Chi ha tradito Pio La Torre?
Introduzione al libro di Giuseppe Arnone. “Chi ha tradito Pio La Torre?”
di Francesco Ferrante e Mimmo Fontana
Per chi ritiene che per dare nuova speranza a questo Paese, provare finalmente a cambiarlo, farlo uscire dalle secche dell’immobilismo, sia giunto il momento di andare oltre le storie dei due più grandi movimenti politici di massa come quello del cattolicesimo democratico e quella comunista, e dare vita a una moderna forza riformista c’è solo un modo per non fallire: andare oltre ma affondando le radici del nuovo soggetto politico nelle straordinarie storie che hanno prodotto quei movimenti. Storie di eroi che hanno perso la vita per l’affermazione di diritti che oggi ci appaiono scontati e di quel principio di legalità , che in questo Paese e soprattutto nel Mezzoggiorno non si è mai affermato, e che negli ultimi anni ha anche subito l’aggressione di un cinismo che sta cancellando ogni distinzione tra i concetti di giusto e ingiusto, di legale e illegale. Ma anche storie di tantissimi uomini e donne comuni che con il loro impegno hanno dato dignità alla politica di questo Paese. Quella stessa dignità che oggi, almeno a leggere i sondaggi, viene riconosciuta alla magistratura, al capo dello Stato e ad altre pochissime istituzioni, ma non certo alla politica.
Se la politica continuasse ad essere considerata esclusivamente tattica, gestione del potere fine a se stessa, clientela, strumento per l’affermazione dei propri privilegi, la disaffezione verso la partecipazione che già oggi si registra in Italia diventerebbe sempre maggiore.
Nel nostro paese sembra diventato intollerabile l’arrivo dei migranti che fuggono dalla disperazione mentre appare quasi normale che evasori e collusi facciano rientrare il frutto dei loro reati con un premio per la loro furbizia. Si grida al complotto se un magistrato indaga sulle collusioni tra mafia e politica mentre il Presidente del Consiglio può affermare nell’indifferenza dei più che il boss di Cosa Nostra Mangano era un eroe. In un Paese dove sta crescendo l’intolleranza e il malcostume, dove si stanno perdendo i valori condivisi che stanno alla base della nostra democrazia, troppo spesso nell’indifferenza generale, è indispensabile che la politica torni invece a fondarsi su quei valori e intorno a quelli ricostruisca le basi del proprio consenso.
Senza voler descrivere il nostro amico Peppe Arnone come un eroe siamo però certi che il suo impegno, la sua dedizione all’affermazione del valore della legalità lo iscrivono di diritto nel novero di coloro che hanno dato dignità alla politica nel nostro Paese. Un concetto di legalità non fine a se stesso ma come precondizione dello sviluppo, nel solco del pensiero di grandi uomini che hanno dedicato la loro vita all’emancipazione della Sicilia, come Danilo Dolci e Pio La Torre, o che hanno individuato nella corruzione politica le ragioni della nostra arretratezza, quali Mario Alicata.
Le battaglie di Peppe a difesa delle aree più belle del territorio siciliano aggredite dalla cementificazione, portate avanti con gli amici della Legambiente in una situazione di oggettivo isolamento, hanno contribuito in modo significativo ad avviare quel profondo cambiamento culturale che oggi costringe tutti a confrontarsi con il tema della sostenibilità .
Se il consenso all’abusivismo edilizio alla metà degli anni ’80 era amplissima anche tra le istituzioni ed oggi invece vi è una diffusa consapevolezza di quanto alto sia il prezzo che l’Italia continua a pagare per quel gravissimo fenomeno, lo si deve anche a uomini come Peppe Arnone.
Su tutte, però, consideriamo emblematica la vittoria politica e culturale conseguita per la conservazione della Valle dei Templi che ha garantito prima il prestigioso inserimento nella lista UNESCO dei beni patrimonio dell’umanità e, nell’ottobre 2000, l’istituzione del Parco della Valle: la più grande occasione di sviluppo socio-economico della storia contemporanea della città di Agrigento. A oltre vent’anni dall’inizio di quella battaglia è stato finalmente redatto il Piano del Parco e sono state avviate le acquisizioni delle case abusive, un passaggio certamente doloroso ma inevitabile per ripristinare in maniera compiuta la legalità e il primato dell’interesse collettivo su quello particolare.
Proprio questa sua capacità di considerare la politica uno strumento per migliorare la società e con essa il territorio in cui viviamo ha fatto di Peppe Arnone, ormai da quasi vent’anni, uno dei più importanti punti di riferimento per coloro che credono nella possibilità di vivere in un’altra Sicilia, capace di sconfiggere la mafia e il malaffare. Insomma di presentarsi al futuro con la faccia migliore, quella dei giovani di Addiopizzo o degli imprenditori che si ribellano al racket.
Ma questa, che è una delle storie straordinarie di cui parlavamo prima, contiene in sé il paradosso che da troppi anni sembra attanagliare il centrosinistra, in Italia e, come spesso è capitato nella storia di questo Paese, con maggiore evidenza in Sicilia: piuttosto che tagliare i rami secchi si continua con masochista regolarità a segare quelli che potrebbero rinverdirne la chioma.
Se il Partito Democratico nascente non considerasse le lezioni di Enrico Berlinguer e Pio La Torre, la questione morale e la lotta senza quartiere alla mafia e alle sue collusione con la politica, il terreno sui cui crescere non solo tradirebbe le speranze di quei cittadini che lo hanno votato e sostenuto, ma sarebbe anche irrimediabilmente votato alla sconfitta. E, allo stesso modo, se le battaglie per la moralizzazione della politica condotte da Peppe Arnone continuassero ad essere vissute come un problema piuttosto che un punto di forza, sarà impossibile proporre un’alternativa vera e democratica al modello di società che promana dal berlusconismo.
Noi crediamo che sia questa mancanza di chiarezza nel sostenere l’impegno di Peppe, anzi l’evidente tentativo di larga parte della politica di mettergli i bastoni fra le ruote uno dei motivi principali per cui oggi una larga fascia della società civile, tanti cittadini che sono progressisti, guardano alla politica con disincanto diffidenza e sempre più si orientano verso l’astensionismo, non trovando tra le forze in campo qualcuno che interpreti in modo chiaro e autentico le proprie esigenze di progresso. àˆ l’Italia di coloro che si sentono stranieri in casa come li definisce Ilvo Diamanti, di coloro che alla fine della prima repubblica speravano di poter finalmente vivere in un paese normale. Non è un caso che proprio in quegli anni anche Agrigento fece registrare una grande tensione verso il cambiamento, con una partecipazione popolare mai vista prima, che proprio in Peppe Arnone individuò l’interprete di quella esigenza. Da allora, lo vogliamo esplicitare con estrema nettezza, Peppe è stato il protagonista indiscusso della battaglia per la legalità e della “buona politica” ad Agrigento e il suo onesto e testardo impegno, spesso vincente (si vedano le tante cause contro abusivi e politici corrotti che lo vedono vittorioso), lo ha reso un personaggio “nazionale”, un figlio dell’Italia migliore, ma al contempo contro di lui si sono coagulati tutti gli interessi più retrivi, pericolosi e criminali che agiscono nel suo territorio E di questo tratta questa ultima sua fatica letteraria: ennesima puntata di una battaglia per un futuro migliore che ci vedrà sempre al suo fianco
Francesco Ferrante e Mimmo Fontana