato nel 2003 dallo stesso Mit (1000 Gwe nel 2050 di cui 300 negli USA). Ma l’aspetto forse più significato del rapporto del Mit è la netta affermazione per cui in un’economia di mercato il nucleare non è competitivo rispetto al gas o al carbone. I costi del capitale e i costi finanziari delle centrali nucleari continuano ad essere infatti significativamente incerti. Dal 2003 i costi di costruzione delle centrali nucleari sono aumentati drasticamente, con una media del 15 per cento all’anno in più come dimostrano le esperienze in Giappone e Corea.  Nel 2007, secondo i nuovi dati del Mit, realizzare una centrale nucleare costa 4000 dollari per kW contro i 2000 di quattro anni prima. Un aumento molto più consistente di quanto accaduto nel carbone e nel gas attualmente stimate a 2300 dollari e 850 dollari a kW contro i 1300 e 500 del 2003. Una crescita che si ripercuote inevitabilmente anche sui costi finali dell’energia: dai 6,7 centesimi a kilowattora stimati nel 2003 il nucleare è passato ad un costo di 8,4 cent a kilowattora contro i 6,2 del carbone ed i 6,5 del gas. E’ quindi il Mit, non solo Legambiente e Greenpeace, che si incarica di seppellire l’idea che ricorrere al nucleare sarebbe “conveniente”.
Inoltre è proprio di questi giorni che Areva, l’azienda francese costruttrice di centrali nucleari cui il nostro Governo vorrebbe affidare il compito anche in Italia, ha appena chiesto al Canada 4500 euro per kW – ben di più quindi anche delle stime del Mit – per realizzare un impianto in quel Paese e causando ovviamente l’immediato stop del progetto.
Questi costi imprevedibili e comunque esorbitanti sono la causa della recente richiesta venuta dall’Enel di stabilire una tariffa “minima” per la vendita dell’elettricità  – una richiesta ovviamente non recepibile in quanto evidentemente contro il mercato e contraria agli interessi di consumatori e aziende – in modo da poter “rilanciare” il nucleare in Italia.
 

La recente approvazione in parlamento del cosiddetto DDl Sviluppo all’interno del quale era contenuto appunto il “ritorno al nucleare” è quindi proprio l’esempio di ciò che non si dovrebbe fare. Al contrario andrebbe perseguita con più decisione la strada tracciata dall’introduzione del credito di imposta del 55% per per la riqualificazione energetica nell’edilizia e che ora andrebbe esteso, come chiedono anche le Regioni, agli adeguamenti antisismici, una strada che ha già  permesso il risparmio in due anni di 2500 GWh di energia elettrica ed è stato un sostegno concreto a un settore in difficoltà . Un esempio positivo di politiche incentivanti su cui nei prossimi mesi dovremo mobilitare in uno sforzo comune associazioni, imprese, cittadini per ottenere di più. Molto di più.
 

C’è poi una riforma più generale che andrebbe affrontata con coraggio e che molto potrebbe dire al mondo che più concretamente si impegna nell’innovazione e nella “green economy” e che potrebbe disegnare un futuro migliore per tutto il Paese: una riforma fiscale che alleggerisca finalmente il prelievo su lavoro e imprese e che scoraggi lo spreco di materie prime e le produzioni più inquinanti. Così si stanno muovendo l’Europa e gli Stati Uniti, mentre finora in Italia è accaduto il contrario: tra il 1997 e il 2007 il prelievo fiscale “ambientale” (su energia, auto, acqua, rifiuti) è diminuito, passando dal 3,5% al 2,7% del Pil, e la tassazione energetica su ogni tonnellata equivalente di petrolio consumata è scesa del 27% (da 213 a 155 euro-2000): ritornare ai livelli di dieci anni fa vorrebbe dire generare un’entrata aggiuntiva di 13 miliardi di euro che potrebbero venire detratti dalla fiscalità  a carico del lavoro e delle imprese avvantaggiando la parte più innovativa e dunque strategica dell’economia reale. 
 

In conclusione, siamo convinti che se imbocchiamo la strada della green economy creeremo le condizioni per uscire dalla crisi migliori di prima perché quel mix di qualità  locale e innovazione potrà  offrire nuovo sviluppo e nuovo benessere ai territori e alle comunità , ma vogliamo anche riaffermare che se è vero che la difesa dell’ambiente e la promozione di questa economia è una straordinaria occasione da cogliere per tutto il sistema, è altrettanto vero, e forse persino più importante, che la battaglia in difesa del Pianeta e per il nostro futuro è un bene in sé che vale la pena combatterla comunque.
 

IL PD CHE VOGLIAMO

GREEN ECONOMY, DIRITTI, TERRITORIO
PER RICONQUISTARE LA FIDUCIA DELL’ITALIA
L’Italia ha bisogno di una politica più degna e di un Partito Democratico più credibile. Ha bisogno di un grande partito progressista, casa comune delle culture riformiste ed ecologiste.

Ne ha bisogno subito, per fare fronte ai costi sociali della crisi economica mondiale e preparare la ripresa puntando sull’economia della conoscenza, dell’ambiente, del lavoro di qualità , delle eccellenze territoriali. Ne ha bisogno per il suo futuro, per liberare e valorizzare le sue grandi potenzialità  e per superare le arretratezze, gli immobilismi, le ingiustizie, i privilegi che hanno minato in profondità  la fiducia dei cittadini in un futuro di miglioramento personale e di progresso sociale: siamo una grande nazione, ma non ci sentiamo quasi più una comunità , mentre crescono individualismi, egoismi, localismi.

Promuovere quest’opera di profondo cambiamento politico dando nuova linfa e nuove gambe al riformismo italiano, è la ragione da cui è nato il Partito Democratico. Per nutrirla e affermarla, per costruire un’alternativa vincente alla destra più inquietante e anti-ambientale d’Europa, che continua a raccogliere così larghi consensi, serve un partito non di ex, ma di donne e uomini uniti da una stessa idea della politica e del futuro. Di donne e uomini che dalla politica pretendono risposte utili a migliorare la loro vita, e utili al tempo stesso a migliorare il mondo.

Vogliamo un partito che riprenda il cammino di rinnovamento inopinatamente interrotto, deciso a non rinchiudersi nel recinto angusto di anacronistiche contrapposizioni e consumati personalismi.

Vogliamo un partito di popolo, non di élite né di nomenclature, consapevole che la prima, la più importante delle nostre alleanze è quella con il numero maggiore possibile di italiane e di italiani.

Vogliamo un partito che riconosca la centralità  dei circoli quali strumenti prioritari per il radicamento territoriale.

Vogliamo un partito che finalmente somigli, nei suoi gruppi dirigenti, nei suoi amministratori, nei suoi eletti, alle speranze e alle convinzioni degli oltre tre milioni di cittadini che meno di due anni fa votarono per la sua nascita. Un partito orgoglioso d’essere in Europa la prima grande forza progressista che ha scelto di fondere tra loro diverse anime del riformismo, e che apra la via per la costruzione di una nuova compagine riformista dove si ritrovino insieme socialisti, democratici, ecologisti.

Vogliamo un partito più coraggioso e più netto nei suoi sì e nei suoi no.
Sì alla green economy come risposta alla crisi economica e a quella climatica e come motore di sviluppo, occupazione, progresso tecnologico. No al nucleare del passato, pericoloso e costosissimo, e a chi ragionando con la mentalità  di mezzo secolo fa continua a considerare l’ambiente un ostacolo per l’economia.
Sì a un welfare rinnovato che metta al centro la persona, la dignità  e la sicurezza del lavoro, le pari opportunità  per i giovani e per le donne, la lotta alle povertà . No ai monopoli e alle corporazioni che paralizzano la società  e non valorizzano il merito.
Sì a una rivoluzione fiscale che alleggerisca il prelievo su lavoro e imprese, che scoraggi lo spreco di materie prime e le produzioni più inquinanti. No a chi vorrebbe rinunciare alla leva fiscale come fattore di redistribuzione della ricchezza e di promozione dei beni pubblici.
Sì a leggi e politiche che rafforzino la sicurezza dei cittadini contrastando la grande e la piccola criminalità . No ad ogni tentazione di rincorrere o anche soltanto di giustificare derive xenofobe e razziste.
Sì a più diritti civili, a diritti universali di cittadinanza, a una piena e forte affermazione dei valori di laicità  dello Stato e delle leggi. No a tutte le pretese di Stato etico.
Sì a molte più risorse e più attenzioni per la scuola, la cultura, la ricerca. No ai regali di Stato a oligarchie politiche ed economiche sul “modello Alitalia”.
Sì all’edilizia di qualità , al risparmio energetico, alla mobilità  sostenibile, alla sicurezza antisismica. No all’abusivismo edilizio e al consumo illimitato di territorio.

Vogliamo un partito che sappia pensare globalmente, per capire la realtà  complessa del mondo attuale. Che sappia agire localmente, immergendosi fino in fondo nelle aspettative, negli interessi, nelle preoccupazioni delle comunità  che ha l’ambizione di rappresentare.

Vogliamo un partito che si batta contro tutte le illegalità : dalla criminalità  organizzata alle ecomafie, dalla criminalità  quotidiana che semina insicurezza soprattutto tra i più deboli all’impunità  per i potenti. Un partito che faccia sua la questione morale, quella stessa sollevata trent’anni fa da Enrico Berlinguer e tuttora attualissima, che si batta sempre e dovunque per una politica trasparente e responsabile. Un partito che chiuda le sue porte ai disonesti e agli affaristi, che predichi e razzoli bene, che non difenda come sui rifiuti in Campania amministratori indifendibili solo perché sono “suoi”.

Vogliamo un partito aperto e accogliente, un partito che ami di più gli italiani e che s’identifichi con le risorse migliori e le ricchezze più grandi dell’Italia: le mille economie territoriali che danno alimento al made in Italy e le piccole e medie imprese che ne sono il fulcro, le eccellenze nella ricerca scientifica e nell’innovazione tecnologica, i tesori di natura e di cultura del Bel Paese, il volontariato al quale milioni di cittadini regalano ogni giorno un po’ del loro tempo.

Solo un Partito Democratico così potrà  contribuire a ridare speranza, la speranza di un futuro migliore, all’Italia e agli italiani. Solo un partito così potrà  riconquistarne la fiducia.

Rosanna Abbà 
Pierluigi Adami
Agostino Agostinelli
Enrico Alleva
Luigi Aloe
Paolo Anibaldi
Giulia Arcangeli
Giuseppe Arnone
Marino Artusa
Luigi Attenasio
Giuseppe Barbieri
Luigi Bellassai
Walter Bellomo
Piero Benedetti
Andrea Benedino
Luigi Berlinguer
Maria Berrini
Andrea Bianchi
Duccio Bianchi
Giovanni Bignami
Franco Bonanini
Assunta Brachetta
Anna Rita Bramerini
Alessandro Bratti
Fiorenza Brioni
Vanni Bulgarelli
Giorgio Calabrese
Gemma Calamandrei
Luigi Campanale
Alessio Capriolo
Corrado Carrubba
Andrea Casu
Roberto Cavallo
Susanna Cenni
Lucia Centillo
Vincenzo Cerami
Marco Ciarafoni
Patrizia Colletta
Maurizio Conte
Antonella Costanzo
Andrea Costi
Erasmo D’Angelis
Roberto Della Seta
Giuseppe D’Ercole
Nicola De Ruggiero
Yari Desicaia
Mario Di Carlo
Patrizia Di Giulio
Giuseppe Di Vita
Andrea Dominijanni
Cesare Donnhauser
Emanuele Durante
Dario Esposito
Fabrizio Fabrizi
Stefano Facchi
Franca Faccioli
Paolo Felice
Francesco Ferrante
Donato Ferri
Michele Fina
Silvia Fregolent
Silvia Frustaci
Giovanni Furgiuele
Matteo Fusilli
Marzio Galeotti
Giuseppe Gamba
Enrico Gasbarra
Walter Gaggioli
Federico Gelli
Paolo Gentiloni
Roberto Giachetti
Paola Gifuni
Luisa Gnecchi
Maurizio Gubbiotti
Ettore Ianì
Giovanni Lattanzi
Flavia Leuci
Piera Liberanome
Filiberto Liguori
Antonio Longo
Raffaella Mariani
Saverio Massari
Giovanna Melandri
Raffaele Mennella
Luciano Nobili
Carlo Monguzzi
Flavio Morini
Carlo Ottone
Giovanni Pagano
Mimmo Pappaterra
Annamaria Parente
Giuseppe Parroncini
Eugenio Patanè
Stefano Patrizi
Simonetta Pellegrini
Lorena Pesaresi
Gianni Piatti
Donato Piglionica
Michele Petraroia
Francesco Petretti
Massimo Pintus
Vincenzo Pisegna
Alessandro Portinaro
Luigi Quarchioni
Ermete Realacci
Fabio Renzi
Maria Grazia Ricci
Francesca Ridolfi
Edo Ronchi
Anna Rossomando
Giampiero Sammuri
Sergio Santini
Andrea Sarubbi
Salvatore Scaglione
Massimo Scalia
Gabriela Scanu
Sergio Soave
Rosa Sorrentino
Giuseppe Stasolla
Gianluca Susta
Francesca Tecce
Umberto Trezzi
Alessandra Vaccari
Enzo Valbonesi
Marco Vannini
Osvaldo Veneziano
Simone Verde
Fabrizio Vigni
Silvia Zamboni
Edoardo Zanchini
Luigi Zanda

1 5 6 7 8 9  Scroll to top