L’Italia a Copenhagen conta quanto investe in ambiente: zero
A guardarla da Copenhagen appare davvero evidente la marginalità , la sostanziale irrilevanza dell’Italia rispetto alle trattative a livello internazionale e in particolare all’andamento e all’esito della Conferenza sul Clima: a decidere sono Stati Uniti, Giappone, Cina, India, Brasile, il gruppo dei Paesi poveri raccolti nel G77, e naturalmente l’Unione europea, dove però il nostro Paese non sembra in grado di svolgere un ruolo da protagonista. Questa nostra ‘minorità geopolitica’, non dovrebbe affatto essere data per scontata, visto che siamo la sesta potenza economica del pianeta, ma al tempo stesso è spiegabilissima: siamo agli ultimi posti in Europa sia nello sforzo per collegare piani anti-crisi e incentivi all’efficienza energetica, alle fonti pulite, alla green economy, sia negli aiuti allo sviluppo dei Paesi del sud del mondo, decisivi per combattere la povertà ma anche per fermare i cambiamenti climatici. Secondo uno studio del gruppo Hsbc il governo italiano nel 2008 ha destinato all’economia verde solo l’1,3% delle risorse impegnate per contrastare la recessione, contro il 16,7% della media europea e il 10% degli Stati Uniti. Al tempo stesso, quest’anno il nostro Paese ha toccato il fondo quanto a risorse per la cooperazione allo sviluppo: meno dello 0,1% del Pil. L’Europa ha deciso inoltre di stanziare risorse ingenti per favorire l’innovazione energetica nei Paesi in via di sviluppo: impegno a cui l’Italia contribuirà con 600 milioni di euro in tre anni – sempre che all’annuncio di Berlusconi segua un provvedimento concreto -, molto meno di quanto è stato dato al sindaco di Roma Alemanno in un solo anno per ripianare i suoi buchi di bilancio. Quello che sembra mancare del tutto al nostro Paese è la consapevolezza che investire in ecosviluppo sia in casa che nel mondo, non è soltanto un imperativo morale: è anche una grande occasione economica per creare lavoro e dare nuovi sbocchi di mercato alle nostre imprese. La questione degli aiuti economici ai paesi poveri è peraltro uno dei punti più controversi in queste ore decisive della trattativa: i delegati dei G77 chiaramente dicono che se abbiamo trovato migliaia di miliardi dio dollari per salvare il nostro benessere dalla minaccia rappresentata dalla crisi finanziaria, non si capisce perché non dovremmo trovare qualche miliardo di euro per affrontare i cambiamenti climatici che mettono a rischio la loro (e la nostra) stessa sopravvivenza.
ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCO FERRANTE