Comunicati

Appunti da Doha (2)

Pubblicato su qualenergia.it

In una giornata in cui poco di concreto succede al Centro congressi e sono pochi o nulli i passi avanti nella trattativa, mentre la deadline di venerdì si avvicina pericolosamente, forse è più utile per i lettori di questi miei appunti quatarini che io racconti l’incontro avuto con i ricercatori del Centro Studi di Al Jazeera, probabilmente il più autorevole think tank del mondo arabo e con il loro Direttore Sahel Eddin Elzein. Nella discussione che inevitabilmente verteva su “primavera araba”, Siria, Israele e la Palestina, il futuro dell’Iran abbiamo affrontato il tema del nesso fra cambiamento climatico e assetto politico. Ho trovato interlocutori assai attenti alla questione per cui le trattative internazionali sul climate change si trascinano inevitabilmente anche quella di riduzione della richiesta delle fonti fossili. Fossili che sono quelli su cui si basa la ricchezza dei paesi di questa regione. E in particolare del Qatar che diventa sempre più pivot dell’intera regione e che anzi sempre di più viene a prendersi gioielli (dal calcio, alla moda, alla finanza) europei . I ricercatori di Al Jazeera sono assai consapevoli del problema (per loro e opportunità  da perseguire per noi) e della vera e propria rivoluzione che sta consentendo l’innovazione tecnologica e che si sta dimostrando in maniera eclatante dalla ormai quasi raggiunta indipendenza energetica degli Stati Uniti. Pensano anche da queste parti che grazie ai paesi emergenti e in particolare alla Cina e all’India, i paesi produttori di petrolio hanno ancora parecchio tempo davanti a loro. E vogliono sfruttarlo per diversificare. Sembra allora evidente, per converso, che a noi – fin adesso importatori – conviene invece accelerare, sostenerla quella innovazione e fare di tutto per marciare verso una società  fossil free. àˆ questa la competizione virtuosa che ci aspetta e forse questo aiuta a spiegare perché una conferenza sui cambiamenti climatici organizzata a Doha presieduta dall’emiro del Quatar ha possibilità  ancora più ridotte di riuscita. Oggi d’altronde era davvero irritante misurare la distanza fra il video mostrato alla cerimonia di apertura, che sarebbe stato ottimo se prodotto da Wwf a fini educativi, e la distanza da risultati concreti sul piano della trattativa.

A Doha incontro con il Centro Studi di Al Jazeera

Pubblicato su formiche.net

A Doha in occasione della Conferenza Onu su Cambiamenti Climatici – COP18 – in corso di svolgimento in questi giorni, ho avuto occasione di incontrare, il Direttore del Centro Studi di Al Jazeera Salah Eddin Elzein, accompagnato da alcuni dei suoi ricercatori. Intanto una conferma evidente della “politicità ” dell’operazione Al Jazeera : molto più di una televisione ovviamente. Il suo centro studi è uno dei più autorevoli think tank della regione e d’altronde è il Qatar che si sta facendo sempre più centrale, grazie anche alla sua straordinaria forza economica (100mila dollari il reddito medio del quatarino) e rappresenta se stesso sempre di più come pivot dell’intero mondo arabo . Ciò che ho ricavato dalla nostra conversazione sono alcuni punti fermi, il primo dei quali è senz’altro che la rivendicazione orgogliosa del ruolo dei media (leggi la sua Al Jazeera) come “levatrice” delle rivolte della primavera araba, ” Non negli ultimi due anni, ma da tempo diamo voce alle opposizioni, alle denunce della corruzione, alla lotta dei popoli contro le umiliazioni in cui vivono da oltre un secolo a causa prima delle colonizzazioni , poi delle dittature”, non sembra al mio interlocutore in contraddizione con lo stato della democrazia in Quatar. Stato proprietario del network televisivo, nel quale solo pochi giorni fa si è tenuta la prima manifestazione pubblica, iper controllata peraltro, inscenata da un gruppo di ambientalisti che hanno avuto il merito di richiamare anche il tema dei diritti dei lavoratori (qui il 94% della forza lavoro è costituito da immigrati). àˆ il concetto stesso di democrazia che costituisce una diversità  difficilmente colmabile tra noi , ma ciò non toglie che anche dalla sede di Al Jazeera si guardi con una certa preoccupazione al destino della “primavera”. Salah ritiene che indietro non si torna, ma ammette che tutto si gioca in Egitto e che se lì si riesce a trovare una strada, che può diventare modello per gli altri paesi, la rivoluzione in atto si completerebbe, altrimenti resta monca. Scontate sia la soddisfazione per il recente successo della Palestina all’Onu sia la lettura dell’attacco di Israele a Gaza, che qui si pensa dettato dalle elezioni imminenti a Tel Aviv e dalla voglia degli israeliani di testare la reazione di Morsi. Meno aspettato per me il giudizio liquidatorio e un po’ sprezzante espresso su Ahmadinejad e la certezza che, anche se prevedono una conferma alle prossime elezioni iraniane del successo dell’ala più conservatrice, quella legata alla guida spirituale, mai più si avrà  al potere un personaggio come quello che anche gli stessi leader iraniani avrebbero capito essere causa più di danni che altro. Infine, ovviamente, ci siamo soffermati sul tema al centro delle trattative ONU e come può incidere la questione cambiamenti climatici nello scacchiere geopolitico internazionale. E i ricercatori arabi si sono mostrati consapevoli che la discussione sul climate change si trascina anche quella sulla riduzione delle fonti fossili e sono coscienti che devono diversificare gli investimenti. Il campanello d’allarme degli Usa ormai quasi indipendenti sul fronte energetico (grazie soprattutto al gas da fracking), è suonato forte anche qui. Non a caso proprio il Quatar è venuto a prendersi qualche gioiello europeo, dal calcio alla moda, alla finanza. Ma contano sul fatto che la richiesta di petrolio continuerà  ad essere forte soprattutto dall’est dicono loro (Cina e India) e ancora per una quantità  di tempo sufficiente affinché loro si possano attrezzare al cambiamento. Forse un motivo in più per noi – nella inevitabile competizione globale – per accelerare invece nella direzione di una società  low carbon spingendo su innovazione tecnologica di processo e prodotto. Unica strada di salvezza per la vecchia Europa

A Doha rischio fallimento senza la firma di Kyoto 2

“Speriamo che si arrivi ad un risultato pieno e soddisfacente, sono rimasti 3 giorni”.

“Il rischio che anche la conferenza di Doha segni un passo falso per la diplomazia internazionale proprio nel momento in cui, al contrario, nel mondo crescono le iniziative positive sulla green economy, è sempre più alto. Nei prossimi tre giorni si cercherà  di scongiurare questo gravissimo rischio, a condizione che almeno si arrivi alla firma del cosiddetto trattato Kyoto 2, e che questo preveda impegni concreti sino al 2020 almeno per l’Europa e per un piccolo gruppo di volenterosi”. Lo dice il senatore Francesco Ferrante, responsabile energia e politiche relative ai cambiamenti climatici per il Pd, che in questi giorni è a Doha per la Conferenza Onu sul clima.
 “L’augurio e la speranza – prosegue Francesco Ferrante – non possono che andare nella direzione di un risultato pieno e soddisfacente, ma non si può non sottolineare quanto sia  netto lo scarto tra i roboanti discorsi e la realtà . Il video di apertura della conferenza sarebbe stato apprezzabile se prodotto da una qualsiasi associazione ambientalista a fini educativi, ma diventa urticante se si pensa che chi lo produce è quella stessa Organizzazione delle Nazioni Unite che non riesce a trovare quell’accordo che la scienza ritiene invece sempre più urgente”.

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