Comunicati

4 maggio, l’Italia cambia strada. Da Milano

Scaldiamo i muscoli, il 4 maggio a Milano si cammina, o si pedala, ma lo si fa in tanti. E non sarà  una passeggiata, ma una vera transizione, dobbiamo accendere il cambiamento. E’ la mobilità  nuova che si avvicina, a passi per ora felpati, ma con la chiara intenzione di diventare massa, la massa dei ciclisti urbani, dei pendolari, di quelli che hanno scoperto che si può vivere liberi dall’auto, di quelli che non ne possono più di vedere soldi pubblici trasformati in asfalto e stipendi trasformati in lamiere e benzina. La manifestazione per la Mobilità  Nuova è l’occasione tanto attesa per iniziare un cambiamento ormai non più rinviabile, è protesta contro tutto il male che ci ha fatto la monocultura dell’auto, ma è anche il coraggio di vedere che la mobilità  può essere una cosa diversa, più evoluta di un’automobile che sposta una persona con un’efficienza energetica inferiore al 2%, costringendola a pagare anche l’altro 98%.
E’ una grande sfida che non possiamo ‘scegliere’ di cogliere, ma che ‘dovremo’ intraprendere, e prima lo faremo più avremo da guadagnarci: passare dalla costosa, inquinante, ingombrante e inefficiente mobilità  proprietaria, alla mobilità  open source, accessibile a tutti, economica, efficace, evoluta ed evolutiva. Non potrà  non accadere, perchè sarà  la rivoluzione del XXI secolo, ma dobbiamo aiutare la mobilità  nuova a rimuovere gli ostacoli – politici e lobbistici – che ne ostacolano l’affermazione. Per questo serve anche esserci, con le proprie gambe
 

Sel (e Pd?) socialisti tardivi

Oggi ha senso per il centrosinistra, e in particolare per il Pd, immaginare per sé un futuro socialdemocratico?

Cinquantanni fa, quando la sinistra europea era quasi tutta socialista, solo in Italia mancava un forte, grande partito socialista. Oggi che la sinistra in Europa e nel mondo è molto di più e molto daltro, la sinistra italiana smania per entrare nel club dei socialisti europei. Vendola ha appena formalizzato la richiesta di Sel di aderire al Pse, mentre il Pd già  fa parte del gruppo socialista al Parlamento europeo (per entrare, ha chiesto e ottenuto che il Gruppo cambiasse nome in Socialisti e democratici). E ora questa stessa prospettiva, dare vita in Italia a un grande partito dichiaratamente socialista, anima lidea di accogliere Vendola e il suo partito dentro il Pd.
Questa asincronia nel rapporto tra la sinistra italiana e il campo socialista dice parecchio sulle ragioni per le quali in Italia i progressisti non sono mai stata maggioranza. Non lo sono stati durante la prima Repubblica, quando la possibilità  di unalternanza tra Democrazia cristiana e partiti di sinistra alla guida del Paese venne sempre impedita dal fatto che da noi la sinistra, caso pressoché unico in Occidente, vedeva la presenza maggioritaria di un Partito comunista: quello che Alberto Ronchey battezzò il fattore k. Non lo sono stati nemmeno negli ultimi ventanni, quando per governare hanno avuto bisogno o che il centrodestra fosse diviso, come nel 1996, oppure di allestire coalizioni passepartout destinate a vita scomoda e breve, come lUnione del 2006 da Bertinotti a Mastella.
Oggi ha senso per il centrosinistra, e in particolare per il Pd, immaginare per sé un futuro socialdemocratico? Noi crediamo che ne abbia molto meno di ieri. Ha meno senso per due buone ragioni. La prima è nella genetica del Partito democratico, nato dallUlivo e dallintuizione prodiana di collegare in ununica, grande forza le due principali famiglie del progressismo italiano: i post-comunisti, che socialisti sono diventati solo tardivamente, e i cattolici eredi della sinistra democristiana, che socialisti non sono mai stati né, immaginiamo, intendano diventarlo adesso. A ciò si aggiunga che il Pd, quando nacque, dichiarò lambizione di guardare oltre le sue tradizioni fondative, insufficienti davanti alle sfide del nuovo millennio. La seconda ragione non riguarda solo lItalia: è nel carattere sempre più plurale della sinistra in Europa e nel mondo. Una sinistra che si presenta con volti diversi: il volto, certo, dei partiti socialdemocratici, ma poi il volto liberal di Obama e dei democratici americani, il volto ecologista dei Grà¼nen tedeschi che nei sondaggi ormai tallonano la Spd. Insomma, lalfabeto socialista non basta più per rappresentare adeguatamente i valori, i bisogni, gli interessi di chi si considera di sinistra. Per esempio, è del tutto insufficiente e qualche volta è di ostacolo – per dare risposte convincenti a quei settori sempre più larghi dellopinione pubblica, della società , della stessa economia europee per i quali lecologia e la green economy, e ancora prima una riconversione radicale dei nostri stili di vita e dei nostri modelli di produzione e di consumo verso la sostenibilità , sono la via maestra non solo per fronteggiare grandi problemi come i cambiamenti climatici o linquinamento, ma per ridare allEuropa speranza nel futuro, condurla fuori dal tunnel della crisi, conservarle un ruolo da protagonista nelleconomia globalizzata.
Allora, mentre è naturale e va benissimo che i partiti socialisti di antica storia si tengano stretta la loro identità  e provino semmai ad aggiornarla alla luce dei nuovi problemi e delle nuove domande del presente, è invece assai discutibile questa corsa italiana a salire sul treno socialista da parte di chi socialista non è mai stato. Lo capì bene nel 1989 Achille Occhetto, che quando decise con uno strappo dolorosissimo per tanti di cambiare nome al Partito comunista preferì laggettivo democratico, più generico e inclusivo, a socialista. Scelta in parte dettata da esigenze del momento (non darla apertamente vinta ai socialisti di Craxi) ma scelta comunque preveggente: rinnegarla dopo un quarto di secolo sarebbe lennesima anomalia italiana, costerebbe la rinuncia a rappresentare con completezza la sinistra  e i tanti che vogliono un vero cambiamento, inevitabilmente porterebbe all’esplosione del Pd. “I merli con i merli e i passeri con i passeri”, disse una volta Bertinotti per evocare il suo no ad ogni mescolanza tra sinistra radicale e  riformista: ma nel 2013 le varietà  ornitologiche non si fermerebbero probabilmente a due,
 

Roberto Della Seta
Francesco Ferrante

Il Pd in totale crisi d’identità 

pubblicato su huffingtonpost.it

Il Pd non sa bene cos’è lui stesso, per questo ha tanta paura di mescolarsi anche in via eccezionale, per esempio in un governo di emergenza istituzionale, con gli “altri da se” del Pdl. Ha il terrore di contaminarsi perché è incerto sulla propria identità .

Forse l’attuale stallo della crisi politica del dopo-voto può leggersi in parte così, usando gli strumenti della psicologia. Della psicologia applicata agli individui, che insegna come ognuno di noi quanto più è sicuro di sé tanto più è disposto ad aprirsi al confronto con gli altri, anche con i più diversi e lontani. E della psicologia sociale: se un popolo, una comunità , perde o sente indebolito il senso della propria identità , è più facile che finisca per coltivare sentimenti di chiusura verso l’esterno, di razzismo, di xenofobia. 

Ecco, il Pd rifiuta come una minaccia mortale l’incontro con i “nemici” del Pdl anche perché attraversa una crisi acuta, strutturale, di identità . Un paradosso, visto che Bersani proprio su tale scommessa – “dare un senso a questa storia” – ha costruito il proprio successo, vincendo le primarie interne del 2009 contro l’idea del “partito liquido” e poi vincendo contro Renzi la sfida per la leadership del centrosinistra.

Ma cos’è  oggi il Partito democratico? E’ tante, probabilmente troppe cose insieme. E’ nello stesso tempo il Pd dei “liberal” alla Renzi, alla Veltroni, e dei “neo-vetero-laburisti” alla Fassina o Camusso. Non è un partito socialista ma la gran parte del suo gruppo dirigente si professa orgogliosamente socialista. Pure sul piano della rappresentanza sociale il Pd è una creatura decisamente incerta: gli operai gli hanno voltato le spalle, i giovani gli preferiscono Grillo… Ancora, non va molto meglio per i democratici sul terreno attualmente scivolosissimo della cosiddetta “antipolitica”: certo si sentono distanti anni luce dai bunga-bunga o dalle leggi ad-personam di Berlusconi, ma sanno bene che per buona parte degli italiani, anche degli italiani che li votano, loro sono “casta” né più né meno degli altri politici.

Non sa bene cos’è, il Pd, per questo tiene a distanza il Pdl e insegue i grillini. Teme che un “governissimo” lo faccia assomigliare ai primi, invece vorrebbe tanto assomigliare ai secondi. Assomigliare non certo al loro programma, che l’intero gruppo dirigente del Pd considera indigeribile, ma piuttosto alla loro freschezza, alla loro capacità  di  dare voce alla voglia di cambiamento radicale che agita sempre di più gli italiani.

Il punto non è che dentro al Pd convivano sensibilità  e pensieri diversi: funziona così in ogni grande partito in qualunque parte del mondo. Il punto è che per fare sintesi tra queste profonde diversità  servirebbero o una lunga storia comune alle spalle, che al Pd manca del tutto, oppure una forte leadership che tali differenze sappia riassumere e comporre in una visione organica e convincente. Questo era, almeno nelle intenzioni, il Pd delle origini, del Lingotto. Dopo cinque anni se ne sono perse totalmente le tracce, resta un partito-ibrido che per il terrore di contaminarsi rischia di perdere se stesso e il Paese. Un partito che in queste ore subisce dal “suo” presidente meritatissime lezioni di responsabilità , e il cui gruppo dirigente più ristretto ha dato finora l’impressione di anteporre al bene comune il proprio bene “personale”, all’interesse dell’Italia l’interesse a difendere il proprio potere.

Vittima di questo combinato tra crisi d’identità  e calcoli di bottega, il Pd continua a resistere all’idea di un Governo indicato dal Presidente che abbia limitati ma urgenti compiti: condurre in porto la riforma elettorale (possibilmente sul modello francese) , superare il bicameralismo, tenere al riparo dalle speculazioni del mercato la nostra economia e dare qualche ossigeno a imprese e lavoro, portare il Paese a nuove elezioni entro pochi mesi con regole che garantiscano davvero nel prossimo Parlamento rappresentanza e governabilità . Chissà  che la Pasqua non porti a un atto, ispirato seppure laico, di resipiscenza.

ROBERTO DELLA SETA

FRANCESCO FERRANTE

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