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Dieci proposte per uscire dalla crisi

Documento ecodem – 13 gennaio 2012

In che modo si può uscire dalla crisi? Come si fa ripartire l’economia e si crea lavoro? C’è chi pensa che, passata la nottata, prima o poi tutto potrà  ricominciare come prima. Non è così. La rotta giusta per uscire dalla crisi, in Europa e nel mondo, è nella crescita di una nuova economia ecologica per uno sviluppo sostenibile. Un new deal ecologico che cammina su due gambe: la rivoluzione industriale e tecnologica legata alla green economy, e un cambiamento culturale verso una nuova idea di benessere e diversi stili di vita.

In questa sfida, un paese come l’Italia ha la possibilità  di innestare la modernizzazione ecologica del sistema industriale e manifatturiero su un patrimonio straordinario di civiltà , bellezza, creatività , e sulle vocazioni di territori ad alta qualità  ambientale. Una via italiana alla green economy, che potrà  tanto più svilupparsi quanto più sarà  sostenuta da efficaci politiche industriali, fiscali, ambientali.

L’economia verde è dunque uno dei pilastri fondamentali per la ricostruzione dell’Italia. Le nostre proposte vogliono essere di stimolo all’attuale governo – per le misure più immediate da adottare nella cosiddetta “fase due” per il rilancio dell’economia – ed al tempo stesso obiettivi da mettere al centro di un programma di più lungo periodo per la prossima legislatura. Dieci proposte concrete che insieme fanno anche un’idea di futuro.

1. MODERNIZZAZIONE ECOLOGICA DELL’INDUSTRIA ITALIANA. E’ una scommessa decisiva per dare alla nostra industria manifatturiera (la seconda in Europa) un ruolo nella nuova rivoluzione industriale dell’economia verde.
Proponiamo di rilanciare il progetto di politica industriale intrapreso con “Industria 2015” (avviato nel 2006 per rilanciare l’innovazione industriale puntando in particolare su efficienza energetica, made in italy, mobilità  sostenibile, e successivamente svuotato dal governo Berlusconi) con un nuovo programma “Industria 2020”, imperniato su politiche di sostegno alla ricerca ed alla innovazione finalizzate allo sviluppo della green economy nei principali settori manifatturieri (tecnologie e materiali per l’efficienza energetica e la produzione di energia da fonti rinnovabili; industria dell’auto e mobilità  sostenibile; nuovi materiali e chimica “verde”; filiere industriali connesse al riciclo ed all’utilizzo efficiente delle materie prime; eco design, ecc.).
Si tratta di sviluppare politiche industriali che, favorendo l’innovazione sia di processo che di prodotto, orientino l’industria manifatturiera italiana verso l’innovazione ecologica, la qualità  ambientale, l’uso efficiente dell’energia e delle materie.
Un esempio di attualità  è quello connesso alla “rivoluzione” degli shopper: il divieto di commercializzazione e produzione di sacchetti di plastica non biodegradabili – un nostro successo che ha aperto la strada a nuovi prodotto più ecosostenibili – va ora completato con una norma che dia una corretta definizione di “biodegradabile e compostabile”, una norma promessa dal governo Monti ma misteriosamente sparita dal decreto “milleproroghe”, che ci impegniamo a ripresentare in Parlamento.
Sull’obiettivo di una modernizzazione ecologica del sistema industriale vanno concentrate le risorse disponibili, a partire da quelle del Fondo rotativo per Kyoto e da quelle che verranno dalla quota sui diritti di emissione di C02, anche riformando il sistema dei sussidi alle imprese oggi spesso erogati senza adeguati criteri selettivi.
E’ necessario anche sviluppare accordi di programma tra distretti produttivi, poli scientifici e tecnologici, Università  e centri di ricerca (a partire dall’ENEA), accordi volontari con le imprese, sistemi di certificazione.

2. FISCALITA’ ECOLOGICA. Vogliamo un sistema fiscale più giusto – che promuova una maggiore equità , combatta l’evasione e favorisca il lavoro e la produzione rispetto alla rendita – ma anche al tempo stesso capace di orientare l’economia verso l’innovazione ecologica.
Per questo proponiamo una riforma in senso ecologico del sistema fiscale che, a parità  di gettito, alleggerisca la pressione sul lavoro e sull’impresa spostando il carico verso i consumi di energia e di materie prime, incentivi produzioni e consumi ambientalmente virtuosi disincentivando quelli più inquinanti. La leva della fiscalità  ecologica – quanto più possibile coordinata su scala europea ed in linea con gli obiettivi della strategia Europa 2020 – può dare un contributo importante ad un rilancio “verde” dell’economia.
Questa strategia deve ispirare anche i provvedimenti più immediati del Governo e del Parlamento, a cominciare dalla attuazione della legge delega di riforma del sistema tributario (correggendo una negativa carenza della delega).
Proponiamo inoltre in particolare:
a) l’incentivazione di produzioni che utilizzano materie prime seconde, sviluppando la filiera del riciclo; l’Italia, paese povero di materie prime, può divenire uno dei leader mondiali nell’uso efficiente delle risorse e del riciclo, sostenendo con il sostegno della leva fiscale il mercato dei prodotti riciclati;
b) una riforma della fiscalità  urbanistica capace di rovesciare la logica perversa che oggi induce molti Comuni, anche a causa delle ristrettezze finanziarie, ad incrementare il consumo di suolo, premiando al contrario la riqualificazione delle città  e del patrimonio edilizio esistente;
c) l’utilizzo della carbon tax, possibilmente in maniera coordinata sul piano europeo, per favorire la costruzione di una economia “low carbon”.

3. MADE IN ITALY, AGRICOLTURA, TURISMO, PARCHI: LA SFIDA DELLA QUALITA’. Lo sviluppo dell’economia verde può avere in Italia una declinazione originale e con grandi potenzialità . Se è vero che la sfida della qualità  è decisiva per la competitività  delle imprese e dei sistemi territoriali, la carta vincente per l’Italia – come già  dimostrano esperienze di successo cresciute in questi anni – sta nella capacità  di incrociare la modernizzazione ecologica del sistema manifatturiero con la valorizzazione delle vocazioni e dei tradizionali punti di forza del nostro paese, con quel saper fare “le cose belle che piacciono al mondo” che costituisce un tratto distintivo della nostra stessa identità  nazionale.
Servono perciò politiche per tutelare il patrimonio ambientale, storico, paesistico; promuovere nel mondo il made in Italy, difendendolo da imitazioni e contraffazioni; sviluppare il turismo di qualità ; sviluppare le produzioni agroalimentari legate al territorio e le produzioni biologiche; valorizzare il sistema dei parchi e tutelare la biodiversità .

4. CLIMA ED ENERGIA: L’ITALIA PROTAGONISTA. Dopo gli anni dei governi di centrodestra, che hanno visto l’Italia schierata su posizioni di retroguardia, ora, dopo la Conferenza di Durban, il nostro paese deve tornare ad essere in prima linea nella costruzione di un nuovo accordo globale per il clima entro il 2015 e nella attuazione del c.d. “Kyoto 2”, a cominciare dalla assunzione dell’obiettivo su scala europea di una riduzione del 30% delle emissioni entro il 2020.
L’Italia deve giocare un ruolo di protagonista anche nella rivoluzione energetica, che può rappresentare per il nostro paese un volano per l’occupazione e la green economy, ed al tempo stesso una garanzia di indipendenza e di sicurezza. Solo con un nuovo modello energetico potremo rendere il nostro sistema sicuro, competitivo, sostenibile.
Dopo il referendum che ha sancito il definitivo abbandono del nucleare è più che mai urgente dotare il nostro paese di una nuova strategia energetica. Gli scenari di lungo periodo dipendono anche da decisioni che devono essere assunte nei prossimi mesi. L’Italia, come dimostrano i risultati raggiunti nel giro di pochi anni nello sviluppo delle rinnovabili – ad esempio nel fotovoltaico – può ancora collocarsi tra i leader mondiali delle energie rinnovabili: occorre però muoversi in fretta. Per questo va convocata una Conferenza nazionale sull’energia.
L’Italia, in sintonia con gli obiettivi comunitari al 2020 e con la Roadmap 2050 della Commissione Europea, deve puntare su una strategia di efficienza energetica e sullo sviluppo delle rinnovabili, per arrivare a produrre entro il 2030 almeno il 50% dell’elettricità  da fonti rinnovabili ed a ridurre dell’80% le emissioni di gas serra entro il 2050. A tal fine bisogna garantire un sistema certo e adeguato di incentivi fino al raggiungimento della grid parity, adeguare la rete elettrica (smart grid e sistemi di accumulo), rafforzare gli incentivi per l’energia termica da rinnovabili e per l’efficienza energetica.
Una nuova strategia energetica deve prevedere inoltre una riduzione progressiva dei consumi di petrolio e il rafforzamento al ruolo essenziale del gas, completando i processi di liberalizzazione e realizzando le infrastrutture necessarie (rigassificatori, gasdotti, stoccaggi); deve escludere un incremento dell’uso del carbone, sviluppando al contempo la sperimentazione delle tecniche di cattura della CO2.
Proponiamo di:
a) emanare rapidamente i decreti attuativi ancora mancanti per le rinnovabili (energia elettrica e termica) in modo da garantire un quadro certo di incentivazioni;
b) responsabilizzare le Regioni per il raggiungimento degli obiettivi territoriali (“burden sharing”) per le rinnovabili;
c) avviare un programma per l’efficienza ed il risparmio di energia in tutti i settori (industria, servizi, edilizia, trasporti) in grado di ridurre i costi delle bollette e le emissioni di gas serra, di migliorare la competitività  delle imprese e creare nuovi posti di lavoro;
d) rendere permanenti le detrazioni fiscali (55%) per la riqualificazione energetica degli edifici privati, ridefinendo se necessario le tipologie degli interventi ma mantenendo in ogni caso un livello di incentivazione più vantaggioso rispetto alla semplice ristrutturazione edilizia (36%);
e) avviare piani straordinari – nazionali e locali – per la riqualificazione energetica degli edifici pubblici (scuole, ospedali, uffici) e per il patrimonio di edilizia residenziale pubblica, nonchè per la messa in sicurezza antisismica, con l’istituzione di un Fondo di rotazione per l’efficienza energetica.
f) anticipare negli strumenti urbanistici dei Comuni l’attuazione degli obiettivi previsti dalla nuova direttiva europea sugli standard energetici delle nuove costruzioni (verso edifici a consumo “zero o quasi zero”)
g) semplificare le modalità  autorizzative per gli impianti di energia rinnovabile, garantendo tempi certi per la loro realizzazione ed un corretto inserimento nel territorio.

5. OPERE PUBBLICHE: PRIORITA’ LA DIFESA DEL SUOLO. Nell’Italia delle frane e delle alluvioni, con oltre 5 milioni di persone in pericolo, la più grande opera pubblica oggi necessaria non può che essere l’insieme di interventi che riguarda la difesa del suolo, la prevenzione del dissesto idrogeologico, la manutenzione del territorio.
Proponiamo in particolare di:
a) ripristinare quanto più possibile, dopo i drammatici tagli degli ultimi anni, i finanziamenti per la difesa del suolo, destinando comunque a tale obiettivo almeno 1/3 dei fondi Cipe, nonché di rinunciare all’acquisto di 131 cacciabombardieri F35 utilizzando una parte di queste risorse per la sicurezza del territorio;
b) consentire agli enti locali la deroga al patto di stabilità  per gli investimenti in questo settore;
c) adottare un piano di adattamento ai cambiamenti climatici, considerando che a fronte di eventi meteorologici sempre più intensi occorre anche un aggiornamento della mappa della vulnerabilità  del territorio;
d) potenziare il ruolo dell’agricoltura nelle funzioni di tutela del territorio;
e)semplificare e riordinare le competenze istituzionali, oggi farraginose e confuse;
f) intensificare la lotta all’abusivismo edilizio, frenare il consumo di suolo, delocalizzare gli insediamenti a maggior rischio.
Più in generale, se vogliamo che gli investimenti sulle opere pubbliche producano benefici rapidi per l’economia bisogna concentrarsi anzitutto su migliaia di piccole e medie opere, aprendo subito i cantieri per la manutenzione di scuole, ferrovie e strade, per la riqualificazione delle città , per completare i sistemi di depurazione delle acque e di trattamento dei rifiuti.
Per quanto riguarda le grandi infrastrutture di trasporto, dopo la stagione dei roboanti annunci sulle grandi opere ed il fallimento della legge obiettivo, a maggior ragione in una stagione di risorse pubbliche scarse, bisogna cancellare definitivamente dalla programmazione opere sbagliate come il Ponte sullo Stretto, rivedere le priorità  puntando anzitutto sul trasporto su ferro e via mare, ricondurre ogni scelta infrastrutturale dentro una coerente politica di modernizzazione ecologica del sistema dei trasporti e di riequilibrio modale.

6. SERVIZI PUBBLICI LOCALI. Il sistema dei servizi pubblici locali rappresenta un settore fondamentale per la green economy, considerando le attività  già  in essere – dall’energia ai rifiuti, dai trasporti all’acqua – e quelle che potranno essere intraprese.

Sono servizi che richiedono al tempo stesso salvaguardia dell’interesse pubblico e efficiente gestione industriale. Devono essere accompagnati – questo è un aspetto particolarmente importante in funzione del rilancio dell’economia – da investimenti per la realizzazione di impianti ed infrastrutture (dalle reti per il gas e l’elettricità  agli impianti per il trattamento dei rifiuti, dagli acquedotti ai depuratori), anche con modalità  innovative di finanziamento.

Il servizio idrico ha una sua specificità . L’acqua è un bene comune essenziale: questo principio, a maggior ragione dopo il referendum, non può essere messo in discussione. Al tentativo del precedente governo di imporre privatizzazioni forzate abbiamo contrapposto la necessità  di una più forte capacità  pubblica di programmazione, regolazione e controllo, in modo che la gestione del servizio garantisca il diritto all’acqua, la tutela delle risorse idriche, la realizzazione degli investimenti necessari per realizzare depuratori, fognature, acquedotti.

Ma anche per gli altri servizi pubblici locali, interessati da processi di liberalizzazione, è necessario – senza scordare mai peraltro la sostanziale differenza tra liberalizzazioni e privatizzazioni – garantire che la concorrenza per l’affidamento del servizio avvenga sempre in un quadro di efficace regolazione pubblica e di promozione della qualità  ambientale del servizio.

Per i rifiuti, in particolare, non c’è da andare alla ricerca di bacchette magiche, o perdersi in discussioni ideologiche, c’è solo da fare, in ogni parte d’Italia, una buona ed efficace politica, la stessa indicata dalle direttive europee. Primo: ridurli, con misure di prevenzione. Secondo: riutilizzarli e riciclarli, per anticipare quanto più possibile il raggiungimento dell’obiettivo europeo di avvio al riciclo di almeno il 50% dei rifiuti urbani. Terzo: il recupero di energia. Infine, ma solo per la minima parte residua, lo smaltimento in discarica.

7. MOBILITA’ SOSTENIBILE, CITTA’ ECOLOGICHE ED INTELLIGENTI. Nel campo della mobilità  c’è moltissimo da fare, e ritardi enormi da recuperare. I provvedimenti del governo Berlusconi avevano addirittura quasi azzerato i finanziamenti per il trasporto pubblico locale, abbattendoli da 1800 a 400 milioni.
Il recente accordo tra il governo Monti e le Regioni ha consentito di recuperare almeno una parte delle risorse tagliate, in particolare per il servizio ferroviario locale. Questo è già  un primo risultato, che può e deve essere ancora migliorato. La situazione rimane tuttavia in ogni caso drammaticamente al di sotto delle necessità .
Investire nella realizzazione di sistemi di mobilità  sostenibile – ferrovie locali, tramvie e metropolitane, treni per i pendolari, autobus a basso impatto ambientale, sostegno alla ricerca ed alla innovazione dell’industria automobilistica, passaggio delle merci dalla gomma alla ferrovia ed al cabotaggio, trasporto fluviale – è una priorità  per la modernizzazione del paese. Può costituire, al tempo stesso, una scelta importante per il rilancio dell’economia.
Più in generale, la sfida dell’economia verde e della sostenibilità  ambientale si gioca in modo particolare nelle città , grandi e piccole. Dall’efficienza energetica alla mobilità  sostenibile, dalle smart grid alle azioni per il clima, gran parte delle azioni da sviluppare per la sostenibilità  ambientale hanno il loro epicentro nelle realtà  urbane e nelle comunità  locali.
Lo sviluppo stesso della green economy dipende non solo dalle politiche nazionali, ma anche dalla capacità  dei sistemi economici locali di sostenere la ricerca, l’innovazione, gli investimenti. Ciò assegna agli Enti Locali ed alle Regioni un ruolo essenziale.
E’ necessaria dunque una nuova stagione del riformismo urbano, che metta al centro la qualità  ambientale e l’economia verde.

8. AMBIENTE E GREEN ECONOMY PER LO SVILUPPO DEL SUD. Economia verde, ambiente, turismo, agricoltura di qualità  costituiscono importanti opportunità  per lo sviluppo del Mezzogiorno.
Le regioni meridionali sono una naturale piattaforma tra Europa e Mediterraneo con grandi potenzialità  di sviluppo collegate alle energie rinnovabili, alla valorizzazione delle risorse ambientali, all’industria agroalimentare di qualità . Su questo obiettivo devono convergere politiche pubbliche e investimenti privati, in uno sforzo di rinascita del Sud.
A tal fine occorre sviluppare la filiera produttiva delle energie rinnovabili, utilizzando al meglio anche le risorse finanziarie dei POR FESR (1,3 miliardi di euro); riconvertire e innovare il tessuto manifatturiero con politiche industriali finalizzate allo sviluppo della green economy; valorizzare l’industria agroalimentare e le funzioni dell’agricoltura connesse alla difesa del suolo, alla tutela del paesaggio, alle agroenergie; sviluppare il turismo facendo leva sulla tutela del patrimonio ambientale, storico e culturale, sui parchi, sui 16 siti Unesco; investire per la manutenzione del territorio, la prevenzione del dissesto idrogeologico, il contrasto alla erosione delle coste; modernizzare le reti infrastrutturali (energia, acquedotti, impianti per il trattamento e per il riciclo dei rifiuti, banda larga, autostrade del mare e reti ferroviarie).

9. PIU’ LEGALITA’, LOTTA ALLE ECOMAFIE, MENO BUROCRAZIA. Affermare la legalità  è una condizione indispensabile per la ricostruzione dell’Italia. Lotta all’abusivismo edilizio ed alle ecomafie, contrasto al lavoro nero ed all’evasione fiscale, trasparenza e onestà  nella pubblica amministrazione, introduzione dei reati ambientali nel codice penale, sono al tempo stesso condizioni essenziali anche per la tutela dell’ambiente e per lo sviluppo dell’economia verde.
Altrettanto importante è procedere ad una riforma del sistema dei controlli ambientali (ISPRA ed Agenzie regionali), garantendone autorevolezza e indipendenza e promuovendo la collaborazione con le imprese per migliorare le loro performance ambientali. Un sistema di controlli adeguati è condizione essenziale per sostenere le imprese di qualità .
Occorre inoltre avviare una azione di forte semplificazione delle norme e delle procedure. Non è vero che più sono complicate le regole e meglio si tutela l’ambiente: è vero esattamente il contrario. Così come è necessario snellire il sistema di procedure autorizzative, che oggi troppo spesso rallenta o paralizza la realizzazione di un impianto di produzione di energia rinnovabile o l’avvio di una nuova attività  imprenditoriale nella green economy.

10. LAVORO VERDE. Creare nuova occupazione – lavoro non precario e qualificato – è una priorità  fondamentale, in un paese che ha più di 2 milioni di disoccupati e nel quale 1 giovane su 3 è senza lavoro.

Già  oggi i dati dimostrano che una parte significativa dei posti di lavoro creati in questi ultimi anni è nei “green jobs”. Riteniamo che puntando sullo sviluppo della green economy sia possibile creare in Italia nei prossimi anni – considerando sia le nuove attività  che la riconversione di attività  esistenti – almeno un milione di nuovi posti di lavoro.

Per vincere la sfida bisogna però investire di più e meglio sul capitale umano, sulla formazione e sulla ricerca. L’offerta formativa deve corrispondere meglio alle esigenze del mondo produttivo ed agli obiettivi di sviluppo dell’economia verde.

Dopo il referendum: una nuova strategia energetica low carbon per l’Italia.

Le proposte degli Ecologisti Democratici: il documento integrale
                

La predisposizione di un nuovo piano energetico nazionale rappresenta per l’Italia non solo una stringente necessità , ma anche una grande opportunità  di  cambiamento e di modernizzazione, nel segno della sostenibilità  ambientale e della innovazione tecnologica.
E’ una sfida di grande valore strategico, che richiede cultura di governo e visione del futuro. Anche per questa ragione deve costituire uno dei punti fondamentali del progetto con il quale il centrosinistra si candiderà  a governare il paese.
 
 

    

                                                                OBIETTIVI
 2020:
          riduzione del 30% delle emissioni di gas di serra;
          17% dei consumi  finali di energia  da fonti rinnovabili;
           incremento del 20% dell’efficienza energetica.
 2030:
          riduzione del 40% delle emissioni di gas di serra;
           mix energetico per la produzione di elettricità : 50% rinnovabili, 50% fossili;
          30% dei consumi finali di energia  da fonti rinnovabili.
              2050:
                    riduzione dell’80% delle emissioni di gas di serra.
  

    

                                                           STRUMENTI
          incentivazioni adeguate per le fonti rinnovabili elettriche fino al raggiungimento della grid parity, e  adeguamento  della rete elettrica;
          rafforzare i meccanismi di incentivazione per il termico e per l’efficienza energetica;
          implementare un grande piano per l’efficienza energetica;
          ridurre i consumi di petrolio nei trasporti;
          sostenere le azioni degli enti locali;
          realizzazione delle infrastrutture necessarie per il trasporto su ferro e per  il gas (rigassificatori, gasdotti, stoccaggi);
          sperimentazione della Carbon Capture Sequestration

                                                                     

                                                                     

                                                                     

1.      La travolgente vittoria del “sì” nel referendum antinucleare, con una partecipazione così ampia come non si vedeva da oltre 15 anni e circa il 95% dei voti a favore, oltre a sancire un definitivo accantonamento del programma nucleare italiano, sollecita la definizione di una strategia energetica adeguata alle esigenze del nostro Paese, in sintonia con il pronunciamento popolare.
 
Va rapidamente accantonato il vecchio modo di pensare alle problematiche dell’energia che vedeva nella scelta nucleare un nucleo portante, certo estremamente minoritario nella società  italiana, ma presuntuosamente accanito. Questa volta il “sì” referendario ha vinto non solo perché Fukushima ha nuovamente confermato l’insostenibilità  di impianti che possono provocare incidenti catastrofici e non controllabili, ma perché è già  in atto una rivoluzione energetica destinata a cambiare sempre più profondamente il modo stesso di pensare all’energia.  Un cambiamento già  oggi concreto e visibile intorno a noi.
 Questo cambiamento non confonde più il progresso con l’aumento dei consumi di energia: al contrario, punta sul risparmio e sull’efficienza energetica. Non si basa più su pochi (e spesso monopolisti) produttori di energia, ma promuove una larga pluralità  di produttori, reti intelligenti,  consumatori coinvolti nella generazione distribuita. Coglie il peso ormai decisivo dei fattori ambientali nelle scelte energetiche, in particolare la necessità  di far fronte alla minaccia dei cambiamenti climatici. Scartato il nucleare per ragioni di sicurezza e di insostenibilità , sia dal punto di vista economico che della gestione dei rifiuti radioattivi, scommette sulle fonti energetiche rinnovabili. Punta a cogliere appieno le opportunità  che l’economia verde offre, anche nel settore energetico, come exit strategy  dalla crisi economica e da quella climatica, con grandi potenzialità  sia occupazionali che di innovazione tecnologica. Nasce dalla consapevolezza della necessità  di accelerare la transizione dall’era dei combustibili fossili ad un nuovo modello energetico low carbon.
2.      Una nuova politica energetica per l’Italia non può che essere parte della strategia energetica europea. Va pertanto inserita nel contesto degli obiettivi di mitigazione della crisi climatica definiti dall’Unione Europea, fino alla riduzione di almeno l’80 % delle emissioni di gas serra al 2050, un obiettivo che implica quale tappa intermedia una riduzione del 40% al 2030 .  
Come primo passo, tale strategia deve assicurare intanto il raggiungimento degli obiettivi indicati dall’Unione Europea per il 2020: 17%  degli usi finali di energia coperto da fonti rinnovabili e  20% di risparmio  energetico, con una riduzione delle emissioni di gas di serra che, realizzando gli obiettivi precedenti, potrebbe attestarsi intorno al 30%.

Tenendo conto delle recenti indicazioni della Commissione europea, poiché per raggiungere il 10% di rinnovabili nei trasporti è necessario e possibile ricorrere ad elettricità  da fonti rinnovabili e non solo a biocarburanti – da impiegare sia per il trasporto ferroviario che  per  l’avvio della diffusione dell’ auto elettrica –  per realizzare l’obiettivo del 17% da rinnovabili sarà  necessario in realtà  alzare la quota di elettricità  da fonti pulite al di sopra del  30% dei consumi finali al 2020, oltre ad attuare misure adeguate per il calore ed il raffrescamento  da rinnovabili.

Particolare attenzione va rivolta alla necessità  di un adeguato e forte sistema di incentivazione sia per l’energia  termica prodotta da fonti rinnovabili che per l’efficienza energetica.

Il piano nucleare del governo, bocciato dal referendum, prevedeva a regime (nel 2030) il  25% di rinnovabili, il 25% di nucleare e il restante 50% coperto da combustibili fossili.  La nuova strategia energetica nazionale deve riscrivere quel programma, prevedendo il 50% di elettricità  prodotta con fonti rinnovabili e il 50% prodotta da fonti fossili, mettendo in conto altresì che almeno il 30% di tutta l’energia consumata al 2030 sia fornita da fonti rinnovabili. Sono obiettivi molto impegnativi, ma assolutamente fattibili grazie all’innovazione tecnologica, a patto che la politica faccia seriamente la sua parte in termini di regole, incentivi e sostegno alla ricerca.

Per raggiungere l’obiettivo del 50% di elettricità  prodotta con fonti rinnovabili è necessario sviluppare tutte le fonti con incentivazioni adeguate per il periodo necessario. In ogni caso, anche in vista del momento in cui non ci sarà  più bisogno di alcun incentivo (intorno al 2020, e per alcune fonti probabilmente anche prima),  occorre:
 

a) disporre di una rete intelligente, adeguata, con sufficiente capacità  di accumulo, in modo da poter rapidamente allacciare la grande quantità  di piccoli impianti diffusi sul territorio ;
b) disporre di procedure amministrative rapide che non provochino sovracosti rispetto agli altri Paesi europei ;
c) promuovere, anche attraverso un piano “Industria 2020”, filiere produttive nazionali in grado di soddisfare una forte domanda di impianti e tecnologie innovative, oggi troppo dipendente dalle importazioni ;  
d) definire un accordo strategico con le Regioni sugli obiettivi da conseguire e sulla loro articolazione territoriale.
 

3.      Un ruolo importante nella nuova strategia energetica dovrà  essere assegnato ai Comuni e alle Province, chiamandoli a sostenere ed estendere l’esperienza europea dei  programmi di attività  per l’energia  sostenibile (SEAP) a livello locale e del Patto dei Sindaci, che a giugno 2011 coinvolgeva già  1169 comuni italiani (su 2679 adesioni a livello europeo).
 

Un piano di politiche energetiche che punti all’efficienza e alle rinnovabili deve intrecciarsi strettamente con politiche territoriali di rilancio dell’economia e di miglioramento della qualità  ambientale locale: dal settore della mobilità  sostenibile agli acquisti verdi delle pubbliche amministrazioni, dalla diffusione delle rinnovabili  integrate con la riqualificazione energetica di edifici pubblici e privati, fino a tutti i servizi ambientali (ad es. realizzazione di  un ciclo integrato dell’acqua con misure per il risparmio idrico, che contribuiscono  al risparmio energetico; gestione dei rifiuti solidi urbani nel rispetto della gerarchia europea indicata dalla direttiva  2008/98/CE che ha al primo posto la prevenzione della produzione dei rifiuti, poi  il riciclaggio e il riuso, quindi il recupero energetico).
Ai Comuni, che oggi faticano a mantenere gli impegni presi con la sottoscrizione del Patto dei Sindaci (solo 110, meno del 10% del totale, a giugno 2011 avevano presentato, come richiesto dalla UE, il piano di azione per la riduzione delle emissioni di gas serra) andrà  garantito dal Governo nazionale e dalle Regioni il sostegno necessario.
 

Le comunità  locali ed i sistemi economici territoriali devono dunque essere considerati protagonisti essenziali nella costruzione di una nuova strategia energetica, in considerazione del ruolo centrale che i cittadini e le imprese  hanno nei processi legati allo sviluppo  delle energie rinnovabili ed al risparmio energetico. La rivoluzione energetica – se può essere favorita dal mercato e dall’innovazione tecnologica, e sostenuta da adeguate politiche pubbliche – richiede al tempo stesso la più ampia partecipazione dei cittadini, analoga a quella che in Italia li ha visti protagonisti del referendum del 12 giugno.

4.      Al centro di una nuova strategia energetica dell’Italia va posto un incisivo programma di efficienza e di risparmio energetico. Ciò al fine di realizzare gli obiettivi europei previsti   per il 2020 e con ulteriori impegni per  il 2030  per ridurre la dipendenza energetica, abbassare i costi  della  bolletta energetica, tagliare fortemente le emissioni di gas serra, migliorare la competitività  delle imprese e creare migliaia di nuovi posti di lavoro (come  emerge anche da uno studio realizzato di recente dalla stessa Confindustria).

Tale strategia deve riguardare l’elettricità , il calore, i carburanti, e tutti i settori di consumo: gli edifici, i sistemi di riscaldamento e di raffrescamento, le apparecchiature elettriche, l’ illuminazione, i trasporti, la produzione industriale, i servizi. Tutte le misure che si ripagano col risparmio di energia vanno rese obbligatorie, tutti gli standard di efficienza energetica tecnicamente fattibili, sia pure gradualmente, devono diventare obblighi di legge. Occorre rendere obbligatori programmi integrati e con precisi obiettivi supportati da politiche e misure di risparmio e di efficienza energetica, periodicamente verificati e aggiornati, non solo a livello nazionale, ma anche a livello comunale, provinciale, regionale. 
 

Le amministrazioni pubbliche (negli uffici, nelle scuole e nelle università , negli ospedali e nelle altre strutture sanitarie, nei trasporti pubblici, ecc.) sono grandi consumatori di energia. Va promossa la cogenerazione, anche di piccola taglia, nel settore civile ed in quello industriale. Tagliare i consumi energetici delle amministrazioni pubbliche è possibile e vantaggioso, con riduzioni significative delle bollette elettriche e dei costi del riscaldamento, con notevoli risparmi di spesa pubblica. Le pubbliche amministrazioni, a tutti i livelli, devono dare il buon esempio,adottando programmi obbligatori di misure di risparmio e di efficienza energetica.

Occorre inoltre promuove la ricerca, la diffusione di buone pratiche e buone tecniche di risparmio e di efficienza energetica, attivando accordi con università  e centri di ricerca, promuovendo la formazione e la riqualificazione di tutte le figure professionali necessarie, e oggi del tutto insufficienti, per realizzare questa diffusa rivoluzione dell’efficienza e del risparmio energetico.
 

5.      Il petrolio (38,9 % del fabbisogno energetico italiano del 2010) e il gas ( 36,6 % del fabbisogno del 2010) , insieme forniscono il 75,5% del fabbisogno del Paese, mentre il carbone  ha un peso ridotto (7%) .
 

Si può prevedere che petrolio e gas resteranno ancora prevalenti sia al 2020 (36% del gas e 35% del petrolio, per un totale del 71%), sia al 2030 (38% del gas e 28% del petrolio per un totale del 66% del fabbisogno  energetico dell’Italia). In tale contesto l’uso del carbone per produrre elettricità  non deve più crescere – in considerazione delle elevate emissioni di CO2 – salvo che per produzioni per le quali  la CCS (cattura e  sequestro della CO2), applicata a scala industriale, non si dimostri efficace e economicamente sostenibile.  

La disponibilità , la sicurezza dell’approvvigionamento, e i costi di petrolio e di gas avranno ancora un peso rilevante nel sistema energetico italiano sia al 2020 che al 2030.    
Salvo sorprese la domanda di petrolio nel prossimo decennio dovrebbe crescere in modo sostenuto, perché la flessione di quella dei paesi OCSE dovrebbe essere ampiamente compensata dalla forte crescita di quella dei Paesi di nuova industrializzazione (il sorpasso da parte dei Paesi non OCSE è previsto nel 2015). L’offerta di petrolio convenzionale è stagnante e potrebbe raggiungere entro i prossimi  due decenni il picco di produzione, mentre è in crescita quella del greggio non convenzionale più caro.

La previsione quindi è di crescita dei prezzi del petrolio, e dei suoi derivati. Per riequilibrare il mercato occorrerà  ridurre i consumi di petrolio – in particolare nei trasporti – sviluppando carburanti alternativi (in particolare i biocarburanti), ma anche   l’ impiego di elettricità  e l’uso del gas e del  biogas purificato nei trasporti.  

Nel mercato  mondiale del gas è in corso una vera rivoluzione. L’estrazione del gas non convenzionale ha portato al raddoppio delle riserve mondiali e a una nuova distribuzione della risorsa. I prezzi del gas negli Stati Uniti negli ultimi due anni sono scesi da 13 a 4-5 dollari/mil.Btu  ed è prevista una stabilizzazione nel prossimo decennio ad un prezzo basso, intorno ai 5-6 dollari. I prezzi medi europei del gas restano invece circa doppi, intorno ai 10 dollari/mil.Btu (i contratti a lungo termine hanno prezzi ancora ancorati al petrolio). La domanda mondiale di gas è in crescita, ma lo è ancora di più  l’offerta: l’aumento delle disponibilità  di gas non convenzionale negli Stati Uniti, in Australia, in Cina e India riversa una  maggiore  disponibilità   di gas anche in Europa.

I prezzi del gas non dovrebbero aumentare, anzi nei prossimi anni potrebbero  diminuire  anche in Europa. Ma per cogliere i vantaggi della svolta in atto nel mercato del gas occorre completare il processo di liberalizzazione del mercato italiano e realizzare tutte le infrastrutture necessarie. Nonostante la realizzazione di alcuni potenziamenti dei gasdotti di importazione e l’entrata in servizio del rigassificatore di Rovigo, la dotazione infrastrutturale (rigassificatori, gasdotti, stoccaggi) del nostro Paese rimane insufficiente.
 

Una nuova strategia energetica – nella transizione verso un modello basato prevalentemente sulle rinnovabili – deve dunque prevedere la realizzazione di nuovi rigassificatori, la possibilità  di sperimentare concretamente la CCS, e lo sviluppo di nuova capacità  di stoccaggio (la modulazione stagionale consentirebbe infatti di “spostare” quantitativi di gas naturale dal periodo estivo al successivo periodo invernale ed avrebbe  effetti simili alla realizzazione di nuovi gasdotti, consentendo di fatto un incremento del livello di concorrenza).
                                                                                                                                                                         

Invece del nucleare

Appello lanciato dal Kyoto Club

New Nuclear: why the economics says no! Non è un manifesto ambientalista, ma il titolo dell’ultimo report pubblicato da Citigroup sui rischi connessi alla cosiddetta rinascita nucleare.
Noi sottoscritti, imprenditori, manager e professionisti crediamo che anche per l’Italia questa scelta sia errata.
Il nostro Paese ha la possibilità  di giocare da protagonista di fronte ai cambiamenti epocali in atto nel mondo, dall’efficienza energetica alle energie rinnovabili e alle sfide per prodotti sostenibili in termini di qualità  ambientale, sociale e di rispetto delle regole: dobbiamo promuovere un’economia a basso impatto e di qualità , per rafforzare le imprese esistenti e crearne di nuove sul territorio, rispondendo alla necessità  di creare nuovi posti di lavoro, nuova energia imprenditoriale e una qualità  della vita che da sempre è un marchio italiano. Un’economia che ha bisogno di rilanciare tutta la propria creatività  facendo della spinta delle imprese italiane all’uso efficiente delle risorse la forza del proprio sviluppo. In Italia è già  in atto uno sforzo di rivitalizzazione e rinnovamento delle manifatture in questa chiave: occorrerebbe un incoraggiamento deciso ed urgente da parte del Governo e una sapiente regia da parte delle istituzioni. Il rafforzamento delle reti elettriche, l’incentivazione dei sistemi di stoccaggio dell’energia, l’efficiente uso delle energie rinnovabili, la minimizzazione, sempre e comunque, dell’uso energetico che tenga anche conto del patrimonio paesaggistico e culturale del nostro Paese, sono aspetti che riguardano una innovazione che sta già  impetuosamente sviluppandosi sul territorio e che va aiutata e sostenuta.
Lo scenario prospettato dal Governo, 25% di elettricità  atomica e 25% di rinnovabili al 2030, comporterebbe una enorme distrazione di risorse a discapito delle nuove energie (efficienza energetica e rinnovabili). La costruzione delle centrali interesserebbe, peraltro, una piccola minoranza di società  italiane, mentre larga parte degli investimenti finirebbe all’estero. Nella migliore delle ipotesi, quando fra 10-12 anni si iniziasse a generare elettricità  nucleare, se ne avvantaggerebbero pochi comparti industriali energivori e sarebbe lo Stato, attraverso la fiscalità  generale, o gli utenti attraverso l’aumento delle bollette, a cofinanziare il nucleare. Questo perché il costo delle nuove centrali è estremamente oneroso: oltre 5 miliardi di ‚¬ per una centrale, più di 40 miliardi per l’intero programma voluto dal Governo. Ma queste stime raddoppiano, e anche più, se si considerano i costi del futuro decommissioning, che qualcuno dovrà  pur pagare, e della gestione delle scorie: un Rapporto del 2009 del MIT, Massachusetts Institute of Technology, ha valutato il costo dell’elettricità  da nucleare in 8,4 c$/kWh, più del gas e del carbone. Ci sono poi i problemi di sicurezza, come ricorda una recente nota delle Agenzie per la sicurezza di Francia, Gran Bretagna e Finlandia, e di smaltimento definitivo delle scorie, lungamente ed altamente radioattive: non c’é, infatti, un solo sito sicuro e funzionante in tutto il mondo e gli USA hanno abbandonato, dopo anni di inutili esperimenti, costati oltre 8 miliardi di dollari, il deposito di Yucca Mountain in Nevada.
Mentre la rinascita del nucleare incontra non poche difficoltà , tutti gli indicatori testimoniano che è partita la corsa delle rinnovabili e dell’efficienza energetica in Europa, negli USA, in Cina. Nel modello Germania, nel critico 2009, il numero di addetti alle energie verdi è aumentato di 20.500 unità  raggiungendo quota 300.500 di personale diretto ed oltre 1 milione nell’indotto. Lo scorso anno il 61% e il 43% della nuova potenza elettrica installata, rispettivamente in Europa e negli USA, era rappresentata da impianti alimentati da fonti rinnovabili. Si tratta di comparti nei quali la piccola e media industria italiana potrà  giocare, insieme alla grande impresa, un ruolo importante, se si attiverà , come è successo in altri paesi, un gioco di squadra tra istituzioni ed imprese. La scelta nucleare, al contrario, determinerà , necessariamente, una sottrazione di intelligenze, di risorse economiche, per giunta durante la peggiore crisi degli ultimi due secoli, rispetto ai più promettenti settori dell’efficienza e delle rinnovabili che saprebbero attivare, come in parte stanno già  facendo, ricadute economiche ed occupazionali immediate. Considerato poi il limitato consenso nel Paese, pensiamo che il progetto nucleare si arenerà , ma avrà  fatto perdere all’Italia tempo e ricchezze.
Per questo chiediamo che il Governo riveda, anche alla luce dell’attuale crisi, la sua scelta e si impegni nel disegnare un nuovo quadro normativo che sostenga adeguatamente la green economy e le produzioni sostenibili che sono quelle che meglio possono farci competere nel mondo dell’economia globalizzata. La sfida energetica è una sfida industriale che richiede scelte strategiche intelligenti, coraggiose e mirate che sappiano creare ed attivare filiere industriali, in sinergia con i centri di ricerca, capaci di far crescere le piccole e medie imprese italiane, insieme ai grandi gruppi nazionali, per garantire occupazione, competitività  e sviluppo.
Pasquale Pistorio – Presidente onorario Kyoto Club
Catia Bastioli – CEO – Novamont S.p.A. – Presidente Kyoto Club
Gianluigi Angelantoni – Amministratore delegato – Angelantoni Industrie S.p.A. e Archimede Solar Energy – Vice-Presidente Kyoto Club,
oltre 200 tra imprenditori, manager, professionisti (le adesioni su www.kyotoclub.org)

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