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Dopo il referendum: una nuova strategia energetica low carbon per l’Italia.

Le proposte degli Ecologisti Democratici: il documento integrale
                

La predisposizione di un nuovo piano energetico nazionale rappresenta per l’Italia non solo una stringente necessità , ma anche una grande opportunità  di  cambiamento e di modernizzazione, nel segno della sostenibilità  ambientale e della innovazione tecnologica.
E’ una sfida di grande valore strategico, che richiede cultura di governo e visione del futuro. Anche per questa ragione deve costituire uno dei punti fondamentali del progetto con il quale il centrosinistra si candiderà  a governare il paese.
 
 

    

                                                                OBIETTIVI
 2020:
          riduzione del 30% delle emissioni di gas di serra;
          17% dei consumi  finali di energia  da fonti rinnovabili;
           incremento del 20% dell’efficienza energetica.
 2030:
          riduzione del 40% delle emissioni di gas di serra;
           mix energetico per la produzione di elettricità : 50% rinnovabili, 50% fossili;
          30% dei consumi finali di energia  da fonti rinnovabili.
              2050:
                    riduzione dell’80% delle emissioni di gas di serra.
  

    

                                                           STRUMENTI
          incentivazioni adeguate per le fonti rinnovabili elettriche fino al raggiungimento della grid parity, e  adeguamento  della rete elettrica;
          rafforzare i meccanismi di incentivazione per il termico e per l’efficienza energetica;
          implementare un grande piano per l’efficienza energetica;
          ridurre i consumi di petrolio nei trasporti;
          sostenere le azioni degli enti locali;
          realizzazione delle infrastrutture necessarie per il trasporto su ferro e per  il gas (rigassificatori, gasdotti, stoccaggi);
          sperimentazione della Carbon Capture Sequestration

                                                                     

                                                                     

                                                                     

1.      La travolgente vittoria del “sì” nel referendum antinucleare, con una partecipazione così ampia come non si vedeva da oltre 15 anni e circa il 95% dei voti a favore, oltre a sancire un definitivo accantonamento del programma nucleare italiano, sollecita la definizione di una strategia energetica adeguata alle esigenze del nostro Paese, in sintonia con il pronunciamento popolare.
 
Va rapidamente accantonato il vecchio modo di pensare alle problematiche dell’energia che vedeva nella scelta nucleare un nucleo portante, certo estremamente minoritario nella società  italiana, ma presuntuosamente accanito. Questa volta il “sì” referendario ha vinto non solo perché Fukushima ha nuovamente confermato l’insostenibilità  di impianti che possono provocare incidenti catastrofici e non controllabili, ma perché è già  in atto una rivoluzione energetica destinata a cambiare sempre più profondamente il modo stesso di pensare all’energia.  Un cambiamento già  oggi concreto e visibile intorno a noi.
 Questo cambiamento non confonde più il progresso con l’aumento dei consumi di energia: al contrario, punta sul risparmio e sull’efficienza energetica. Non si basa più su pochi (e spesso monopolisti) produttori di energia, ma promuove una larga pluralità  di produttori, reti intelligenti,  consumatori coinvolti nella generazione distribuita. Coglie il peso ormai decisivo dei fattori ambientali nelle scelte energetiche, in particolare la necessità  di far fronte alla minaccia dei cambiamenti climatici. Scartato il nucleare per ragioni di sicurezza e di insostenibilità , sia dal punto di vista economico che della gestione dei rifiuti radioattivi, scommette sulle fonti energetiche rinnovabili. Punta a cogliere appieno le opportunità  che l’economia verde offre, anche nel settore energetico, come exit strategy  dalla crisi economica e da quella climatica, con grandi potenzialità  sia occupazionali che di innovazione tecnologica. Nasce dalla consapevolezza della necessità  di accelerare la transizione dall’era dei combustibili fossili ad un nuovo modello energetico low carbon.
2.      Una nuova politica energetica per l’Italia non può che essere parte della strategia energetica europea. Va pertanto inserita nel contesto degli obiettivi di mitigazione della crisi climatica definiti dall’Unione Europea, fino alla riduzione di almeno l’80 % delle emissioni di gas serra al 2050, un obiettivo che implica quale tappa intermedia una riduzione del 40% al 2030 .  
Come primo passo, tale strategia deve assicurare intanto il raggiungimento degli obiettivi indicati dall’Unione Europea per il 2020: 17%  degli usi finali di energia coperto da fonti rinnovabili e  20% di risparmio  energetico, con una riduzione delle emissioni di gas di serra che, realizzando gli obiettivi precedenti, potrebbe attestarsi intorno al 30%.

Tenendo conto delle recenti indicazioni della Commissione europea, poiché per raggiungere il 10% di rinnovabili nei trasporti è necessario e possibile ricorrere ad elettricità  da fonti rinnovabili e non solo a biocarburanti – da impiegare sia per il trasporto ferroviario che  per  l’avvio della diffusione dell’ auto elettrica –  per realizzare l’obiettivo del 17% da rinnovabili sarà  necessario in realtà  alzare la quota di elettricità  da fonti pulite al di sopra del  30% dei consumi finali al 2020, oltre ad attuare misure adeguate per il calore ed il raffrescamento  da rinnovabili.

Particolare attenzione va rivolta alla necessità  di un adeguato e forte sistema di incentivazione sia per l’energia  termica prodotta da fonti rinnovabili che per l’efficienza energetica.

Il piano nucleare del governo, bocciato dal referendum, prevedeva a regime (nel 2030) il  25% di rinnovabili, il 25% di nucleare e il restante 50% coperto da combustibili fossili.  La nuova strategia energetica nazionale deve riscrivere quel programma, prevedendo il 50% di elettricità  prodotta con fonti rinnovabili e il 50% prodotta da fonti fossili, mettendo in conto altresì che almeno il 30% di tutta l’energia consumata al 2030 sia fornita da fonti rinnovabili. Sono obiettivi molto impegnativi, ma assolutamente fattibili grazie all’innovazione tecnologica, a patto che la politica faccia seriamente la sua parte in termini di regole, incentivi e sostegno alla ricerca.

Per raggiungere l’obiettivo del 50% di elettricità  prodotta con fonti rinnovabili è necessario sviluppare tutte le fonti con incentivazioni adeguate per il periodo necessario. In ogni caso, anche in vista del momento in cui non ci sarà  più bisogno di alcun incentivo (intorno al 2020, e per alcune fonti probabilmente anche prima),  occorre:
 

a) disporre di una rete intelligente, adeguata, con sufficiente capacità  di accumulo, in modo da poter rapidamente allacciare la grande quantità  di piccoli impianti diffusi sul territorio ;
b) disporre di procedure amministrative rapide che non provochino sovracosti rispetto agli altri Paesi europei ;
c) promuovere, anche attraverso un piano “Industria 2020”, filiere produttive nazionali in grado di soddisfare una forte domanda di impianti e tecnologie innovative, oggi troppo dipendente dalle importazioni ;  
d) definire un accordo strategico con le Regioni sugli obiettivi da conseguire e sulla loro articolazione territoriale.
 

3.      Un ruolo importante nella nuova strategia energetica dovrà  essere assegnato ai Comuni e alle Province, chiamandoli a sostenere ed estendere l’esperienza europea dei  programmi di attività  per l’energia  sostenibile (SEAP) a livello locale e del Patto dei Sindaci, che a giugno 2011 coinvolgeva già  1169 comuni italiani (su 2679 adesioni a livello europeo).
 

Un piano di politiche energetiche che punti all’efficienza e alle rinnovabili deve intrecciarsi strettamente con politiche territoriali di rilancio dell’economia e di miglioramento della qualità  ambientale locale: dal settore della mobilità  sostenibile agli acquisti verdi delle pubbliche amministrazioni, dalla diffusione delle rinnovabili  integrate con la riqualificazione energetica di edifici pubblici e privati, fino a tutti i servizi ambientali (ad es. realizzazione di  un ciclo integrato dell’acqua con misure per il risparmio idrico, che contribuiscono  al risparmio energetico; gestione dei rifiuti solidi urbani nel rispetto della gerarchia europea indicata dalla direttiva  2008/98/CE che ha al primo posto la prevenzione della produzione dei rifiuti, poi  il riciclaggio e il riuso, quindi il recupero energetico).
Ai Comuni, che oggi faticano a mantenere gli impegni presi con la sottoscrizione del Patto dei Sindaci (solo 110, meno del 10% del totale, a giugno 2011 avevano presentato, come richiesto dalla UE, il piano di azione per la riduzione delle emissioni di gas serra) andrà  garantito dal Governo nazionale e dalle Regioni il sostegno necessario.
 

Le comunità  locali ed i sistemi economici territoriali devono dunque essere considerati protagonisti essenziali nella costruzione di una nuova strategia energetica, in considerazione del ruolo centrale che i cittadini e le imprese  hanno nei processi legati allo sviluppo  delle energie rinnovabili ed al risparmio energetico. La rivoluzione energetica – se può essere favorita dal mercato e dall’innovazione tecnologica, e sostenuta da adeguate politiche pubbliche – richiede al tempo stesso la più ampia partecipazione dei cittadini, analoga a quella che in Italia li ha visti protagonisti del referendum del 12 giugno.

4.      Al centro di una nuova strategia energetica dell’Italia va posto un incisivo programma di efficienza e di risparmio energetico. Ciò al fine di realizzare gli obiettivi europei previsti   per il 2020 e con ulteriori impegni per  il 2030  per ridurre la dipendenza energetica, abbassare i costi  della  bolletta energetica, tagliare fortemente le emissioni di gas serra, migliorare la competitività  delle imprese e creare migliaia di nuovi posti di lavoro (come  emerge anche da uno studio realizzato di recente dalla stessa Confindustria).

Tale strategia deve riguardare l’elettricità , il calore, i carburanti, e tutti i settori di consumo: gli edifici, i sistemi di riscaldamento e di raffrescamento, le apparecchiature elettriche, l’ illuminazione, i trasporti, la produzione industriale, i servizi. Tutte le misure che si ripagano col risparmio di energia vanno rese obbligatorie, tutti gli standard di efficienza energetica tecnicamente fattibili, sia pure gradualmente, devono diventare obblighi di legge. Occorre rendere obbligatori programmi integrati e con precisi obiettivi supportati da politiche e misure di risparmio e di efficienza energetica, periodicamente verificati e aggiornati, non solo a livello nazionale, ma anche a livello comunale, provinciale, regionale. 
 

Le amministrazioni pubbliche (negli uffici, nelle scuole e nelle università , negli ospedali e nelle altre strutture sanitarie, nei trasporti pubblici, ecc.) sono grandi consumatori di energia. Va promossa la cogenerazione, anche di piccola taglia, nel settore civile ed in quello industriale. Tagliare i consumi energetici delle amministrazioni pubbliche è possibile e vantaggioso, con riduzioni significative delle bollette elettriche e dei costi del riscaldamento, con notevoli risparmi di spesa pubblica. Le pubbliche amministrazioni, a tutti i livelli, devono dare il buon esempio,adottando programmi obbligatori di misure di risparmio e di efficienza energetica.

Occorre inoltre promuove la ricerca, la diffusione di buone pratiche e buone tecniche di risparmio e di efficienza energetica, attivando accordi con università  e centri di ricerca, promuovendo la formazione e la riqualificazione di tutte le figure professionali necessarie, e oggi del tutto insufficienti, per realizzare questa diffusa rivoluzione dell’efficienza e del risparmio energetico.
 

5.      Il petrolio (38,9 % del fabbisogno energetico italiano del 2010) e il gas ( 36,6 % del fabbisogno del 2010) , insieme forniscono il 75,5% del fabbisogno del Paese, mentre il carbone  ha un peso ridotto (7%) .
 

Si può prevedere che petrolio e gas resteranno ancora prevalenti sia al 2020 (36% del gas e 35% del petrolio, per un totale del 71%), sia al 2030 (38% del gas e 28% del petrolio per un totale del 66% del fabbisogno  energetico dell’Italia). In tale contesto l’uso del carbone per produrre elettricità  non deve più crescere – in considerazione delle elevate emissioni di CO2 – salvo che per produzioni per le quali  la CCS (cattura e  sequestro della CO2), applicata a scala industriale, non si dimostri efficace e economicamente sostenibile.  

La disponibilità , la sicurezza dell’approvvigionamento, e i costi di petrolio e di gas avranno ancora un peso rilevante nel sistema energetico italiano sia al 2020 che al 2030.    
Salvo sorprese la domanda di petrolio nel prossimo decennio dovrebbe crescere in modo sostenuto, perché la flessione di quella dei paesi OCSE dovrebbe essere ampiamente compensata dalla forte crescita di quella dei Paesi di nuova industrializzazione (il sorpasso da parte dei Paesi non OCSE è previsto nel 2015). L’offerta di petrolio convenzionale è stagnante e potrebbe raggiungere entro i prossimi  due decenni il picco di produzione, mentre è in crescita quella del greggio non convenzionale più caro.

La previsione quindi è di crescita dei prezzi del petrolio, e dei suoi derivati. Per riequilibrare il mercato occorrerà  ridurre i consumi di petrolio – in particolare nei trasporti – sviluppando carburanti alternativi (in particolare i biocarburanti), ma anche   l’ impiego di elettricità  e l’uso del gas e del  biogas purificato nei trasporti.  

Nel mercato  mondiale del gas è in corso una vera rivoluzione. L’estrazione del gas non convenzionale ha portato al raddoppio delle riserve mondiali e a una nuova distribuzione della risorsa. I prezzi del gas negli Stati Uniti negli ultimi due anni sono scesi da 13 a 4-5 dollari/mil.Btu  ed è prevista una stabilizzazione nel prossimo decennio ad un prezzo basso, intorno ai 5-6 dollari. I prezzi medi europei del gas restano invece circa doppi, intorno ai 10 dollari/mil.Btu (i contratti a lungo termine hanno prezzi ancora ancorati al petrolio). La domanda mondiale di gas è in crescita, ma lo è ancora di più  l’offerta: l’aumento delle disponibilità  di gas non convenzionale negli Stati Uniti, in Australia, in Cina e India riversa una  maggiore  disponibilità   di gas anche in Europa.

I prezzi del gas non dovrebbero aumentare, anzi nei prossimi anni potrebbero  diminuire  anche in Europa. Ma per cogliere i vantaggi della svolta in atto nel mercato del gas occorre completare il processo di liberalizzazione del mercato italiano e realizzare tutte le infrastrutture necessarie. Nonostante la realizzazione di alcuni potenziamenti dei gasdotti di importazione e l’entrata in servizio del rigassificatore di Rovigo, la dotazione infrastrutturale (rigassificatori, gasdotti, stoccaggi) del nostro Paese rimane insufficiente.
 

Una nuova strategia energetica – nella transizione verso un modello basato prevalentemente sulle rinnovabili – deve dunque prevedere la realizzazione di nuovi rigassificatori, la possibilità  di sperimentare concretamente la CCS, e lo sviluppo di nuova capacità  di stoccaggio (la modulazione stagionale consentirebbe infatti di “spostare” quantitativi di gas naturale dal periodo estivo al successivo periodo invernale ed avrebbe  effetti simili alla realizzazione di nuovi gasdotti, consentendo di fatto un incremento del livello di concorrenza).
                                                                                                                                                                         

Invece del nucleare

Appello lanciato dal Kyoto Club

New Nuclear: why the economics says no! Non è un manifesto ambientalista, ma il titolo dell’ultimo report pubblicato da Citigroup sui rischi connessi alla cosiddetta rinascita nucleare.
Noi sottoscritti, imprenditori, manager e professionisti crediamo che anche per l’Italia questa scelta sia errata.
Il nostro Paese ha la possibilità  di giocare da protagonista di fronte ai cambiamenti epocali in atto nel mondo, dall’efficienza energetica alle energie rinnovabili e alle sfide per prodotti sostenibili in termini di qualità  ambientale, sociale e di rispetto delle regole: dobbiamo promuovere un’economia a basso impatto e di qualità , per rafforzare le imprese esistenti e crearne di nuove sul territorio, rispondendo alla necessità  di creare nuovi posti di lavoro, nuova energia imprenditoriale e una qualità  della vita che da sempre è un marchio italiano. Un’economia che ha bisogno di rilanciare tutta la propria creatività  facendo della spinta delle imprese italiane all’uso efficiente delle risorse la forza del proprio sviluppo. In Italia è già  in atto uno sforzo di rivitalizzazione e rinnovamento delle manifatture in questa chiave: occorrerebbe un incoraggiamento deciso ed urgente da parte del Governo e una sapiente regia da parte delle istituzioni. Il rafforzamento delle reti elettriche, l’incentivazione dei sistemi di stoccaggio dell’energia, l’efficiente uso delle energie rinnovabili, la minimizzazione, sempre e comunque, dell’uso energetico che tenga anche conto del patrimonio paesaggistico e culturale del nostro Paese, sono aspetti che riguardano una innovazione che sta già  impetuosamente sviluppandosi sul territorio e che va aiutata e sostenuta.
Lo scenario prospettato dal Governo, 25% di elettricità  atomica e 25% di rinnovabili al 2030, comporterebbe una enorme distrazione di risorse a discapito delle nuove energie (efficienza energetica e rinnovabili). La costruzione delle centrali interesserebbe, peraltro, una piccola minoranza di società  italiane, mentre larga parte degli investimenti finirebbe all’estero. Nella migliore delle ipotesi, quando fra 10-12 anni si iniziasse a generare elettricità  nucleare, se ne avvantaggerebbero pochi comparti industriali energivori e sarebbe lo Stato, attraverso la fiscalità  generale, o gli utenti attraverso l’aumento delle bollette, a cofinanziare il nucleare. Questo perché il costo delle nuove centrali è estremamente oneroso: oltre 5 miliardi di ‚¬ per una centrale, più di 40 miliardi per l’intero programma voluto dal Governo. Ma queste stime raddoppiano, e anche più, se si considerano i costi del futuro decommissioning, che qualcuno dovrà  pur pagare, e della gestione delle scorie: un Rapporto del 2009 del MIT, Massachusetts Institute of Technology, ha valutato il costo dell’elettricità  da nucleare in 8,4 c$/kWh, più del gas e del carbone. Ci sono poi i problemi di sicurezza, come ricorda una recente nota delle Agenzie per la sicurezza di Francia, Gran Bretagna e Finlandia, e di smaltimento definitivo delle scorie, lungamente ed altamente radioattive: non c’é, infatti, un solo sito sicuro e funzionante in tutto il mondo e gli USA hanno abbandonato, dopo anni di inutili esperimenti, costati oltre 8 miliardi di dollari, il deposito di Yucca Mountain in Nevada.
Mentre la rinascita del nucleare incontra non poche difficoltà , tutti gli indicatori testimoniano che è partita la corsa delle rinnovabili e dell’efficienza energetica in Europa, negli USA, in Cina. Nel modello Germania, nel critico 2009, il numero di addetti alle energie verdi è aumentato di 20.500 unità  raggiungendo quota 300.500 di personale diretto ed oltre 1 milione nell’indotto. Lo scorso anno il 61% e il 43% della nuova potenza elettrica installata, rispettivamente in Europa e negli USA, era rappresentata da impianti alimentati da fonti rinnovabili. Si tratta di comparti nei quali la piccola e media industria italiana potrà  giocare, insieme alla grande impresa, un ruolo importante, se si attiverà , come è successo in altri paesi, un gioco di squadra tra istituzioni ed imprese. La scelta nucleare, al contrario, determinerà , necessariamente, una sottrazione di intelligenze, di risorse economiche, per giunta durante la peggiore crisi degli ultimi due secoli, rispetto ai più promettenti settori dell’efficienza e delle rinnovabili che saprebbero attivare, come in parte stanno già  facendo, ricadute economiche ed occupazionali immediate. Considerato poi il limitato consenso nel Paese, pensiamo che il progetto nucleare si arenerà , ma avrà  fatto perdere all’Italia tempo e ricchezze.
Per questo chiediamo che il Governo riveda, anche alla luce dell’attuale crisi, la sua scelta e si impegni nel disegnare un nuovo quadro normativo che sostenga adeguatamente la green economy e le produzioni sostenibili che sono quelle che meglio possono farci competere nel mondo dell’economia globalizzata. La sfida energetica è una sfida industriale che richiede scelte strategiche intelligenti, coraggiose e mirate che sappiano creare ed attivare filiere industriali, in sinergia con i centri di ricerca, capaci di far crescere le piccole e medie imprese italiane, insieme ai grandi gruppi nazionali, per garantire occupazione, competitività  e sviluppo.
Pasquale Pistorio – Presidente onorario Kyoto Club
Catia Bastioli – CEO – Novamont S.p.A. – Presidente Kyoto Club
Gianluigi Angelantoni – Amministratore delegato – Angelantoni Industrie S.p.A. e Archimede Solar Energy – Vice-Presidente Kyoto Club,
oltre 200 tra imprenditori, manager, professionisti (le adesioni su www.kyotoclub.org)

Energie e talenti: risparmio energetico e fonti rinnovabili

Relazione di Francesco Ferrante
(Segreteria nazionale Legambiente – Vicepresidente Kyoto Club)
Seminario estivo di Symbola
Monterubbiano 16-17 luglio 2010

In questi giorni a Monterubbiano discutiamo non solo di quali siano le strade migliori da percorrere per affrontare la crisi, ma anche le condizioni necessarie per costruire un futuro migliore e più desiderabile, una società  più giusta e con più coesione sociale. Perché solo attraverso una radicale innovazione nel nostro modo di produrre e consumare passa la strada per competere nella globalizzazione. L’alternativa è solo quella, sciagurata, e che purtroppo inizia ad affermarsi in alcuni settori della classe dirigente del nostro Paese, di riduzione dei diritti e del livello del benessere in questa parte del mondo per pareggiare verso il basso le condizioni di vita e di lavoro che si realizzano da noi e quelle in essere nei Paesi emergenti. Credo si debba sconfiggere questa ipotesi , praticandone con decisone una tutta diversa. Vogliamo indagare – e in questo utilissimo è il pregevolissimo lavoro di ricerca che Symbola e Unioncamere ci hanno messo a disposizione con “Green Italy” – se già  oggi sono presenti nella società  reale elementi concreti di novità , di movimento, “energie e talenti”, come recita il titolo di questa sessione, che ci permettano di guardare al futuro con speranze basate su fatti.
La green economy, ovviamente, non è solo energia, fonti rinnovabili e risparmio energetico. I “confini della Green Italy” sono già  oggi molto più ampi – la mobilità  sostenibile e gli investimenti che diventano sempre più importanti in questo settore, lo sforzo di innovazione sui materiali e i processi di produzione, la “nuova chimica”, la valorizzazione di quella che Ermete Realacci ha “battezzato” come soft economy italiana con il suo straordinario patrimonio di cultura, paesaggio, natura, bellezza, tradizioni enogastronomiche – ma l’impetuoso passo avanti fatto in questi ultimi anni nel settore energetico, forse meglio che qualsiasi altro esempio può aiutarci a percorrere quella strada per un futuro migliore.
Voglio qui richiamare solo alcuni dei numeri che trovate nella ricerca.
All’inizio degli anni 90 del secolo scorso, agli albori dello sviluppo industriale delle fonti rinnovabili, questo Paese era all’avanguardia sia nell’eolico che nel fotovoltaico. Poi sciaguratamente per colpa di una politica troppo distratta , ma anche di un sistema in cui le nostre grandi imprese sembrano costituzionalmente poco propense a rischiare, abbiamo perso il treno che invece altri Paesi – la Germania, la Spagna, i paesi scandinavi – hanno saputo cogliere con lungimiranza. Per anni siamo rimasti fermi con il risultato che gli altri andavano avanti e competevano molto meglio nell’economia che si globalizzava: la Germania costruiva una filiera industriale che oggi occupa oltre 300.000 persone, le grandi imprese spagnole del fotovoltaico e dell’eolico diventavano tra le più grandi multinazionali del settore, i danesi vendono turbine eoliche in tutto il mondo. Ancora nel 2005 a una Conferenza dell’Onu sulle energie rinnovabili organizzata a Pechino colpiva quanto quei Paesi fossero presenti con i loro prodotti in quello che stava già  diventando il mercato in espansione di gran lunga più importante e la totale assenza del nostro sistema economico-industriale.
Affrontare i cambiamenti climatici diventava sempre più urgente, la necessità  di ridurre le emissioni di CO2 sempre più impellente e un po’ dappertutto nel mondo si affermava l’idea che muovere verso quella straordinaria rivoluzione costituita dalla costruzione di società  “low carbon”, in cui si usciva dall'”era del fossile”, quel fossile su cui tutti, chi più chi meno, nel corso degli ultimi due secoli abbiamo realizzato il nostro benessere, era una straordinaria sfida, ma anche la migliore scommessa per il futuro e per affrontare la crisi. Tanto che il recente rapporto McKinsey racconta come praticabile l’obiettivo – stupefacente fino a pochissimo tempo fa – di un’Europa in cui l’energia elettrica verrebbe prodotta esclusivamente da rinnovabili nel 2050! E l’Agenzia federale tedesca (non qualche manipolo di estremisti ambientalisti), la settimana scorsa nel suo rapporto ha approfondito come l’obiettivo del 100% di rinnovabili al 2050 sia raggiungibile anche facendo addirittura simulazioni ora per ora in modo da respingere eventuali critiche basate sulla presunta aleatorietà  di molte rinnovabili (“non sempre c’è vento”, “il sole di notte non c’è”, ecc.): si può fare.
In Italia non è andata così per troppo tempo e ancora oggi, purtroppo, siamo costretti ad attardarci in polemiche con i “negazionisti” dei cambiamenti climatici che ci fanno perdere solo tempo e risorse preziose e con chi ritiene le rinnovabili tuttalpiù una nicchia anche da difendere ma mia un settore industriale “vero”.
Negli ultimi due anni però finalmente le cose sono cambiate e anche noi abbiamo iniziato a correre. Grazie alla riforma degli incentivi portata a termine nella scorsa legislatura, una riforma “europea”, con meccanismi analoghi a quelli operanti nei paesi citati prima e che oggi qualche miope vorrebbe scardinare (questo e non altro è stato il tentativo del Governo di cancellare con l’articolo 45 della finanziaria l’obbligo di ritiro dei certificati verdi da parte del GSE), in Italia si è finalmente iniziato a montare pannelli e a realizzare parchi eolici.
I risultati sono importanti: nel 2009 un chilowattora su quattro di energia elettrica prodotta in Italia proveniva da fonti rinnovabili, l’eolico ha contribuito con oltre 6,6 TWh, ad oggi abbiamo istallato oltre 1300 MW di pannelli solari fotovoltaici. E se è vero come ci hanno rivelato i recenti dati dell’Istat che il 10,7% dei consumi totali di energia vengono da rinnovabili, l’obiettivo europeo del 17% al 2020 non appare più un miraggio ma un target raggiungibile e concreto.
Certo, complice sgradita di questi exploit percentuali è stata la crisi economica che ha ridotto i consumi totali ed è auspicabile che per il futuro cresca molto di più il numeratore, e che invece il denominatore di questa frazione diminuisca piuttosto per virtuose pratiche di efficienza energetica che non per “riduzione da crisi”. Ma il dato, che emerge dal Rapporto “Comuni rinnovabili” di Legambiente, per il quale in oltre 7000 degli 8000 Comuni italiani è ormai presente un impianto che produce energia da fonte rinnovabile, è un fatto incontrovertibile.
E’ evidente che non possiamo fermarci , ma che anzi dobbiamo accelerare. Il Piano per le rinnovabili che il Governo in questi giorni si accinge a mandare a Bruxelles quasi in tempo con le indicazioni europee (avremmo dovuto farlo entro il 30 giugno, ma per le abitudini italiane qualche settimana di ritardo può essere considerata un successo) traccia una strada e ha il merito, finalmente, di scrivere numeri appunto “europei”. Sconta forse ancora troppe prudenze, ad esempio sul fotovoltaico e sul biogas, e dovremo lavorare nei prossimi mesi per correggerlo in quei punti, ma ciò che è necessario è che nella prossima riforma dei meccanismi di incentivazione non si facciano passi indietro, ma anzi si realizzi quella connessione e programmazione fra risorse da mettere in campo e obiettivi da raggiungere ancora assente.
Non si tratta qui di difendere livelli di incentivi alti, anzi va salutato positivamente il nuovo conto energia sul fotovoltaico – finalmente approvato settimana scorsa con sei mesi di ritardo! –  che prevede una riduzione graduale – sino al 30% – degli stessi, (più forte per quelli a terra e più contenuta per quelli sui tetti) ma piuttosto di smontare un argomento cavalcato con troppa improvvisazione da molti, e con qualche peloso interesse da alcuni, per cui l’ammontare complessivo degli incentivi per le fonti rinnovabili sarebbe insostenibile e andrebbe ridotto. Basti pensare che il famigerato articolo 45 si proponeva di ridurre di circa 500 milioni la bolletta elettrica pagata da cittadini e imprese, mentre in Germania con lo stesso meccanismo sono destinati da anni alle fonti rinnovabili oltre 5 miliardi di euro (10 volte tanto!) e in quel paese non esistono né cittadini , né imprese che si lamentino visto che sono ben consci del volano costituito da quel settore per l’intero sistema. Sarebbero ben altri i costi impropri e improduttivi che pesano sulle nostre bollette che andrebbero rapidamente cancellati: circa 1 miliardo all’anno ci costa il mancato collegamento tra Sicilia e Calabria (soldi che gentilmente regaliamo a chi ha impianti di produzione di energia elettrica nell’isola); oltre 400 milioni gli oneri per il nucleare che da decenni paghiamo per quella disgraziata avventura che oggi qualcuno vorrebbe persino riproporre; più di 100 milioni per una “tassa occulta” nascosta nelle pieghe degli oneri di sistema; e che dire dell’IVA che tutti noi paghiamo, regalandola alle casse dello Stato senza alcun ritorno, su quelle voci della bolletta?
Ciò che serve quindi al settore delle rinnovabili è quindi certezza degli incentivi che non vengano continuamente messi in discussione – ed è per questo da respingere l’ipotesi di spostare il peso dalle bollette alla fiscalità  generale, una scelta che metterebbe alla mercè del Ministro del Tesoro di turno e della sua inevitabile fame di risorse ad ogni finanziaria gli incentivi stessi – e che anzi prevedano una curva di riferimento almeno sino al 2020, magari prevedendo di estendere anche nel  nostro Paese il meccanismo  feed in, attualmente previsto solo per il  fotovoltaico, per tutte le fonti rinnovabili, ovviamente con coefficienti moltiplicativi diversi a seconda delle tecnologie. Inoltre servono regole più certe per le autorizzazioni, che oggi sono il vero freno a uno sviluppo più forte degli impianti. Da questo punto di vista va salutata certamente con favore la recente approvazione, che pur arriva con troppo ritardo, da parte del Governo e della Conferenza unificata delle linee guida sulle autorizzazioni. Ora sta alle Regioni recepirle e non frapporre più ostacoli, sorvegliando allo stesso tempo che le procedure siano trasparenti e impediscano infiltrazioni criminali , che come è noto dalle cronache di questi giorni, provano a “inquinare” anche questo settore pulito come hanno fatto in altri campi.
Eolico ovunque ci sia vento a sufficienza facendo attenzione al suo inserimento nel delicato paesaggio italiano; fotovoltaico sui tetti, a partire da quelli dei capannoni, ma anche a terra in zone industriali e con molta cautela e attenzione alle primarie esigenze dell’agricoltura, nei terreni agricoli; promozione del nuovo solare a concentrazione e termodinamico; diffusione del solare termico (per il riscaldamento dell’acqua) ad oggi davvero troppo poco usato nel “paese del sole”; biomasse da filiera corta e ampio ricorso al biogas (anche da inserire in rete): questi gli obiettivi principali da perseguire nei prossimi mesi e anni.
L’esperienza di questi due anni, tutto sommato positivi, ci dice inoltre che è proprio costruendo le condizioni per realizzare una filiera industriale degna di questo nome che si promuove la ricerca. Sono finalmente oggi numerose le Università , o gli spin off, gli enti pubblici e le aziende private che si stanno muovendo e investendo in questa direzione. E particolarmente interessante è lo sviluppo del solare termodinamico che vede anche protagonisti italiani in quella che si prospetta essere una promettente corsa dei prossimi anni.
Le fonti rinnovabili per loro natura sono “diffuse” e necessitano di pensare un sistema basato sulla generazione distribuita e le smart grid (su cui Terna deve investire di più). Nessun senso ha paragonare, in termini di potenza e di energia prodotta, un campo fotovoltaico a una grande centrale termoelettrica, ma piuttosto immaginare una società  dove i cittadini si autoproducono l’energia, gli agricoltori trovano un sostegno reale ai propri redditi così grami, gli artigiani e le piccole e medie imprese possano trovare terreno fertile sui basare il proprio sviluppo è la condizione necessaria, anche se ancora non sufficiente, per avvicinarsi allo stesso tempo a una società  che usi di meno i fossili e che sia più “democratica”-
Non è però solo contando sullo sviluppo delle rinnovabili che saremmo in grado di affrontare cambiamenti climatici, creare le condizioni per società  a basso tenore di carbonio e vincere la sfida dell’innovazione. Se non operiamo al contempo con decisione e radicalità  anche sul fronte dell’efficienza energetica la montagna sarà  sempre troppo alta da scalare.
E, ancora partendo dai dati, dobbiamo sapere che nell’ultimo decennio mentre gli altri Paesi hanno fatto sforzi importanti in questo settore, noi siamo rimasti pressoché fermi: fatta 100 l’intensità  energetica nel 1997 dell’Italia e degli altri Paesi europei, osserviamo che se in Italia in 10 anni si è ridotta solo di 3 punti percentuali, nell’Europa a 15 è calata di 7, con alcuni balzi all’ingiù spettacolari quali quello della Danimarca (-15) e del Regno Unito (-13). In valori assoluti: in Italia nel 1997 ci volevano 146,96 chilogrammi equivalenti di petrolio per produrre un valore di 1000 euro, e in questa speciale classifica eravamo tra i migliori, superati solo dalla risparmiosa Danimarca a cui servivano solo 132,87 Kep/1000 euro,  10 anni dopo, mentre nel resto d’Europa ma anche negli Stati Uniti (lì si è passati da 229,44 Kep a 189,71 con una riduzione di oltre il 17%, certo favorita dagli alti livelli di sprechi da cui partivano) si scendeva rapidamente, da noi ce ne volevano ancora 142,78, praticamente la stessa quantità  che nel secolo scorso.  
Allora risulta davvero incomprensibile l’ostinato rifiuto del Governo di prorogare quella misura, il 55% di “sconto fiscale” nelle ristrutturazioni edilizie volte al risparmio energetico, che nei primi due anni è stata utilizzata da oltre 600.000 cittadini, ha messo in moto un giro di affari di oltre 12 miliardi di euro senza pesare  sul bilancio dello Stato (perché ha significato anche tanta emersione dal nero), ha rappresentato una boccata d’aria (pulita) per un settore, quello dell’edilizia che più di altri viene colpito dalla crisi, e ha permesso di risparmiare la quantità  di energia elettrica prodotta da una grande centrale termoelettrica.
La strada è invece quella di incentivare, nei consumi domestici e in quelli industriali, nell’edilizia e nel trasporto tutte quelle forme più efficienti che sono anche le più innovative e in grado di competere anche a livello internazionale.
Oggi passeremo in rassegna molte di queste best practices, nelle rinnovabili e nell’efficienza, e spero che si possa dare un ulteriore contributo utile a quella ricerca di futuro possibile e desiderabile che al centro di questa nostri tre giorni marchigiana.
Tutto questo si può fare a patto però che si affronti anche  il capitolo forse più importante per la costruzione di una nuova economia, di un futuro migliore: il  fisco. E’ necessario dire che per tutta la green economy, e per il settore dell’efficienza e delle rinnovabili, per accompagnarci nell’uscita dal “era del fossile”, ma anche per costruire una società  più giusta, noi abbiamo bisogno di una rivoluzione anche nel modo in cui intendiamo il fisco. Non si tratta di piccoli aggiustamenti o urlare “meno tasse per tutti” e confondere il mondo con promesse mirabolanti quanto pericolose,  quanto piuttosto radicalmente spostare il peso fiscale, che oggi grava tutto su imprese e lavoro, e colpire i consumi di materie e risorse da una parte e le rendite finanziarie dall’altra. Non può essere questa la sede per affrontare questo punto in maniera approfondita ma è certamente questa la strada che mi auguro sapremo imboccare con coraggio e fiducia
 

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