Il doppiopesismo nel giudizio sui dittatori è sempre stata una prerogativa, quasi un marchio di fabbrica, della sinistra comunista. Il dispotismo d’impronta marxista – da Castro a Ho Chi Minh – era buono, sano, progressista, magari discutibile nei metodi ma sacrosanto nell’ispirazione e nelle finalità ; invece quello di destra era bieco e orrendo fascismo. Poco importava che la negazione delle libertà fosse ugualmente implacabile, la repressione poliziesca di ogni dissenso altrettanto asfissiante: su tutto faceva premio il pregiudizio ideologico, e così generazioni e generazioni di comunisti anche in Occidente hanno guardato ai dittatori di sinistra come a generosi leader rivoluzionari e a quelli di destra come a tiranni spietati.
Oggi questa stessa sindrome, decisamente e fortunatamente in declino tra chi si professa di sinistra, ha trovato un insospettabile e inedita replica niente di meno che nel più diffuso quotidiano italiano, il Corriere della Sera. Il criterio, naturalmente, non è lo stesso su cui poggiava lo strabismo comunista. A fare la differenza tra regimi da considerare con occhio benevolo o comunque distratto e altri da mettere in croce, è una considerazione assai più semplice e banale: la bontà dei rapporti col governo italiano e con il sistema economico nostrano.
Così, in questi anni e in questi mesi il Corriere si limita ad osservare senza scomporsi troppo l’accoglienza da rockstar riservata da Berlusconi e da tutto il centrodestra al colonnello Gheddafi – quello della strage di Lockerbie, per intenderci – né tanto meno si indigna per l’idillio tra il nostro premier e Vladimir Putin, che non sarà tecnicamente un dittatore ma certo non è un campione di democrazia e spirito liberale. Il Corriere, in compenso, riscopre la sua vocazione liberal-democratica ogni volta che c’è da mettere sulla graticola, e in ridicolo, le simpatie che tuttora riscuotono in una parte della sinistra italiana e tra alcuni nostri intellettuali gli esemplari superstiti di “duci” e leader populisti sedicenti rivoluzionari. Allora le penne dei Battista e dei Panebianco s’infiammano.
L’ultima e più vistosa conferma di ciò è di martedì scorso, quando il giornale di via Solforino ha dedicato l’apertura e le prime due pagine alla visita del presidente venezuelano alla Mostra del cinema di Venezia, con tanto di editoriale infuocato di Pierluigi Battista dal titolo inequivocabile: “Ai piedi del caudillo”. I fatti a dire il vero non sembravano trascendentali: Chavez al suo arrivo al Lido festeggiato da qualche decina di sopravvissuti no global e omaggiato da un manipolo di cinefili un po’ snob.
Come osservava ieri il direttore di “Europa” nel suo editoriale, tali atteggiamenti dimostrano l’inerzia pavloviana, il provincialismo di ambienti pure importanti della società culturale italiana. Ma questo limite oggettivo non riguarda soltanto intellettuali e militanti di sinistra ancora convinti di vivere nel Novecento. In quale altro Paese europeo un dittatore decisamente più “controverso” di Chavez come Gheddafi sarebbe stato fatto sfilare non sulla passerella della Mostra del Cinema ma sui tappeti rossi pavesati a festa di tutti i palazzi del potere? E soprattutto: in quale altro Paese europeo il principale quotidiano nazionale avrebbe giudicato la cosa niente più che ordinaria “realpolitik”? Insomma anche in questo caso, non solo nella vicenda delle veline, e forse qui in maniera più grave, appare evidente che una delle “malattie italiane” sta anche in un sistema informativo, e il Corriere della Sera ne è forse il più vistoso simbolo, che non sa cogliere le vere “anormalità ” di questo Paese che una classe dirigente degna di questo nome dovrebbe invece collettivamente impegnarsi a correggere.
ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCO FERRANTE