Comunicati

Ancora il condono! Irresponsabile tentativo in extremis di Giovanardi

“Presentare un emendamento al Dl stabilità  in questo contesto politico ed economico per  riaprire i termini per la presentazione delle domande di sanatoria degli abusi edilizi, con l’estensione della possibilita’ di condono anche alle violazioni dei beni ambientali e paesaggistici, è una mossa di rara irresponsabilità .

Ne è autore il senatore Carlo Giovanardi, che evidentemente vorrebbe concludere la legislatura sotto il segno dell’ennesimo sfregio al territorio e alla legalità , degna conclusione di un ventennio berlusconiano.”

Lo dichiarano i senatori del Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante.

 

“L’emendamento in questione è sostanzialmente identico a quello presentato più volte dai senatori del Pdl, e coincidente con il ddl presentato dall’ex ministro della Giustizia Nitto Palma.

Solo poche settimane fa era stato sventato il blitz per imporne la discussione in Aula, grazie al Pd e alla netta contrarietà  del Governo, ed ora il Pdl tenta l’ennesimo assalto alla diligenza.

Durante questa legislatura ci siamo battuti per non far passare mai una legge che premiasse furbi e disonesti, e il prossimo Governo che uscirà  dalle urne dovrà  impegnarsi per riqualificare il territorio italiano piuttosto che  cementificarlo.”

The Doha Climate Gateway assai deludente, unico risultato la sottoscrizione di Kyoto 2

Pubblicato su www.qualenergia.it

Un risultato largamente sotto ciò che sarebbe necessario. Ma almeno le trattative sul clima sono ancora vive e la speranza non è stata cancellata, nonostante resistenze, veti incrociati, miopia politica diffusa: si conclude così la Conferenza di Doha. E visto da dove eravamo partiti – la vaghezza più spinta – e forse anche la location – il Paese con le più alte emissioni pro capite al mondo – forse ci tocca anche far buon viso a cattiva sorte. Certo la distanza tra ciò che sarebbe necessario e le scelte concrete resta enorme e anzi il continuo rinvio allarga ancora di più la forbice, ma la sottoscrizione di Kyoto 2 ci dice che ancora possibile invertire rotta. Una piccola cosa che riguarda solo Unione Europea, Australia, Svizzera e Norvegia (il 15 per cento delle emissioni mondiali), che ha perso qualche pezzo dal primo Kyoto (Russia, Giappone e Canada) e che continua a non coinvolgere i due giganti : Cina, che contribuisce per il 29% alle emissioni totali e che ormai ha raggiunto l’Europa in termini di pro capite – oltre 7 tonnellate quando erano poco più di 20º appena 10 anni fa – e Stati Uniti che da soli pesano per il 16% e vantano il record di 17 tonnellate pro capite! Ma persino riuscire a sottoscrivere questa piccola cosa non è stato facile perché si è dovuto evitare il tentativo della Russia che volendo commercializzare i propri crediti di carbonio (oltre 5 miliardi di tonnellate) minacciava di rendere del tutto inutile Kyoto 2. Il compromesso per cui solo il 2,5% di questi crediti potranno essere commercializzati appare accettabile e quella sorta di tobin tax del 2% inserita in extremis su queste transazioni un fatto positivo. Ma, se resta confermato l’appuntamento al 2015, come stabilito a Durban, per raggiungere l’accordo globale che dovrà  entrare in vigore al 2020 (e non poteva essere altrimenti) ciò che risulta davvero insopportabile è l’ennesimo rinvio da parte dei paesi ricchi di decisioni concrete su quei 100 miliardi di dollari all’anno di aiuti a quelli più poveri promessi a Copenaghen e che non sono mai diventati realtà . Infine forse un passo avanti è l’impegno a stabilire prima del 2015 modalità  e strumenti per colmare il gap tra emissioni attese (58 Gton), quelle raggiungibili con gli attuali impegni (52-57 Gton) e il limite che gli scienziati considerano invalicabile (44 Gton): una montagna che oscilla tra gli 8 e i 13 miliardi di tonnellate di CO2eq che mette davvero paura. Fin qui la sintesi degli accordi, la valutazione politica non può che essere assai severa. Confermata la soddisfazione per il posizionamento del nostro Paese tra quelli più avanzati (con inversione di 180 gradi rispetto all’era Berlusconi), non si può tacere l’ennesima delusione per l’incapacità  dell’Europa di esercitare in leadership politica e per la posizione degli Usa del tutto latitanti e addirittura fuggitivi sul tema risorse. Fin quando noi, il cosiddetto occidente, non cambiamo complessivamente approccio è difficile poi lamentarsi dell’atteggiamento ostruzionistico della Cina, che al suo interno investe ormai moltissimo sulla green economy, ma continua ad essere riluttante (eufemismo) a qualsiasi impegno vincolante a livello internazionale. Peraltro nello scacchiere delle alleanze internazionali qui a Doha si è definitivamente affermato lo “sganciamento” dei paesi poveri da quelli emergenti (Brasile, India, Cina) visto che i primi hanno compreso che i loro interessi non potevano essere difesi da chi ormai è tra i più grandi emittitori e che anzi il rischio che venissero strumentalizzati era sempre molto alto. Che fare adesso? Nelle politiche interne scegliere la green economy senza più titubanze, questo il compito che attende il prossimo governo – scelta che peraltro ci permetterebbe di esercitare anche un ruolo più forte in Europa; in politica estera auspicare che il presidente Obama abbia la forza e la volontà  per cambiare le scelte del suo Paese e intensificare ogni forma di collaborazione con i paesi emergenti(anche per convenienza) e con quelli più poveri (per elementare dovere di solidarietà ). Ma il punto essenziale è il primo, senza il quale non saremmo credibili per il resto: rinnovabili (basta con stupide polemiche su incentivi e accompagnamole le verso la grid parity), efficienza (ma sul serio, non con insopportabili balletti su stabilizzazione del 55% ad esempio), modifica della Strategia Energetica Nazionale (su trivellazioni innanzitutto), sostegno a innovazione e alle modifiche dei processi industriali e dei prodotti. Questi gli assi principali su cui impostare la politica industriale prossima ventura. Fa bene a noi e farebbe bene anche alla COP 19 che si terra a Varsavia tra una anno

Appunti da Doha (4)

Come quasi sempre in questi vertici, di cui questo sembra ahimè il più stanco e depresso, il giorno prima di quello conclusivo sembra tutto sia fermo. Come in attesa del rush finale che porti a un qualche accordo seppur minimo. Le proposte sul tavolo restano quelle di ieri. E di solito è la presidenza del paese ospitante che si adopera per evitare il fallimento totale. In questo caso il Quatar ha dalla sua anche la potenza dei petrodollari (che paradosso utilizzarla in una trattativa sui cambiamento climatici!) che gli permettono di esercitare pressione su Paesi anche insospettabili. Sarà  senz’altro un caso, ma proprio ieri la Quatar Airlines (uno degli “agenti” del soft power espansivo di questo Paese), ha aperto una nuova tratta Doha – Varsavia. E la Polonia, è noto, è l’ostacolo più forte nella ricerca di un accordo su Kyoto 2. Staremo a vedere come finisce nelle prossime ore. Intanto sfruttiamo quest’occasione per parlare di gas dal Paese che ne esporta di più al mondo nella sua forma liquefatta. Ovviamente al centro dell’attenzione è la rivoluzione causata dagli Usa e dal gas fracking. L’autosufficienza nel gas degli Usa Ä— ormai un fatto e persino la loro completa autosufficienza energetica non è più lontanissima. Comprensibile quindi che il Quatar guardi con la preoccupazione de concorrente al dibattito in corso negli Usa tra chi, l’industria manifatturiera, vorrebbe usare tutto il proprio gas per abbattere i costi interni e chi, l’industria estrattiva soprattuto, ma sembra ora che questa possa essere la scelta di Obama, di puntare sull’export e migliorare bilancia pagamenti. Certo è che la questione ha già  rivoluzionato il prezzo del gas nel mondo e che finalmente i suoi effetti benefici arrivano anche in Italia. Attenti a queste cifre: nell’anno termico 1/10/2011-30/9/2012 il prezzo medio dell’elettricità  in borsa (il PUN) è stato 79‚¬/MWh. Negli ottimi due mesi invece solo grazie al fatto che il prezzo del gas è calato di 7 cent, il prezzo medio è calato a 65‚¬/MWh . Un risparmio su base annua di oltre 4 miliardi di euro per le nostre bollette. Così, senza far niente, solo liberando il mercato da anacronistici monopoli abbiamo recuperato la metà  delle risorse impiegate sui tanto vituperati (e invece utilissimi) incentivi per le rinnovabili. Meditate, meditate gente.

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