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Rinnovabili: Romani nasconde bacchettata dell’Europa

Dall’Europa una bacchettata al governo italiano sugli incentivi alle fonti rinnovabili. Nella lettera ufficiale che  il commissario europeo all’Energia Oettinger ha indirizzato a Romani, che il ministro vorrebbe tenere ben chiusa in un cassetto, si esprime infatti preoccupazione per le modifiche alla disciplina degli incentivi alle rinnovabili e sulle conseguenze nel settore a livello europeo”. Lo rende noto il senatore Francesco Ferrante, responsabile per il PD dele politiche relative ai cambiamenti climatici.
“Oettinger – continua Ferrante – senza giri di parole comunica al ministro Romani che ‘le modifiche alla disciplina degli incentivi per le rinnovabili che compromettono direttamente o indirettamente investimenti in corso sollevano serie preoccupazioni tra gli investitori, sia nazionali che internazionali. Le conseguenze di tali modifiche sugli investimenti nel settore europeo delle rinnovabili destano la mia preoccupazione’. Oettinger scrive inoltre di avere ricevuto segnalazioni preoccupate da un elevato numero di operatori sul decreto legge del governo italiano in relazione alle modifiche degli incentivi per il solare fotovoltaico”.
“La lettera – aggiunge Ferrante – si conclude con un fermo quanto cortese invito a intraprendere gli sforzi nella giusta direzione e alla cautela per quanto riguarda gli effetti retroattivi che possono avere provvedimenti punitivi. àˆ la conferma che l’Europa guarda in una direzione, quella dello sviluppo delle rinnovabili e della green economy, e il governo di Berlusconi rema invece contro. Romani e Prestigiacomo se ne rendano conto , non insistano su una strada che li isola in Europa e nel mondo e , concretamente, nel nuovo decreto che stanno per emanare salvaguardino gli investimenti già  avviati, riducano le tariffe incentivanti in maniera sostenibile, e – conclude Ferrante – copino il modello tedesco, quello che funziona meglio in Europa, senza imporre alcun tetto di potenza agli impianti”.
 

Per il Forum ora le rinnovabili sono il nemico

Il presidente del Forum nucleare italiano Chicco Testa è tornato oggi ad esternare sull’energia atomica, dopo che lo stesso giorno del drammatico terremoto giapponese dichiarò con sicumera che ‘gli impianti nucleari hanno dimostrato di tenere botta, chi trae spunto dalla tragedia che ha colpito il Giappone per dare vita a una polemica politica è uno sciacallo’.

Mentre pare superfluo ricordare che la zona di Fukushima dopo il disastro nucleare sarà  una landa deserta per decenni, bisogna invece registrare il fatto che Testa sembri voler fare a gara col ministro Romani nel dare cifre a caso sui costi delle rinnovabili in Italia”.

Lo dichiarano i senatori del Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante.

“Il presidente del Forum nucleare continuano i parlamentari – sembra aver individuato nelle rinnovabili il nemico, mentre sino al disastro nucleare giapponese le considerava complementari all’atomo.Non si comprende poi bene quali siano le cifre dei costi delle rinnovabili di cui ha parlato Testa, ma per fare chiarezza basti dire che in Germania il costo sostenuto per sostenere le rinnovabili è di oltre 9 miliardi, oltre 3 volte il dato italiano, mentre negli ultimi 10 anni una cifra tra i 40 e i 50 miliardi di euro è stata sborsata a favore di petrolieri e produttori di energia elettrica da fonti fossili con il famigerato CIP6, oltre ai circa 2 miliardi che ancora spendiamo a causa del mancato collegamento elettrico tra Calabria e Sicilia e per i contratti che prevedono la cosiddetta ‘interrompibilità ‘ a favore dei grandi consumatori di energia.”

“Comunque concludono i senatori del Pd – abbandonata ora la strada dell’avventura nucleare, l’Italia deve dare nuovo slancio all’innovazione energetica fondata su risparmio energetico e fonti rinnovabili.”

L’Europa è nuda

Quando la realtà  si vendica della demagogia è sempre un passo avanti, una ventata d’igiene culturale. Così in queste settimane, con l’arrivo sulle nostre coste di un flusso – per ora contenuto nei numeri, ma vistoso – di cittadini provenienti dal Nord Africa in ebollizione. Questo semplice dato di realtà  ha sbriciolato in un attimo la retorica leghista sullo stop senza se e senza ma all’immigrazione “clandestina”, costringendo in particolare il Ministro dell’Interno a rovesciare in poche ore le argomentazioni propinate per anni. Dopo aver soffiato sul fuoco dell’emergenza Lampedusa, lasciando che sull’isola la situazione scoppiasse per rendere plausibile la bufala di un’Italia sotto invasione, ora improvvisamente Maroni cambia faccia: niente più distinzione tra “profughi” e “clandestini”, un totem leghista, perché sennò bisognerebbe chiedere di aprire 20 mila procedimenti giudiziari per il reato di immigrazione clandestina e cadrebbe la possibilità  di far circolare nell’area Shengen le migliaia di migranti cui viene rilasciato un permesso di soggiorno temporaneo; non più l’antieuropeismo esibito quando Bruxelles ci bacchettava sui respingimenti in mare o sulla schedatura dei Rom, anzi Maroni davanti al Parlamento si trasforma nell’avatar di Spinelli teorizzando che l’Europa o è una e compatta oppure non ha futuro. Salvo poi rimettere i panni dell’estremismo leghista ed evocare per l’Italia, addirittura, l’uscita dall’Europa, “che salva le banche ma lascia gli italiani in balìa dell’orda barbara”. 

Che spettacolo, davvero! Intanto, oltre le giravolte e le sparate, resta la vergogna nazionale per come abbiamo accolto, si fa per dire, poche migliaia di persone disperate. E resta la speranza che la sinistra, qualche volta tentata di rincorrere la Lega sul terreno della demagogia anti-immigrati, capisca che su quella strada non arriva da nessuna parte: non conquista nuovi consensi “moderati”, perché chi chiede la faccia feroce contro gli immigrati preferisce l’originale dei leghisti alla fotocopia sbiadita di qualche sindaco Pd che dice le stesse cose solo con un linguaggio meno aspro; e rischia di perdere l’anima, e con l’anima un bel po’ dei suoi elettori tradizionali. 

Ma soprattutto, restano domande impegnative su cosa fare d’ora in avanti. La vicenda dei boat-people che partono dalle coste del Nord Africa diretti in Europa è un dramma, da qualsiasi lato lo si guardi: per le centinaia di vittime sepolte in mare, per la disperazione sui volti e nel cuore di chi riesce a sbarcare sano e salvo, per il business orrendo di chi guadagna sul commercio di carne umana. Ed è un dramma che rivela quanto l’Europa, oggi, sia un “re nudo”. Che balbetta di fronte ad un grande evento epocale com’è il risveglio civile del mondo arabo, immiserendo se stessa in guerricciole diplomatiche di basso profilo in cui Roma fa una pessima figura ma Parigi o Berlino o Londra non le sono da meno. Che spera di cavarsela riproponendo criteri di analisi e d’intervento – come la distinzione tra profughi di guerra e migranti economici – del tutto insensati: per cui sarebbe mosso da una condizione di urgenza umanitaria solo chi scappa da una guerra civile, ma non chi fugge via da Paesi dove oggi non c’è governo, non c’è lavoro, spesso non c’è pane. 

L’Europa è nuda perché incapace di guardare in faccia la realtà . La costa nord e quella sud del Mediterraneo sono troppo vicine in miglia marine per essere così lontane quanto a ricchezza e benessere: troppo vicine per pensare di arrestare movimenti migratori imponenti e strutturali, troppo vicine per non vedere che questi movimenti continueranno finché la distanza socio-economica tra le due sponde del “mare nostrum” resterà  abissale. 

O meglio un modo spiccio per fermare i migranti c’è, e proprio l’Italia l’ha sperimentato con successo: è quello di affidarsi a regimi polizieschi come la Libia di Gheddafi, che li sistemava nei suoi campi di concentramento. 

Ma se nel Nord Africa vince la democrazia, anche una democrazia parziale e imperfetta, allora rimarrà  solo un’altra via d’uscita: un vero “Piano Marshall” per fare in modo che tra le rive del Mediterraneo la distanza socio-economica si accorci rapidamente, che i paesi del Nord Africa si avvicinino economicamente ai nostri come vicinissimi ci sono già  quanto a geografia. 

Qui si rivela la pochezza europea, qui si rivela l’inadeguatezza ancora più drammatica del Governo italiano; che mentre inseguiva Bossi nell’idea che l’immigrazione è il male assoluto, al tempo stesso ha portato ai minimi storici i contributi per la cooperazione allo sviluppo. Per aiutare i Paesi poveri a svilupparsi, l’Italia ha impegnato nel 2010 lo 0,15% del Pil: che vuol dire il livello più basso da decenni, e vuol dire meno in termini assoluti di quanto stanzia la Danimarca che ha un decimo della nostra popolazione. Siamo lontanissimi dall’obiettivo europeo dello 0,51% e siamo l’unico tra i grandi Paesi dell’Unione dove il trend degli aiuti allo sviluppo è in discesa: basti dire che per sostenere la crescita dei Paesi africani spendiamo molto meno di quello che abbiamo dato a Gheddafi come compensazione per il suo lavoro sporco di “gauleiter” a guardia dei migranti. 

Invece proprio noi, “porta” principale dell’Europa per chi fugge dall’Africa, per garantire davvero l’interesse nazionale di fronte alle dinamiche inarrestabili della globalizzazione, dovremmo essere i più prodighi negli aiuti allo sviluppo: sapendo che non si tratta di beneficenza, ma di una polizza di assicurazione mille volte più pragmatica delle grida demenziali, qualche volta criminali, di chi vorrebbe i migranti “fà¶ra da i ball”. 

 

ROBERTO DELLA SETA 

FRANCESCO FERRANTE 

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