Comunicati

Non siamo in Egitto: inedito e inaccettabile il diktat del Consiglio di Difesa sugli F35

“L’altolà  al Parlamento sulla vicenda degli F35 che si legge nel comunicato diffuso oggi dal Consiglio Supremo di Difesa è grave e inaccettabile: non siamo in Egitto, sarebbe bene che da noi gli organismi militari per quanto autorevoli evitino di ergersi a interlocutori diretti delle Camere e dunque della sovranità  popolare”. E’ quanto affermano Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, di “Green Italia”, commentando la nota in cui il Consiglio di Difesa rivendica il diritto di scegliere sull’acquisto degli F35 senza autorizzazione del Parlamento. “L’acquisto di alcune decine di cacciabombardieri F35 per una somma superiore ai 10 miliardi – continuano i due esponenti ecologisti – è con tutta evidenza una scelta insensata. Ma prima ancora del merito della vicenda, conta il rispetto delle regole democratiche: è la prima volta che in Italia un organismo militare s’improvvisa attore diretto delle scelte politiche, c’è da sperare che sia anche l’ultima”.

GREEN ITALIA: LE NOSTRE IDEE

l° documento di base di “GreenItalia” presentato all’assemblea di lancio dell’iniziativa il 28 giugno a Roma.

Amiamo l’Italia, crediamo nel nostro destino comune di italiani e di europei.

Crediamo che l’Italia non sia condannata alla decadenza ma abbia in sé la forza per rialzarsi, per dare risposte innovative ed efficaci ai grandi problemi sociali, economici, ambientali, civili che l’assillano e ritrovare così un futuro all’altezza della sua storia, per partecipare da protagonista alla costruzione di un’Europa democratica e federalista.

Per curare i mali italiani – lavoro che manca, politica screditata, Stato e servizi pubblici inefficienti, illegalità  diffusa, merito ignorato, ambiente e territorio maltrattati, città  degradate – servono scelte pubbliche di profondo, radicale cambiamento, che restituiscano ai cittadini speranza nel futuro e riannodino il legame fiduciario oggi spezzato tra rappresentati e rappresentanti.

Il malcontento e la protesta sempre più diffusi sono reazioni giustificate, come legittima e fondata è la sfiducia crescente verso la politica, incapace di offrire soluzioni efficaci alla crisi molteplice di questi anni. Malcontento e protesta sono legittimi, ma da soli non producono il necessario cambiamento. L’Italia sembra prigioniera di una palude immobile, il nostro obiettivo è contribuire con idee e proposte simboleggiate dalla parola “green” – già  largamente presenti nel dibattito pubblico europeo – ad un progetto politico di forte innovazione che aiuti gli italiani a liberarsi dalla palude e a ritrovare la via di un futuro desiderabile.

Noi promotori di questo “manifesto” siamo cittadine e cittadini italiani con diverse – o con nessuna – esperienze politiche alle spalle. A unirci non sono le convinzioni del passato, a unirci è una stessa idea di futuro che finora in Italia non ha trovato spazio nella politica ma che in Europa è già  fatta propria da partiti e movimenti: a questa idea abbiamo dato il nome di GREEN ITALIA. Il nostro obiettivo è offrire agli elettori italiani un’altra scelta da quelle oggi disponibili: la scelta di un progetto politico fondato sull’idea di un “green new deal” per l’Italia, sulla convinzione che questa prospettiva sia la più efficace e realistica per il nostro Paese, sulla speranza che la nostra presenza renda più “green” anche le forze politiche tradizionali.

Siamo GREEN perché pensiamo che un “green new deal”, un patto rinnovato per lo sviluppo nel segno di un uso sostenibile delle risorse naturali, dell’impegno per salvaguardare gli equilibri del clima e degli ecosistemi, della “green economy”, dell’equità  sociale, del rispetto per i diritti e gli interessi delle generazioni future, sia oggi in Italia e nel mondo la premessa indispensabile per dare ancora senso e futuro all’idea di progresso.

Siamo GREEN perché ci battiamo per la difesa e la valorizzazione dell’ambiente, del paesaggio, delle città , del patrimonio culturale: nostre ricchezze impareggiabili e simboli universali di bellezza, calpestati da decenni di aggressioni e di incuria.

Siamo GREEN perché vogliamo difendere e allargare lo spazio sociale e civile dei beni comuni: “beni” materiali come l’aria, l’acqua, il suolo; “beni” immateriali come la legalità , l’istruzione, la coesione sociale, la parità  di diritti per le persone cui devono aggiungersi valori di più recente acquisizione sociale ma già  radicati nella mentalità  degli individui e delle comunità  come il rispetto per gli equilibri ecologici o l’attenzione verso il benessere degli animali. I beni comuni non possono essere privatizzati, né per usarli come merci né per sottometterli a logiche e interessi di parte.

Siamo GREEN perché crediamo nell’ecologia della politica. Nessun vero rinnovamento sociale, economico, civile sarà  possibile in Italia senza “disinquinare” la politica, senza ripulirla da corruzioni, abusi di potere, conflitti d’interesse, illegalità  favorite o tollerate.

Siamo GREEN perché pensiamo che solo liberando le energie, le capacità , le speranze dei giovani, oggi relegati ai margini della politica, dell’economia, del welfare, si possa sconfiggere il groviglio di conservatorismi, clientelismi e rendite di posizione che tiene imprigionata l’Italia.

Siamo GREEN come il colore della rabbia e della speranza: la rabbia di vedere il nostro Paese paralizzato da classi dirigenti che affrontano i grandi problemi di oggi con la stessa mentalità  che tali problemi ha concorso a determinare; la speranza di affermare le ragioni “green” come base per un vero riscatto dell’Italia.

1. GREEN NEW DEAL: LA SFIDA PER IL FUTURO

L’Unep, l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’ambiente, così definisce il “green new deal”: un patto in forza del quale “benessere ed equità  sociale convivono con una significativa riduzione del rischio ecologico e della pressione sulle risorse naturali. La crescita, il reddito, l’occupazione sono guidate da investimenti pubblici e privati che riducono le emissioni e l’inquinamento, usano l’energia in modo più efficiente ed evitano la perdita di biodiversità ”.

Il “green new deal” è una necessità  inderogabile per fronteggiare i crescenti problemi ambientali del nostro Pianeta: la crisi climatica ormai conclamata, prodotto di un modello energetico non più sostenibile basato sul petrolio e sui combustibili fossili; la perdita accelerata di biodiversità  e il consumo eccessivo di suolo naturale; l’inquinamento atmosferico che colpisce specialmente le grandi aree urbane; l’impoverimento, in quantità  e in qualità , delle risorse idriche.

L’uomo – questa la consapevolezza da raggiungere – è parte di un ecosistema delicato e “finito”, il benessere di noi contemporanei e quello delle future generazioni dipendono dalla capacità  di salvaguardare il capitale naturale e gli equilibri ecologici. Il modello tradizionale di una crescita quantitativa illimitata delle produzioni e dei consumi è reso tanto più insostenibile dalle dinamiche attuali dei processi di globalizzazione: l’affermazione sulla scena economica mondiale di nuovi, grandi Paesi produttori e consumatori – dalla Cina all’India, dal Brasile all’Indonesia – rappresenta al tempo stesso una fortuna e una minaccia. E’ una fortuna che decine di milioni di esseri umani ogni anno si liberino dalla miseria e accedano a condizioni di vita dignitose; ma questo mutamento epocale diventa una minaccia se moltiplica senza limiti la pressione antropica sugli ecosistemi. Per tutto questo, per fermare la crisi ecologica e contrastare con efficacia le immense ingiustizie sociali che segnano il mondo attuale, bisogna trasformare le basi dello sviluppo economico: utilizzando al meglio i progressi della tecnologia per produrre più ricchezza riducendo la pressione sul capitale naturale; favorendo la transizione dall’attuale modello energetico basato sui combustibili fossili e disattento all’efficienza, che alimenta la crisi climatica e fa crescere l’inquinamento, a un nuovo modello, già  largamente sperimentato, che privilegi l’efficienza energetica e l’uso delle energie rinnovabili; ridimensionando il peso dell’economia finanziaria, lasciata crescere senza limiti, regole, controlli; riformando i sistemi fiscali attraverso una riduzione del carico tributario su lavoro e imprese e una più forte tassazione dei grandi patrimoni finanziari e immobiliari e delle attività  produttive più inquinanti; concentrando gli investimenti pubblici e privati nella produzione di beni e servizi ad elevata qualità  ecologica, che diano lavoro e nello stesso tempo contribuiscano al miglioramento ambientale; promuovendo stili di vita e di consumo che privilegino la qualità  del benessere e superino a un consumismo fine a se stesso, e incentivano tutte le forme di “green public procurement” (gli acquisti “verdi” delle pubbliche amministrazioni); favorendo, attraverso una solida “agenda digitale”, la diffusione della possibilità  e della capacità  di utilizzo delle nuove tecnologie largamente immateriali della comunicazione e dell’informazione. Soltanto così sarà  possibile avvicinarsi a un mondo nel quale tutti possano soddisfare i propri bisogni e in cui l’uomo ritrovi una rapporto equilibrato, non distruttivo con l’ambiente.

Questi indirizzi sono alla base della cosiddetta “green economy” e sono il cuore del “green new deal”. Essi sono, anche, una delle risposte più avanzate alla drammatica crisi economica e sociale che investe in particolare l’Europa: insieme all’educazione, alla cultura, alle tecnologie digitali, infatti, proprio i settori legati alla “green economy” – dall’innovazione energetica all’agricoltura biologica, dalla mobilità  sostenibile alla cura del territorio, dalla conservazione delle aree protette alla chimica verde, dal riciclaggio dei rifiuti alla rigenerazione urbana – si dimostrano tra i più adatti a creare nuovi posti di lavoro e a rilanciare la capacità  competitiva dell’economia europea.

2. GREEN NEW DEAL: LA SFIDA PER L’ITALIA

Il “green new deal” è una scelta ancora più urgente e decisiva nel caso dell’Italia.

L’Italia è immersa in una crisi profondissima, probabilmente la più grave nei settant’anni della repubblica. E’ una crisi certo collegata a quella globale ma con radici spiccatamente italiane, caratterizzata da una prolungata recessione economica, da un deciso aggravamento delle diseguaglianze sociali, da un livello elevato di disoccupazione e da una disoccupazione giovanile del 40% che ci vede agli ultimi posti in Europa, da un debito pubblico elevatissimo per i cui interessi lo Stato paga ogni anno l’equivalente di un terzo di tutte le entrate fiscali dirette. A questa condizione di disagio e sofferenza socio-economica si sommano mali civili non meno acuti: diffusa corruzione; illegalità  endemica dall’evasione fiscale alla criminalità  organizzata; scarsa efficienza e scarsissima autorevolezza delle istituzioni pubbliche; sfiducia dilagante dei cittadini nella politica.

Anche in campo ambientale l’Italia vive una crisi ecologica che non è solo il riflesso dei problemi ambientali planetari: le nostre città  sono tra le più inquinate d’Europa; buona parte del territorio è in uno stato di dissesto cronico; il nostro patrimonio edilizio presenta standard particolarmente mediocri sia in termini di rendimento energetico che di sicurezza antisismica; abbiamo un sistema dei trasporti che privilegia del tutto la mobilità  su gomma con costi ambientali e di efficienza assai pesanti; in particolare nel Sud permane una profonda arretratezza delle infrastrutture ambientali primarie dalla depurazione delle acque alla gestione dei rifiuti; siamo assediati da fenomeni di illegalità  ambientale – l’abusivismo edilizio, l’azione devastante delle ecomafie – che almeno in questa forma e dimensione sono altrove sconosciuti.

Eppure l’Italia per la sua storia, per alcuni caratteri originali della sua struttura economica e sociale, ha una vocazione speciale al “green new deal”.

Se è “green” l’economia che produce benessere e prosperità  senza intaccare il capitale naturale, allora si può dire che l’Italia l’economia verde l’ha inventata, l’ha praticata con successo, prima di tutti gli altri: è la “green econmy” che da secoli produce ricchezza utilizzando come materie prime la bellezza, la creatività , la convivialità , la qualità  urbana, il legame sociale e culturale tra economia e territorio; materie prime immateriali e dunque ecologiche, talenti dei quali abbondiamo e che oggi sono la nostra arma migliore, forse l’unica vera arma su cui possiamo contare, contro i rischi di declino.

Per dare un futuro solido e sostenibile all’economia italiana bisogna che questa “lezione”, su cui già  oggi migliaia di imprese costruiscono successo, competitività , capacità  di resistere meglio alla crisi, diventi l’anima delle politiche per un rinnovato ma diverso sviluppo. Dobbiamo archiviare per sempre il “modello-Ilva” – lavoro contro salute – e l’idea, illusoria oltre che eticamente inaccettabile, che la strada per accrescere la nostra capacità  competitiva sia nei bassi salari e nella riduzione dei diritti sindacali. L’Italia, insomma, deve ricominciare a “fare l’Italia”, puntando sulle sue vocazioni ed eccellenze – manifattura ed agricoltura di qualità , turismo, economia della cultura, ricerca e innovazione tecnologica -, e rischiarando le sue troppe zone d’ombra che gravano anche sulla vita economica: illegalità , inefficienza dello Stato, debolezza dei sistemi educativi e formativi, arretratezza e insostenibilità  ambientale della rete dei trasporti, pessimo stato, particolarmente nel Sud, delle infrastrutture ambientali (acquedotti, depurazione delle acque, gestione dei rifiuti).

Così, per noi un “green new deal” italiano non può prescindere dall’indicazione e dal perseguimento di obiettivi di profonda innovazione in campo ambientale. Tra questi: il 100% di energia rinnovabile entro il 2050; il miglioramento di almeno il 30% del rendimento energetico del patrimonio edilizio esistente entro vent’anni e standard di edilizia a energia “quasi-zero” per il nuovo costruito dal 2020; azzeramento del consumo di nuovo suolo entro il 2030; priorità  assoluta al recupero di materia nella gestione dei rifiuti; spostamento di almeno il 20% entro 10 anni del trasporto di passeggeri e merci dai veicoli privati a motore tradizionale alle diverse forme e tipologie di mobilità  sostenibile (trasporto pubblico urbano, trasporto in comune come “car-sharing” e “car-pooling”, mobilità  ciclabile, ferrovia, cabotaggio, veicoli a trazione elettrica).

Per attuare questi cambiamenti radicali servono nuove classi dirigenti: nuove nell’anagrafe e nuove, soprattutto, nella mentalità . Ma la forza decisiva per il rinnovamento di cui ha bisogno l’Italia è nelle donne e negli uomini che nel loro lavoro, nelle loro scelte di consumo, nel loro impegno civico già  oggi fanno vivere un’Italia “green”: imprenditori e lavoratori della “green economy”, amministratori locali che sui temi legati alla qualità  ambientale – consumo di suolo, rifiuti, mobilità  – sperimentano politiche di avanzata innovazione, insegnanti ed artisti impegnati ogni giorno a trasmettere il valore della cultura e della bellezza, movimenti che si battono per salvare i propri territori dal degrado e da opere e scelte pubbliche distruttive, consumatori che si organizzano nei “gruppi di acquisto solidale” proponendo nuovi modelli di consumo critico, comitati degli utenti del trasporto ferroviario “pendolare” che rivendicano servizi di trasporto pubblico efficienti, agricoltori biologici… Questi mondi sociali e civili, pochissimo rappresentati in politica, sono, devono essere i primi costruttori di un “green new deal” che parla italiano.

3. ECOLOGIA DELLA POLITICA, DELLA SOCIETA’, DELLA CITTA’

Un vero, credibile “green new deal” non può essere solo economia: deve utilizzare la stessa chiave “ecologica” – ecologia come trasparenza dei processi pubblici, ecologia come interdipendenza di tutte le forme di vita associata – per rendere più eque, sostenibili, efficaci le dimensioni pubbliche da cui dipende il benessere delle persone e delle comunità , dalla politica all’organizzazione sociale alla città .

Occorre una robusta ecologia della politica, che ridia dignità  e forza ai compiti di rappresentare la volontà  dei cittadini e di esercitare le funzioni pubbliche oggi screditati più che mai, e in Italia più che altrove, da una politica e da una pubblica amministrazione che recano stimmate evidenti di arretratezza culturale e di una generale caduta dell’etica pubblica. Una svolta così è indispensabile se si vuole che nella società , nell’economia, nella politica italiane l’interesse generale, il merito e le capacità  personali contino di più di affarismi, clientelismi e familismi, ed è l’unico antidoto efficace contro i rischi che si affermino visioni e posizioni populiste, plebiscitarie, cesariste, o peggio ancora che finisca sotto accusa l’idea stessa della rappresentanza democratica. Per rinnovare la politica servono, com’è ovvio, politici rinnovati – “portatori sani” di idee contemporanee, di onestà  personale, di competenza – e serve aprire sempre di più le forme della partecipazione politica alla cittadinanza attiva, agli strumenti della democrazia diretta, alle possibilità  inedite di scambio e condivisione offerte dalle tecnologie della comunicazione e dell’informazione.

Centrale nella nostra visione di un “green new deal” è poi la cura di beni comuni immateriali che consideriamo imprescindibili per ogni prospettiva di progresso: la legalità , la libertà  e i diritti delle persone, la coesione sociale. L’Italia è assediata da fenomeni di illegalità  profonda e diffusa: dall’illegalità  criminale delle organizzazioni mafiose, all’illegalità  diffusa della corruzione, dell’evasione fiscale o dell’abusivismo edilizio, fino all’illegalità  “di Stato” di una giustizia troppo spesso inefficiente, di un sistema carcerario indegno di un Paese civile o dei tanti conflitti d’interesse tra funzioni pubbliche e interessi privati. Questa condizione è un danno grave per la vita delle persone, per la convivenza sociale, per la stessa vita economica, ed è uno dei grandi ostacoli che impediscono al nostro Paese di evolvere, di modernizzarsi alla stessa velocità  del resto d’Europa. Analogamente, vanno rimosse con urgenza le barriere che negano a milioni di cittadini, per motivi di genere, di origine familiare, di orientamento sessuale la possibilità  di vedere riconosciuti fondamentali diritti – nel lavoro, nella famiglia, nell’accesso al welfare – e di perseguire pienamente e liberamente i propri progetti di vita. Tali discriminazioni sono non soltanto moralmente inaccettabili, ma rendono l’Italia molto più debole nello sforzo per superare la sua condizione attuale di acuta difficoltà  sociale ed economica.

Dare concreta applicazione al principio delle pari opportunità  per tutti i cittadini: questo dev’essere anche il criterio fondamentale per salvaguardare, ammodernandoli, i nostri sistemi di welfare. Lo “stato sociale”, l’idea in parte realizzata che la salute, l’educazione, la previdenza, l’assistenza in caso di speciali difficoltà  siano diritti di cittadinanza universali, sono la conquista civile e democratica più preziosa ottenuta dall’Europa nei suoi quasi settant’anni di vita associata. Oggi in Italia e in tutta Europa questo presidio decisivo e insostituibile della coesione sociale è minacciato: dall’erosione progressiva delle risorse finanziarie pubbliche disponibili per la spesa sociale, dall’aumento rapido e continuo della povertà , dal ritardo con il quale finora si è proceduto alla riforma, necessaria ed urgente, degli attuali modelli di welfare. Per tutto questo, sono ormai inderogabili riforme incisive che realizzino il passaggio dal welfare delle pari prestazioni per tutti – economicamente non più sostenibile – al welfare delle pari opportunità , e garantiscano a chiunque perda il lavoro, ai giovani in attesa di trovarlo, a chi svolge lavori di cura familiare non retribuiti un reddito minimo di cittadinanza.

Come la politica, come l’organizzazione sociale, così le città  italiane hanno altrettanto bisogno di una forte iniezione di ecologia. Abbiamo i centri storici più belli del mondo ma le periferie più brutte d’Europa, e in generale le nostre città  sono oggi uno dei simboli più eloquenti dei mali italiani: consumo di suolo a ritmi elevatissimi; scelte urbanistiche quasi sempre dettate più da ristretti, potentissimi interessi speculativi che dall’interesse generale; gestione dei rifiuti che vede affiancate esperienze di assoluta eccellenza a molte altre, soprattutto nell’Italia centrale e meridionale, di desolante arretratezza; cronica e generalizzata inefficienza dei servizi di mobilità  pubblica che determina congestione del traffico e livelli di inquinamento sistematicamente superiori alle soglie di legge e di rischio sanitario. Da troppo tempo l’Italia è priva di politiche generali e coordinate per le città : bisogna rapidamente rimediare a questa “assenza”, perseguendo come primi e più urgenti obiettivi un programma di forte incentivo a una mobilità  urbana rinnovata che punti sul trasporto pubblico e sulle altre forme di mobilità  sostenibile (car sharing, car pooling, ciclabilità ) e l’adozione di nuovi indirizzi e regole in campo urbanistico che limitino fortemente il consumo di suolo e favoriscano la rigenerazione degli spazi urbani più degradati e problematici. Al tempo stesso, dopo troppi anni di tagli sistematici ai trasferimenti di risorse dallo Stato centrale agli enti locali, bisogna sostenere i compiti dei Comuni con adeguate risorse pubbliche anche attraverso una revisione delle regole, oggi eccessivamente rigide, del cosiddetto patto di stabilità  interno. Il “green new deal” italiano non può non avere le città  come protagoniste: avamposti dell’innovazione energetica, laboratori avanzati di mobilità  sostenibile, “smart city” per mettere l’innovazione tecnologica al servizio della qualità  della vita delle persone. Solo così la vocazione urbana dell’Italia troverà  un senso pienamente contemporaneo.

4. PER L’EUROPA, OLTRE QUESTA EUROPA

Perché l’Europa scelga la via di un “green new deal”, occorre un cambiamento radicale delle politiche europee. L’Unione europea è un punto di partenza prezioso e irrinunciabile, e anche in campo ambientale ha rappresentato un grande fattore di spinta, di progresso ponendo le basi per un quadro di regole, di politiche pubbliche, di buone pratiche senza eguali nel mondo. Ma questa Unione europea, per l’appunto, è solo un punto di partenza, e oggi di fronte alla crisi economica e sociale in atto da anni, di fronte alla globalizzazione che rischia di marginalizzare il ruolo geopolitico del “vecchio continente”, di fronte alla crisi climatica sempre più incombente, serve una Europa assai diversa da quella attuale: una Europa federalista che smetta di percepirsi come associazione provvisoria di Stati sovrani, che tragga forza e legittimità  da istituzioni non nominate dai Governi nazionali e dalle burocrazie comunitarie ma elette democraticamente; una Europa società  aperta e solidale che si offra come luogo privilegiato di incontro tra Nord e Sud, tra Oriente e Occidente; una Europa che smetta di basare le sue strategie contro la crisi economica sulla sola ricetta del rigore di bilancio, che in assenza di forti politiche per il lavoro, lo sviluppo sostenibile, la lotta alla povertà  porta più danni sociali ed economici che vantaggi. Fuori da queste scelte e da questo coraggio, non resta che uno scenario: quello di una Europa che come in molti Paesi sta già  avvenendo cede terreno all’avanzata delle forze populiste e xenofobe, e il cui peso rimpicciolisce sempre di più nel mondo globalizzato.

Noi GREEN crediamo in una Europa “glocal”. Consideriamo le identità  locali, nazionali come complementi insostituibili di una più larga “patria” europea, guardiamo ad esse come alla garanzia di una globalizzazione che non produca omologazione ma anzi valorizzi le differenze. Per noi globalizzazione e identità  sono bisogni inscindibili, nella loro necessaria compenetrazione vive la possibilità  di conservare senso all’idea di progresso. Come italiani, possiamo avvertire con una forza speciale questa consapevolezza: siamo gli eredi e i custodi delle mille città , dei mille territori che fanno dell’Italia un grande, prezioso, inimitabile mosaico. Luoghi di identità , di storie, di economie tutte diverse e tutte a loro modo uniche, luoghi chiamati oggi a confrontarsi con i flussi della globalizzazione: per l’Italia e in generale per l’Europa, davvero, la via alla “buona globalizzazione” non può che essere “glocal”.

Nato oggi il movimento politico “Green Italia”

PER PORTARE L’ECOLOGIA NEL CUORE DELLA POLITICA

PARTE SUBITO IL RADICAMENTO TERRITORIALE, CONGRESSO FONDATIVO ENTRO L’ANNO

Battesimo oggi a Roma, in un affollato e partecipato incontro presso l’auditorium del museo Maxxi, del movimento politico Green Italia, nato – così nelle parole dei promotori – per “mettere l’ecologia nel cuore della politica, offrire agli elettori italiani un’altra scelta da quelle oggi disponibili: la scelta di un progetto politico fondato sull’idea di un ‘green new deal’ per l’Italia”.

“Green Italia – ha affermato Roberto Della Seta nel corso del suo intervento – è un azzardo necessario. Dobbiamo convincere i cittadini, e prima ancora la politica, che difendere l’ambiente è tutt’uno con la prospettiva di benessere oggi più vera e concreta. Serve a creare lavoro, a combattere ingiustizie, a guarire l’Italia dalla sua ‘depressione’”.

Una partecipazione trasversale quella a Green Italia, che vede mescolati rappresentanti dell’imprenditoria verde e dell’associazionismo, e persone con radici politiche assai diverse. Per Fabio Granata, Green Italia “non è una rifondazione verde. E’ un progetto politico legato alle specificità  italiane, ovvero la bellezza e lo spirito innovativo. La trasversalità  riguarda il passato, perché sul futuro con chi affronta questa avventura di Green Italia abbiamo identica visione”.

Come ha detto Monica Frassoni, copresidente del “Green European Party”, “è necessario un soggetto che fa dell’ecologia politica, di un ‘green new deal’ il centro della sua azione non perché si cerchi un nuovo contenitore, ma perché riteniamo che senza una trasformazione in ‘verde’ dell’attività  economica e dell’organizzazione sociale non si esce dalla crisi, non si cambia l’Italia, non si contribuisce a rilanciare un sogno europeo oggi in panne”.

All’incontro oggi di Green Italia hanno partecipato tra gli altri anche Angelo Bonelli ed Ermete Realacci. Per quest’ultimo, “gli spazi culturali e politici per i temi incentrati sull’ambiente e la green economy sono sicuramente vasti, occorrerà  valutare quanto lo siano gli spazi elettorali.

Comunque non c’è dubbio che nella politica italiana questa chiave sia oggi pochissimo rappresentata e debba avere molto più spazio”.

“Green Italia – ha concluso Francesco Ferrante – costituisce oggi il suo comitato promotore, che avrà  come compiti raccogliere idee e contribuiti per il programma e avviare il radicamento territoriale, con gruppi di lavoro regionali che organizzeranno appuntamenti locali. Entro fine anno terremo l’assemblea costituente di un soggetto politico vero e proprio, leggero e innovativo ma deciso a pesare nella competizione per il consenso degli italiani”.

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