Comunicati

A Copenhagen un accordo-flop

COME MONACO NEL 1938? FALLIMENTO DELL’ONU INDISCUTIBILE,

MA LA LOTTA SUL CLIMA NON FINISCE IN DANIMARCA

 
“Qualcuno nella notte di venerdi’ a Copenhagen ha paragonato il mini-accordo che ha concluso la Conferenza sul clima al patto di Monaco del 1938, che per l’inanità  di Francia e Inghilterra spianò la strada al nazismo. Commento amaro e in parte realistico, ma la lotta sul clima non finisce in Danimarca: bisogna ripartire subito dai  passi avanti comunque compiuti e dalla posizione dell’Europa, che si e’ confermata battistrada nell’impegno per fermare il global warming”. Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, parlamentari del Pd presenti a Copenhagen, hanno commentato cosi’ l’esito della conferenza sul clima. “Il documento finale – hanno detto i due esponenti democratici – e’ largamente al di sotto delle attese e delle necessita’. La scienza continua ad ammonire che bisogna agire subito, mentre nell’accordo non c’e’ nessun obiettivo condiviso di riduzione delle emissioni, né al 2020 né al 2050, nessuna scadenza per la firma di un vero trattato, nessuna forma di controllo internazionale sulle azioni e i risultati dei singoli Paesi. Anche per il modo nel quale è maturato, queso atto finale è deludente e segna un fallimento dell’Onu, che ha gestito in modo pessimo la conferenza a partire dalla scelta inaccettabile di espellere dai lavori le Ong e ha confermato la sua crisi e con essa l’urgenza di una riforma radicale del suo statuto e delle sue modalità  di lavoro”.
Per Della Seta e Ferrante, pero’, “il bicchiere di Copenhagen non è completamente vuoto. Per la prima volta tutti i Paesi del mondo hanno accettato il principio di impegnarsi in un quadro multilaterale per diminuire, seppure su base volontaria, le proprie emissioni dannose per il clima. E per la prima volta un presidente degli Stati Uniti ha messo nero su bianco in una sede internazionale la volontà  di partecipare a questo sforzo, la scelta di farlo anche a prescindere dal raggiungimento di un accordo globale, la convinzione che la lotta ai cambiamenti climatici è oggi condizione irrinunciabile per lo sviluppo. Da qui bisogna ripartire, ed e’ incoraggiante il ‘rilancio’ subito annunciato da Sarkozy e dalla Merkel  per una nuova Conferenza a Bonn nel giugno prossimo”.
 

Copenhaghen: accordo irrilevante, ora subito una ripartenza

ACCORDO POLITICAMENTE IRRILEVANTE. L’EUROPA UNICO SOGGETTO ALL’ALTEZZA DELLA SFIDA CLIMATICA, ORA SUBITO UNA RIPARTENZA

“L’accordo che ha chiuso la Conferenza di Copenhagen e’ politicamente irrilevante: non fissa obiettivi di riduzione delle emissioni, non fissa termini per siglare un vero trattato, non definisce alcun criterio sostanziale per verificare le azioni e i risultati dei singoli Paesi. Piu’ che una tappa nella lotta al global warming, la conferenza danese segna una battuta d’arresto su tale cammino. Ma un accordo vincolante per tutti resta una necessita’ ineludibile, come ha dovuto ammettere lo stesso presidente Obama, e favorire le condizioni per questa svolta dev’essere da oggi la missione di tutti coloro per i quali stabilizzare il clima significa assicurare lo sviluppo e il benessere futuri dell’umanita’. Per questo traguardo non si parte da zero: ci sono novita’ inedite, come la disponibilita’ degli Usa e della stessa Cina a ragionare di tagli alla CO2, e c’e’ la conferma del ruolo dell’Europa come alfiere dell’impegno sul clima, che vede unite destra e sinistra con l’unica, desolante eccezione del centrodestra italiano”.

Il mondo decide, l’Italia lo ignora

Siamo un Paese “extra-territoriale”. Mentre nel mondo per quindici giorni la Conferenza sul clima di Copenaghen ha occupato stabilmente le aperture di giornali e telegiornali, ha invaso le dichiarazioni dei politici, ha mobilitato l’attenzione dei principali decisori economici, da noi l’informazione, la politica, le grandi imprese hanno fatto finta di niente, come se il problema le sfiorasse appena, e quando hanno detto o scritto su Copenhagen spesso hanno mostrato una desolante incapacita di entrare nel merito delle questioni su cui si stanno giocando l’andamento e l’esito del vertice.

La misura di questa nostra “alterità ” è sia quantitativa che qualitativa.

Per esempio, com’è possibile che l’ormai celeberrimo “omicidio di Garlasco”, cioè un caso giudiziario come ce ne sono centinaia ogni anno, diventi con l’assoluzione dell’imputato il tema obbligato di tutti i talk-show e gli approfondimenti televisivi e la prima notizia sui più autorevoli quotidiani d’informazione, mentre Tg1 e Tg2 dedicano al summit sul clima due minuti a fine telegiornale?

In alcuni casi, la distratta sottovalutazione dell’evento danese ha prodotto effetti paradossali. Così, la Repubblica ieri ha affibbiato all’ottimo resoconto da Copenhagen di Antonio Cianciullo un titolo (“Copenhagen verso il flop”) che dice l’esatto contrario di ciò che scrive lo stesso Cianciullo. E così, sempre ieri l’amministratore delegato di Enel Fulvio Conti non un passante ma il capo di una delle più importanti industrie energetiche europee ha dichiarato testualmente che la Conferenza è avviata al fallimento perche non ha coinvolto le imprese: ora, a parte la previsione che sembra piuttosto un auspicio (Enel guida da tempo insieme a Confindustria il fronte degli avversari di ogni accordo vincolante sul clima), bastava che Conti avesse spedito qui qualche suo lobbysta per sapere che di imprese al “Bella Center” che ospita la Conferenza ce ne sono molte, solo che nessuna è italiana. In questa gara a chi è più lontano dallo “spirito dei tempi” difficile dubitare che l’intreccio tra problema climatico e prospettive economiche che domina la discussione a Copenhagen, sia oggi una parte rilevante dello spirito dei tempi , informazione e politica si sostengono e si alimentano a vicenda, come in un gioco di specchi dove non si capisce dov’è l’origine dell’immagine e dove la replica.

Comunque e per fortuna, la Conferenza sul clima va avanti. La chiusura inizialmente prevista per ieri sera, è slittata, e ancora non si è persa la speranza che si giunga a un accordo politico vincolante. Obama e Sarkozy, Lula e Zapatero, Brown e Merkel, Wen Jiabao e Ban Ki Moon hanno passato le ultime ore seduti fianco a fianco a scrivere i termini del documento: che dovrebbe impegnare i Paesi ricchi (Stati Uniti compresi) a ridurre di almeno il 20/25% le loro emissioni entro il 2020 e a finanziare con 100 miliardi di dollari l’anno (sempre di qui al 2020) l’ecosviluppo del Sud del mondo, la Cina e gli altri “giganti” emergenti a quasi dimezzare l’intensità  di carbonio delle rispettive economie, tutti ad accettare qualche forma di monitoraggio delle azioni svolte e dei risultati raggiunti. Il tutto per riportare le concentrazioni in atmosfera dei gas a effetto serra a livelli tali da scongiurare quelle conseguenze sociali ed economiche incontrollabili che deriverebbero da un ulteriore, sensibile aumento della temperatura media trerrestre..

Obama ieri ha detto: “dobbiamo decidere qui ed ora, e la scelta è tra passato e futuro”. Lula ha ammonito che la lotta ai cambiamenti climatici è la sfida decisiva per lo sviluppo e per sconfiggere la povertà . I cinesi hanno rivendicato d’essere già  ora tra i Paesi leader nelle energie rinnovabili. Merkel e Sarkozy spingono perché l’Europa porti dal 20 al 30% il suo obiettivo di riduzione delle emissioni climalteranti al 2020.

Berlusconi, questa volta davvero senza colpe, mancava all’appello, ma la destra italiana era rappresentata dai suoi senatori firmatari della mozione in cui si afferma, letteralmente, che i cambiamenti climatici sono un’invenzione degli ambientalisti.

Saluti dal mondo.

Roberto Della Seta e Francesco Ferrante

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