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Beni culturali: sito UNESCO Tempietto sul Clitunno a rischio per mancanza di fondi

“Il ministro Galan non perda tempo prezioso dispensando consigli inascoltati a Berlusconi su come uscire dal guado, ma si concentri piuttosto sui compiti del suo ministero che per un Paese come l’Italia è di enorme importanza.

Lo sa infatti il ministro che uno dei 47 siti italiani inseriti nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità , il Tempietto del Clitunno, è per la maggior parte del tempo off limits per i tantissimi turisti che vorrebbero visitarlo?”.

Lo dichiara il senatore del Pd Francesco Ferrante, che ha presentato in merito un’interrogazione parlamentare al Ministro dei Beni culturali.

 

 

“Nonostante il prestigioso riconoscimento, che rafforza il primato dell’Italia per  numero di siti iscritti Word Heritage List, si rileva una sconcertante disattenzione da parte del Ministero dei Beni culturali verso il sito del Tempietto del Clitunno, situato nel piccolo Comune di Campello sul Clitunno.

Gli orari di apertura al pubblico del monumento stabiliti dalla Soprintendenza – spiega Ferrante –  mettono addirittura a rischio la permanenza del monumento nella lista UNESCO, dato che solo tre pomeriggi a settimana non garantiscono il requisito fondamentale per l’UNESCO della fruibilità  dei beni.

Finora ha supplito a questa mancanza lo stesso comune di Campello, che ha  provveduto a pagare gli straordinari dei dipendenti dei Beni culturali addetti al sito e ha anche avviato un progetto di marketing territoriale per incrementare i flussi turistici.

Occorre superare però questa situazione paradossale, e dunque – conclude Ferrante – o il ministro Galan stanzia i fondi necessari per rendere pienamente fruibile il sito, o si attiva per  trasferire la proprietà  del Tempietto, anche in funzione dei grandi sforzi messi in campo per iscrivere il monumento come Patrimonio dell’Umanità  Unesco, al Comune di Campello

Ponte sullo stretto: chiudere la S.p.a.!

“Se in Italia c’è una grande opera di cui quasi nessuno, a ragione, sente l’utilità  è proprio il progetto del Ponte sullo Stretto, che, se mai dovesse essere realizzato, costerebbe la cifra stellare di 6 miliardi di euro. Dopo decenni di spreco intollerabile di denaro pubblico per progetti, consulenze varie e farsesche pose della prima pietra è giunto il momento di sciogliere la Stretto di Messina s.p.a, e fermare questo intollerabile drenaggio di risorse e fondi”. Lo dichiarano i senatori del Pd Francesco Ferrante e Roberto Della Seta, che aggiungono – “Abbiamo presentato un disegno di legge per sopprimere la Società , che già  nella scorsa legislatura era ad un passo dal chiudere definitivamente, ma che l’allora ministro Di Pietro preferì tenere in vita, e che perciò ha continuato ad essere un bancomat alimentato dai soldi degli italiani, con un esborso di soldi pubblici di  circa 200 milioni di euro.
In considerazione della situazione drammatica che il nostro Paese sta attraversando sarebbe da irresponsabili buttare ancora denaro nel pozzo del progetto del Ponte, e sarebbe intollerabile agli occhi dell’opinione pubblica”.
“Dunque – concludono i parlamentari del Pd –  chiediamo un impegno bipartisan, specie di chi da sempre osteggia quest’ opera inutile, per chiudere la Stretto di Messina s.p.a e utilizzare i fondi per opere realmente utili al Paese”.

Acqua: antitrust vigili, notizie preoccupanti

“Sull’acqua si susseguono notizie preoccupanti e contrastanti. L’Antitrust vigili”. Lo chiede il sen. Francesco Ferrante, responsabile per  Partito Democratico delle politiche relative ai cambiamenti climatici.
“I quotidiani di oggi da una parte raccontano del presunto tentativo di ridiscutere il referendum che ha abrogato la privatizzazione dell’acqua; dall’altra di grandi imprenditori che, complici anche le basse quotazioni, continuerebbero ad acquistare azioni di una società  di erogazione dell’acqua”. 
“Notizie gravi che destano preoccupazione e su cui ci auguriamo la massima vigilanza. Nessuno tenti di ribaltare o invalidare la scelta di milioni di italiani che sull’acqua hanno dato una risposta chiara e inequivocabile: deve continuare ad essere un bene pubblico”.
 

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