Comunicati

Green Italia: dal 6 all’8 dicembre l’assemblea fondativa

PARTE DAL RADICAMENTO SUL TERRITORIO DEL NUOVO MOVIMENTO:

ADESIONE APERTA A CITTADINI ITALIANI E STRANIERI MAGGIORI DI 16 ANNI.CODICE ETICO COMMISSIONE ANTIMAFIA, FINANZIAMENTI ON LINE

Si è riunito oggi il comitato dei fondatori di “Green Italia”, il nuovo movimento politico nato per dare visibilità  e rappresentanza anche in Italia ai temi della qualità  ambientale, della difesa del paesaggio e del patrimonio culturale, della green economy, dei beni comuni e della legalità . Del comitato fanno parte Monica Frassoni (presidente partito verde europeo), Roberto Della Seta e Francesco Ferrante (già  parlamentari Pd), il presidente dei verdi italiani Angelo Bonelli, Fabio Granata già  parlamentare di Fli, Rossella Muroni e Edoardo Zanchini (direttrice generale e vicepresidente di Legambiente), l’imprenditrice Ilaria Catastini, Anna Donati, il direttore della Fondazione Symbola Fabio Renzi, Beppe Gamba presidente di “Azzero CO2€³, Francesco Fiore animatore di “Padova 20/20€³, Fiorello Cortiana, Monica Centanni, Peppe Nanni, Luana Zanella, Andrea Di Stefano, Assunta Brachetta.

Nel corso della riunione è stato stabilito che l’assemblea fondativa di “Green Italia” si terrà  a Roma dal 6 all’8 dicembre 2013. Da subito partono invece le iniziative per radicare il movimento in tutte le regioni italiane. Possono aderire a “Green Italia” tutti i cittadini italiani e stranieri residenti in Italia maggiori di 16 anni; unica condizione richiesta, il rispetto dei requisiti previsti dal codice etico approvato nella scorsa legislatura dalla Commissione parlamentare anti-mafia, che esclude dalla partecipazione politica chi abbia condanne o rinvii a giudizi per reati di criminalità  organizzata e di corruzione.

Il comitato dei fondatori di “Green Italia” ha inoltre stabilito la pubblicazione on-line sul sito www.greenitalia.org della documentazione relativa ai contributi ricevuti e alle spese sostenute dal movimento.

Quando un taglio di CO2 crea lavoro e Pil

Pubblcato su ilsussidiario.net

Con il voto di ieri del Parlamento europeo si è evitata la morte dell’ETS, il sistema europeo di scambio delle emissioni di CO2. Un ripensamento del Parlamento, che poche settimane fa si era espresso in maniera opposta subendo la pressione lobbistica dell’industria più arretrata – compresa purtroppo come troppo spesso avviene la nostra Confindustria, che va salutato con soddisfazione. Ora la palla passa al Consiglio per l’approvazione finale ma poi di dovrà  avviare la necessaria riforma strutturale dell’ETS al fine di evitare nuovi surplus sul mercato.

L’Europarlamento ha approvato la proposta della Commissione di congelare (backloading) la vendita all’asta dei permessi “una sola volta per un numero massimo di quote pari a 900 milioni” al fine di incoraggiare le imprese a investire in innovazione a basse emissioni di carbonio, dopo la bocciatura di misura avvenuta in aprile. Con il congelamento delle quote sarà  possibile ripristinare l’effetto d’incentivazione del sistema di scambio di emissioni, progettato per diminuire le emissioni di gas a effetto serra e contrastare i cambiamenti climatici.

Il sistema ETS è quasi al collasso per il forte accumulo di eccedenze – stimate al 2020 in almeno 1.8 miliardi di quote – dovuto non solo alla recessione economica, ma anche alla generosa allocazione di quote nella precedente fase 2008-2012. Eccedenze che hanno portato il prezzo del carbonio da 30 ad appena 4 euro per tonnellata di CO2, disincentivando così gli investimenti nelle tecnologie a basse emissioni di carbonio.

Per far fronte a questa situazione di forte emergenza, è importante procedere immediatamente con il backloading. Si tratta di una soluzione di buon senso, in grado di garantire nell’immediato la stabilità  del sistema, in attesa dell’adozione delle necessarie misure strutturali di lungo periodo, senza compromettere la competitività  dell’industria europea. Il backloading, infatti, non riduce in alcun modo le quote concesse gratuitamente alle imprese dei settori – come l’acciaio o il cemento – ad alta intensità  energetica.

Subito dopo si dovrà  concordare una riforma strutturale del sistema. La soluzione più efficace è innalzare dal 20% al 30% l’obiettivo europeo di riduzione delle emissioni in modo da garantire l’eliminazione strutturale del surplus previsto al 2020. Una grande opportunità  anche per rivitalizzare l’economia europea.

E’ quanto emerge da uno studio del governo tedesco che evidenzia come con il passaggio al 30% nei prossimi anni in Europa si possono creare ben 6 milioni di nuovi posti di lavoro. Con un aumento medio annuo rispetto all’attuale trend dello 0.6% del PIL e del 4% (dal 18% al 22% del PIL comunitario) degli investimenti.

Mantenere l’obiettivo del 20% – considerato dal mercato ormai raggiunto con le politiche climatiche in atto visto che si è già  raggiunto il 17.5% rispetto al 1990 – significherebbe invece scoraggiare gli investimenti nell’innovazione, senza i quali l’economia europea non ha futuro.

Secondo lo studio tedesco per sfruttare al meglio le potenzialità  del passaggio al 30% è fondamentale integrare la politica climatica in un quadro di misure economiche e fiscali coordinate a livello comunitario e finalizzate ad incentivare gli investimenti nelle tecnologie pulite “low-carbon”. In questo modo l’industria europea può consolidare e rafforzare la sua competitività  globale scongiurando qualsiasi rischio di delocalizzazione.

Tutti i settori economici – agricoltura, energia, industria, servizi – ne trarrebbero vantaggio. Ma in particolare il settore delle costruzioni grazie alle grandi opportunità  per gli investimenti nell’efficienza energetica degli edifici vecchi e nuovi.

Una grande opportunità  anche per il nostro paese con una riduzione della disoccupazione del 2.6% (dal 7.6% al 5%), un aumento medio dello 0.5% (dall‘1.8% al 2.3%) del PIL e del 6% (dal 20.4% al 26.4%) degli investimenti. Un’opportunità  che Europa ed Italia non possono lasciarsi sfuggire se vogliono davvero vincere la doppia sfida climatica ed economica.

Un obiettivo ormai a portata di mano. In Europa le emissioni di gas-serra sono diminuite del 17,5% tra il 1990 e il 2011, mentre il PIL comunitario è aumentato del 48% nello stesso periodo. Per l’UE15 si è avuto invece una riduzione delle emissioni del 13,8% e un aumento del PIL del 43%. Per quanto riguarda poi i principali paesi europei si sono riscontrate le seguenti performance per emissioni e PIL rispettivamente: Italia -5,6% e +24%; Germania -26,2% e +35%; Francia -10,9% e +31%; Regno Unito -27,4% e +57%.A dimostrazione che l’azione climatica non compromette lo sviluppo economico, sfatando così anche il mito che è possibile ridurre le emissioni solo in tempo di crisi.

L’Europa insomma è già  nelle condizioni per aumentare al 30% il proprio impegno di riduzione al 2020. Non richiede grandi sforzi aggiuntivi per i prossimi anni. E può così contribuire a colmare il preoccupante gap esistente (8-13 Gt di CO2 secondo il recente rapporto dell’UNEP) tra gli impegni di riduzione assunti sino ad ora dai diversi paesi e la riduzione di emissioni indispensabile entro il 2020 per rientrare nella traiettoria di riscaldamento del pianeta non superiore almeno ai 2°C. Dà  nuova linfa ai negoziati per un nuovo accordo globale ambizioso e giusto. E può contribuire a farci superare l’attuale crisi economica.

L’Europa e l’Italia possono infatti rivitalizzare le proprie economie fortemente indebolite dalla crisi finanziaria solo investendo nella green economy per vincere la sfida climatica, non più una nicchia ma un nuovo modo di concepire l’economia e il suo sviluppo.

Mauro Albrizio – Direttore Ufficio Europeo Legambiente
Francesco Ferrante – Vicepresidente Kyoto Club

Lavoro e giovani: la strada non sono sussidi a perdere

Pubblicato su Huffingtonpost.it

C’è una verità  che vede convergere, in Italia e in Europa, tutte le analisi e tutti i giudizi sulla crisi economica: l’aspetto più drammatico del tunnel recessivo imboccato a inizio 2008 riguarda il lavoro, e in particolare la mancanza di lavoro per i giovani.

Da qui anche le decisioni dell’ultimo vertice europeo, centrate sull’obiettivo di destinare alcuni miliardi di euro per un piano europeo rivolto ai cosiddetti “neet” (“not in education, employment or training”): la massa crescente di giovani che non studiano, non lavorano, non si formano. Un piano in continuità  con il progetto del governo italiano, preparato dal ministro Giovannini, che stanzia fondi per le assunzioni di giovani indicando priorità  “geografiche” (precedenza al sud) e per “tipologia di soggetti” (svantaggiati, con persone a carico ecc.).

Purtroppo, sia l’iniziativa europea che quella italiana denunciano uno stesso limite: la mancanza di visione, di scelte capaci di indirizzare gli investimenti, di impegnare le limitate risorse a disposizione nelle direzioni più convenienti e strategiche. Ancora una volta, così pare, prevale l’illusione che qualche sgravio fiscale “a pioggia” (sempre utile, per carità , in un Paese come il nostro segnato da una pressione tributaria elevatissima) o qualche ennesima “acrobazia” sulle forme contrattuali bastino a rispondere al dramma della disoccupazione in genere e di quella giovanile in particolare.

Ciò che servirebbe è altro, è un’idea di futuro su cui costruire politiche economiche e industriali di respiro, utili certo ad aprire oggi sbocchi occupazionali per i giovani chi non trovano lavoro e nemmeno più lo cercano ma capaci, anche, di disegnare una prospettiva credibile per l’Europa di domani. Questa idea non va inventata: c’è già , abbondantemente presente in decine di documenti ufficiali dell’Unione europea. E’ l’idea di una società  “low carbon”, è l’idea di una “green economy” intesa non come settore di nicchia ma come l’unico terreno realistico su cui l’Europa – in un mondo e in un’economia globale sempre più multipolari – potrà  giocare anche in futuro da “player” protagonista.

La traduzione italiana di questo indirizzo è anch’essa ben chiara a chi voglia vedere: passa per la scelta di valorizzare quei “talenti” – la creatività , la bellezza, la cultura, il paesaggio, l’impresa sociale – di cui disponiamo più largamente di tanti altri e che rappresentano la sola vera e buona carta che abbiamo da giocare per uscire presto e bene dalla crisi e fermare il nostro declino. Come applicare tale ricetta alle politiche per il lavoro dei giovani? Una proposta concreta e convincente viene da Ilaria Catastini, imprenditrice romana con la quale abbiamo promosso il nuovo movimento politico “Green Italia”; per Catastini, sarebbe bene che le risorse disponibili non vengano disperse in mille rivoli ma siano concentrate nei settori vicini alla “green economy” ambiente, eco-innovazione, produzioni di qualità , economia della cultura, terzo settore, start-up e incubatori d’impresa sempre legati all’economia verde.

Insomma, se si vuole davvero incidere nel dramma sociale rappresentato da quel 40% di giovani italiani che non studiano e non lavorano, la via da battere non sono i sussidi “a perdere”. Le imprese non assumono perché costa un po’ meno, assumono se e quando vedono una domanda in crescita e prospettive di sviluppo per il proprio business. Così è in tempi normali, così è a LavoroGiovanimaggiore ragione in tempi come questi di crisi acuta e prolungata.

ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCO FERRANTE

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