Comunicati

Governo: cancellare il ministero dell’ambiente sarebbe una pessima notizia

“L’idea preannunciata da Pierluigi Bersani di cancellare nel prossimo Governo il Ministero dell’ambiente, assorbendone le competenze in un fantomatico Ministero dello sviluppo sostenibile, se realizzata ci allontanerebbe ancora di più dall’Europa e dal futuro. L’ambiente, certo, è utilissimo all’economia e indispensabile per un’efficace strategia contro la crisi e per il lavoro, ma ridurlo a questo significa ignorare che per una quantità  crescente di cittadini l’ambiente è prima di tutto qualità  della vita, lotta all’inquinamento e ai cambiamenti climatici, tutela del paesaggio, difesa dei beni comuni. Per questo in tutti i Paesi europei c’è un Ministero dell’ambiente autonomo ed autorevole”.

E’ quanto dichiarano i parlamentari uscenti del Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante , per i quali “la proposta del segretario del Pd dimostra una preoccupante incapacità  di vedere che la cultura ecologica ha modificato in profondità  il modo delle persone di intendere il progresso, il benessere, la stessa prosperità  economica. Peraltro, vista l’arretratezza culturale e programmatica di buona parte della classe politica italiana, affidato alle cure di un superministro dello sviluppo, sia pure sostenibile, l’ambiente diventerebbe la foglia di fico per coprire e giustificare politiche vecchie e antiecologiche. Piuttosto, c’è da sperare che il futuro governo cambi radicalmente l’orientamento delle politiche energetiche, industriali, delle scelte in materia di infrastrutture. Due esempi per tutti: si rinunci all’inutile Tav Torino-Lione e si investano quei soldi per dare alle nostre città  sistemi di trasporto pubblico di standard europeo, e poi si metta la parola fine ai programmi di trivellazioni petrolifere e invece si punti su efficienza energetica e fonti pulite. Queste sì sarebbero decisioni coraggiose e di vera svolta, che oltre a migliorare la qualità  dell’ambiente porterebbero anche molto più lavoro”.

La risposta al decalogo di Greenreport

Pubblicato su greenreport.it

I 10 punti sulla sostenibilità  ambientale e sociale proposti da Greenreport sono più che condivisibili: ottimi! Ma non per un “compromesso storico” tra Pd e M5S , che aldilà  dell’infausto nome che avete scelto (#sischerza) non ha possibilità  alcuna di realizzarsi. Innanzitutto perché a me pare evidente, e tutta la sua storia lo conferma, che  Grillo non abbia alcuna intenzione di firmare alcun tipo di “compromesso” di qualsiasi genere con chicchessia ma anche perché nel Pd non sembra affatto prevalere l’idea che questi siano i temi essenziali su cui fondare una nuova politica che dia le risposte concrete alla crisi in atto. Bersani ha detto che “la crisi ha sopravvanzato le nostre risposte”: giusta analisi che andrebbe completata dal riconoscimento che le risposte offerte dal Pd erano appunto incomplete. E lo erano soprattutto proprio sul fronte della sostenibilità  e dei costi della politica su cui si incentrano i 10 punti. Niente da fare quindi? Assolutamente no, credo esattamente il contrario: la politica, tutti gli uomini e le donne di “buona volontà ” dovrebbero mettersi a lavoro proprio su quei 10 punti che io personalmente condivido sino in fondo con i seguenti appunti:

1.      Al punto 2:  grazie per la citazione del disegno di legge che avevo presentato nella scorsa legislatura sugli incentivi per il recupero di materia, ma davvero quello deve diventare centrale in una nuova politica industriale italiana. Greeneconomy è questo: innovazione nei processi industriali, nuovi prodotti, energia rinnovabile e distribuita, valorizzazione del made in Italy.

2.      Al punto 3: sulla strategia energetica, oltre allo stop alle trivelle e al fracking (che in Italia non è però dirimente non essendo nemmeno un’opzione concreta) bisogna approfondire di più l’accompagnamento delle tecnologie rinnovabili alla grid parity e studiare bene la transizione che oggi vede il paradosso per cui tra le termoelettriche lavorano (quindi inquinano di più) le centrali a carbone e molto meno i moderni cicli combinati a gas

3.      Al punto 5: ci deve essere un collegamento più stretto possibile tra rappresentati ed eletti quindi i collegi (io ritengo sempre il sistema uninominale a doppio turno – come in Francia – il migliore) non devono essere troppo grandi, come il semplice dimezzamento indurrebbe a fare. Risparmi più importanti, efficacia migliore e tutela della democrazia rappresentativa si otterrebbero invece dal superamento del bicameralismo

4.      Al punto 6: condivido e rafforzerei l’opposizione a ogni ipotesi di uscita dall’Euro e dall’Europa, che deve invece restare il nostro orizzonte e la nostra sfida

5.      Infine a mio avviso è necessario aggiungere un undicesimo punto sulla mobilità  sostenibile. Nelle nostre città  non ci si muove più e si muore di inquinamento. E’ un punto ineludibile e peraltro c’è un movimento forte nella società , tra “salvaiciclisti”, comitati di pendolari, associazioni che lavora su una mobilità  nuova che è fertile e interessante

 

 

Quelle risposte riformiste che il Pd non ha dato

Dal  2008 a oggi è successo questo: il Pd è passato da 12 milioni di voti (33,17%, dato Camera) a poco più di 8 milioni e mezzo (25,41%). 

Quanto alla “sinistra-sinistra”, la somma di Sel (1.090.000, 3,2%) e Rivoluzione Civile (765.000, 2,24%) fa circa 1.850.000 voti, contro i 2.700.000 voti raccolti nel 2008 da Idv (1.590.000, 4,37%) e Sinistra arcobaleno (1.120.000, 3,08%). 

La débacle elettorale delle forze cosiddette progressiste è racchiusa in questi dati, che a loro volta ne fotografano un altro non numerico ma ancora più eloquente: nel mezzo di una crisi economica drammatica che colpisce larghe fette del corpo sociale, compresa buona parte dei ceti medi, la sinistra che da sempre e dappertutto ambisce a rappresentare le persone e i gruppi sociali in difficoltà , arretra. Arretra vistosamente, al punto da oscurare la frana indiscutibile dello schieramento di centrodestra precipitato in cinque anni da 17 milioni di voti a meno di 10 milioni. Arretra cedendo praterie elettorali a un fenomeno inedito e politicamente inafferrabile come sono i “cinquestelle”. Detto con parole semplici: la destra ha quasi dimezzato i suoi consensi, malgrado questo il Pd non ha vinto certificando il suo, temiamo definitivo, fallimento. 

Da qui, noi crediamo, si deve partire per capire il terremoto di queste elezioni. Per capire, innanzitutto, che il centrosinistra ha perso perché incapace, per il profilo anagrafico ma soprattutto culturale della sua classe dirigente, di vedere che la crisi sociale di questi anni si presenta in forme del tutto nuove, forme incomprensibili se l’analisi resta ferma al “gramelot” laburista dei “giovani turchi” o di Susanna Camusso. Oggi nella miscela esplosiva di sofferenza, preoccupazione e protesta che agita l’Italia si trovano impastati – nelle stesse persone, negli stessi ragionamenti – bisogni e richieste tra loro assai diversi: certo il disagio per il lavoro che si perde o per il lavoro che non c’è e l’insofferenza per una pressione fiscale esorbitante, ma insieme un disgusto radicale (spesso più che giustificato) verso chi fa il mestiere della politica e poi domande persino sorprendenti. Come quelle che hanno portato un anno e mezzo fa, a crisi già  conclamata, 30 milioni di italiani a votare nei referendum su nucleare e acqua pubblica mostrando di assegnare grandissima importanza a temi – l’ambiente, i beni comuni – che per lo stato maggiore del Pd sono astrusi e/o irrilevanti. 

Il Partito democratico non sembra in grado di leggere queste novità , tanto meno di nutrirne linguaggi e proposte. Non ha saputo mettere al centro del suo discorso pubblico quelle grandi questioni – l’ecologia, l’educazione, l’innovazione, lo stesso tema fiscale – che sole possono dare prospettiva e attrattiva a un programma riformista, e così ha finito per ridurre la sua promessa di cambiamento a due messaggi non proprio entusiasmanti: una stanca, verbosa perorazione sul lavoro e l’appello all’austerità  (dei conti, dei comportamenti, magari anche delle speranze…). 

Nemmeno ha saputo, il Pd, offrire risposte convincenti alla domanda ormai endemica di “ecologia della politica” e sciogliere davvero i nodi della sua questione morale: che non si esaurisce in qualche impresentabile tardivamente escluso dalle liste ma è fatta di un rapporto troppo spesso opaco con gli interessi economici. 

Ancora, la sconfitta del Pd ha un’altra radice profondissima: è l’ossessione identitaria comune in particolare a tutti gli ex-comunisti, l’idea cioè di una sinistra cui si appartiene per una scelta di vita, quasi antropologica. Idea che riguarda una minoranza sempre più ristretta di italiani, quelli che ad ogni elezione non si chiedono per chi votare dato che lo sanno già , per principio. 

E idea ormai del tutto priva di senso politico: perché il contenuto di questa identità  di cui ci si sente depositari non è più in una certa visione del mondo, in una “ideologia”, morte e sepolte; no, è in un’appartenenza apodittica, nella presunzione di essere diversi e migliori rispetto a tutti gli altri italiani. 

Su tutti e tre questi terreni – contenuti della proposta di cambiamento, ecologia della politica, rifiuto del vincolo identitario – i “cinquestelle” si sono mostrati, paradossalmente e almeno nel linguaggio e nella comunicazione, più riformisti del Pd: declinando con parole contemporanee – l’ambiente, l’agenda digitale – i temi delle risposte alla crisi, dando assoluta centralità  alla riforma della politica, rifiutando ogni steccato identitario fino ad ignorare la stessa divisione destra/sinistra. Il movimento di Grillo sarà  pure populista e rozzo, ma certamente è apparso meglio attrezzato per offrire risposte chiare, decise, concrete alla crisi italiana. 

Questo nostro – anticipiamo prevedibili obiezioni – non è “senno di poi”. Cose analoghe le ripetono in molti da molti mesi e cose analoghe le abbiamo scritte anche noi, più volte, su questo giornale. Per esempio scrivemmo dopo le elezioni regionali siciliane che l’onda a cinque stelle stava diventando uno tsunami, e che per arginarla bisognava che il Pd prendesse con forza in mano temi squisitamente “grillini”, e temi sacrosanti, come l’ambiente e l’ecologia della politica. Sappiamo che non si è voluto fare, questi sono i risultati. 

Roberto Della Seta

Francesco Ferrante

1 77 78 79 80 81 605  Scroll to top