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Energia: auguri a Enel, ma stop a centrali a carbone

 “Auguri all’Enel per i suoi primi 50 anni, che hanno coinciso con un pezzo di storia energetica, economica e sociale, del Paese. Siamo certi che l’azienda continuerà  ad essere una parte fondamentale del sistema produttivo del Paese, magari con quella saggezza in più dettata dall’età  e dall’esperienza degli errori commessi, a partire dai propositi nuclearisti, fortunatamente evitati”. Lo dicono i senatori Francesco Ferrante, responsabile energia e politiche relative ai cambiamenti climatici del Pd, e Roberto Della Seta,capogruppo Pd in Commissione Ambiente.
 “Con il paventato ritorno all’energia nucleare – continuano i parlamentari –  l’Italia ha veramente rischiato molto, dal punto di vista economico e della sicurezza, e per fortuna, anche se un po’ tardivamente, Enel ha recuperato quanto investito con la collaborazione al progetto Epr in Francia. Per questo dovrebbe ringraziare i cittadini italiani, che con il referendum hanno spazzato via quell’opzione. Auguriamoci che questa decisione possa essere di buon auspicio per un cambio di rotta radicale di strategia industriale, nella consapevolezza che scelte buone 10 o 15 anni fa ora sono fuori tempo.
Insistere con le centrali a carbone, il fossile più inquinante che ci sia, e non puntare in modo convinto sulle energie rinnovabili, come fanno le compagnie energetiche in Germania, rischia – concludono i due senatori del Pd – di far perdere terreno ad un’azienda che è un grande patrimonio italiano.”

Appunti da Doha (3)

Eppur si muove. Sotto l’apparente superficie di una trattativa che sembra in stallo, forse si apre uno spiraglio per due proposte convergenti che vengono dal Brasile (quindi da uno dei leader degli emergenti) e da Aosis (il gruppo delle piccole isole, i più a rischio). Due, come è noto, sono le trattative parallele ed entrambe a rischio. Una su Kyoto 2 che dovrebbe entrare in vigore tra meno di un mese e l’altra sull’accordo che entro il 2015 dovrebbe estendersi a tutto il mondo per entrare in vigore nel 2020. Ma su tutto incombe i gap drammatico tra allarme degli scienziati e politiche concrete. I primi ci dicono che se vogliamo tenere l’aumento di temperatura entro limiti sostenibili non dobbiamo superate le 44 Gton (milioni di tonnellate) di emissioni di gas di serra nel 2020, ma gli impegni finora presi dai vari paesi portano a una previsione di emissioni che si aggira tra 52 e 57 Gton: ecco i gap di 8-13 tonnellate che va assolutamente ridotto se vogliamo evitare la catastrofe dice IPCC. E qui arrivano le proposte di Brasile e Aosis: in due anni di tempo (cioè ancora prima del 2015) individuiamo gli strumenti per colmare quel gap, Ban Ki Moon sembra prenderli sul serio quando inizia a parlare di un grande vertice di Capi di Stato e di Governo da tenersi nel 2014. Come si vede nulla di rivoluzionario, ma qualcosa più della morta gora in cui sembrava arenato il negoziato. Vedremo nelle prossime ore come finisce. E in questo quadro ci sono due buone notizie “italiane”. La prima è che il nostro Governo stavolta è dalla parte giusta, quell’Europa più avanzata che si sarebbe volentieri presentata qui con il 30% di riduzioni delle emissioni sul piatto della trattativa se solo la Polonia non avesse messo il veto, e che adesso spinge per una più rapida individuazione di strumenti globali per colmare il gap, oltre ad essere impegnata per la firma del Kyoto 2. La seconda – ma su questo i media italiani hanno ampi resoconti – Ä— che sull’adattamento si è passati finalmente dalla fase dei pur ottimi e interessanti convegni scientifici alla concretezza di una delibera CIPE sul dissesto idrogeologico.
P. S. Incontro con la delegazione parlamentare tedesca: una della sinistra del Link (presidente della commissione ambiente del Bundestag), un socialdemocratico, un liberale, un cristiano democratico . Che invidia! Nelle differenze politiche che non nascondevano, parlavano con una voce comune su rinnovabili, efficienza, no al nucleare definitivo, ruolo dell’Europa e lotta ai cambiamenti climatici. Si vedeva che rappresentavano un “sistema”. E il cristiano democratico ci ha tenuto a sottolineare che loro spendono 20 (miliardi) di euro in incentivi alle rinnovabili e non se ne lamentano. Venti è più del doppio di quanto spendiamo noi e, considerando che il mercato elettrico tedesco è due volte nostro, gli impegni si possono considerare equivalenti. Quante sciocchezze sui nostri media! E quante scempiaggini dal ministro Passera sull’argomento!

A Doha l’Italia con l’Europa più avanzata

Dichiarazione di Stella Bianchi, responsabile ambiente Pd, e del Sen. Francesco Ferrante, responsabile politiche cambiamenti climatici Pd.

In questi giorni in cui la trattativa, come previsto, procede attraverso molte difficoltà  e difficilmente si può essere ottimisti sul risultato complessivo finale, la novità  è che l’Italia mette il suo peso insieme alla parte più avanzata d’Europa nella ricerca per raggiungere in extremis un risultato importante per colmare il gap troppo grande tra gli impegni presi sino adesso e ciò che sarebbe necessario per la salvezza del pianeta.

Come è noto gli accordi di Durban prevedono che entro il 2015 si raggiunga un accordo che entri poi in vigore nel 2020 per coinvolgere tutti i paesi, non solo i firmatari di Kyoto, ma anche Usa, le nuove potenze (Brasile, Cina, India).
Qui intanto è indispensabile che si raggiunga l’accordo per il Kyoto 2 almeno per la coalizione dei volenterosi che rappresenta il 15% delle emissioni totali, ma è sempre stata un traino positivo.
Ma pur raggiungendo l’accordo su Kyoto 2, resterebbe la distanza tra la previsione delle emissioni di gas serra al 2020 (57-52 Gton) e il tetto che gli scienziati ci dicono non si debba superare (44 Gton).

L’Italia, in controtendenza evidente con gli anni del Governo Berlusconi, non solo si sta adoperando per arrivare all’indispensabile firma di Kyoto 2, ma in queste ultime ore prova – insieme ai Paesi europei più avanzati – a far accogliere la proposta di mediazione brasiliana che chiede di trovare entro i prossimi due anni, quindi prima ancora del 2015, l’intesa per individuare le azioni che colmino quel gap.

Come Partito democratico sosteniamo questa importante novità , e che l’Europa, vincendo alcune sue resistenze interne, si impegni per la riduzione delle emissioni del 30%, e ci auguriamo che almeno questo seppur parziale accordo, in un quadro che resterà  in ogni caso preoccupante, sia raggiunto

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