Comunicati

Il futuro energetico

Articolo uscito sul mensile Paneacqua
I paesi maggiormente lungimiranti e più solidi hanno ammesso che il disastro dei reattori Tepco fosse il capolinea dell’utilizzo di una fonte energetica non più sostenibile. Occorre investire nelle rinnovabili

Che lo strumento del referendum in Italia, nel corso degli ultimi anni, sia diventato quello che nella politica anglosassone è definito lame duck è un dato di fatto, a causa della cronica difficoltà  a raggiungere il quorum. Una montagna da scalare difficilissima, perché è un a partita con il trucco. Chi vuol far fallire il referendum parte impropriamente (dal punto di vista della democrazia) avvantaggiato perché può contare sullo “zoccolo duro” degli astensionisti cronici (ahimè in numero sempre crescente e anche questo un bell’interrogativo per la democrazia)
Ma che alla papera in questione potesse sparare addosso a pallettoni il Governo per farla fuori del tutto cambia radicalmente la questione, mutando il quadro sull’uso e sui fini della consultazione referendaria, che viene declassata dal governo a pericoloso strumento della oclocrazia, e dunque depotenziato e surrogato.
Per dirla semplice, il Governo Berlusconi si avviava fino a poche settimane fa a stabilire forse un record, ovvero quello di riportare la maggioranza degli elettori a votare al referendum.
I quesiti proposti suscitano più o meno largo interesse fra i cittadini, e, inutile negarlo,  la tragica vicenda di Fukushima ha contribuito a rafforzare negli elettori la necessità  di dover esprimersi sul ritorno al nucleare, perché in ballo c’è una questione che può avere ripercussioni anche sulle generazioni a venire.
Ebbene, fino a pochi giorni prima dell’undici  marzo la strategia del Governo era stabilita: la data balneare era stata fissata, i milioni dell’election day erano andati a farsi benedire, e per quanto riguarda il quesito sul nucleare era stato calato l’asso dell’illustre e rassicurante oncologo a garanzia della bontà  dell’operazione,mentre  era quasi a pieno regime la macchina del Forum nucleare.
Purtroppo quel tragico giorno di marzo il popolo giapponese ha dovuto affrontare una delle prove più dure della sua storia recente, e nel mondo si è preso coscienza che Fukushima fosse lo spartiacque epocale delle politiche energetiche moderne, mentre in Italia, dopo alcune imbarazzanti e vergognose dichiarazioni rilasciate da ministri, esperti ed ex ambientalisti, sono seguiti giorni di sbandamento e confuso riposizionamento.
I paesi maggiormente lungimiranti e più solidi hanno ammesso che il disastro dei reattori Tepco fosse il capolinea dell’utilizzo di una fonte energetica non più sostenibile, e che si stesse profilando l’opzione zero.
Come si diceva invece, nel nostro Paese il Governo e tutto il fronte nuclearista cercava di tenere a galla la barca che affondava con un incomprensibile appello a non farsi sopraffare dall’emotività , come se notizie che giungevano dal Giappone, che prospettavano una sostanziale desertificazione atomica di una ampia zona circostante Fukushima, fossero il risultato di un’isteria collettiva e non i dati incontrovertibili dell’Aiea e dello stesso governo nipponico.
Così in Italia ha preso forma lo scippo istituzionale, ovvero la messa sotto tutela dei cittadini ritenuti incapaci di intendere e volere cui viene sostanzialmente congelato il diritto di voto, grazie ad una moratoria sulla politiche nucleare rinviata a sine die, e un emendamento al decreto omnibus che abroga le norme relative all’atomo.
Invece sappiamo che sull’argomento i cittadini capiscono bene eccome, e il Governo ne era pienamente consapevole.
Del resto i sondaggi, strumento che Berlusconi utilizza da sempre con abilità , parlano chiaro: nei giorni immediatamente successivi all’incidente di Fukushima si sono raggiunti livelli bulgari di contrarietà  al nucleare, con il 75% , ovvero 3 italiani su 4, decisi a dire al ritorno dell’atomo in Italia. Ma questi dati non sono un exploit degli ultimi tempi, perché nel giugno 2008, quando del tema si parlava in maniera molto astratta, i favorevoli erano il 51 per cento. Nell´ottobre 2010 erano crollati al 29 per cento.
Come a dire, più se ne parlava, più gli italiani prendevano coscienza del pericolo e dei costi esorbitanti.
Ora a credere in quel rinascimento nucleare, che non ha mai fatto preso sugli italiani, in maniera politicamente trasversale, sono rimasti in pochi, e dunque il Governo ha deciso la fuga dal referendum per evitare l´emorragia di voti che ha penalizzato la destra tedesca, azzerando senza una spiegazione il progetto industriale a cui, a parole, aveva affidato il futuro energetico del Paese. Una scelta da furbetti del quartierino, è ovvio, confezionata  per non perdere consensi alle amministrative e per cercare di limitare l´afflusso al referendum sul legittimo impedimento, cioè su Berlusconi.
Paradossalmente, al netto delle dichiarazioni di Berlusconi che lasciano aperta la porta al nucleare fatte al cospetto di Sarkozy, e dell’industria nuclearista francese che attendeva come manna dal cielo il ritorno dell’atomo in Italia, attualmente l’unica politica energetica messa a punto dal governo è quella sulle fonti rinnovabili.
Il famigerato decreto Romani, che si è abbattuto come una mannaia su aziende, operatori italiani e stranieri, migliaia di lavoratori, è infatti l’unico atto concreto di questo governo in materia energetica.
Quasi superfluo ricordare come il succitato decreto sia stato uno sconsiderato attacco frontale alle stesse fonti che avrebbe dovuto regolare e incentivare, perché organico ad una politica eterodiretta da quell’industria energivora e a quel disegno nuclearista che il precipitare degli eventi ha mandato in soffitta.
Al momento non sappiamo ancora se saremmo chiamati a votare o meno sul quesito nucleare, o su una parte di esso, ma lasciando da parte l’ennesimo scempio di democrazia dell’epopea berlusconiana occorre invece guardare oltre per quanto riguarda il futuro energetico del nostro Paese.
Quel futuro sono chiaramente le energie rinnovabili, le cui potenzialità  sappiamo bene essere enormi e che sono sempre più tangibili.
Quello su cui vorrei invece invitare a riflettere è il potenziale democratico di queste fonti: la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili come quella eolica e solare, ma anche geotermica, dipende ovviamente dallo sviluppo tecnologico. Maggior sviluppo tecnologico, maggior rendimenti energetici, maggiore produzione e disponibilità  energetica a costi di mercato sempre più accettabili, e sempre più localizzata.
In Germania questo trend è efficacemente descritto da uno slogan coniato dalla stampa specializzata, dal sapore vintage ma azzeccato: power to the people, perché in Germania più della metà  dei 43 GW di fonti di energia rinnovabile appartiene alla popolazione, energia decentrata e democratica nelle mani dei cittadini.
Le rinnovabili sono infatti molto localizzate e per questo tolgono spazio ai monopolisti.

Non stupisce dunque più di tanto la campagna contro le energie rinnovabili, basata su un uso distorto, se non falso, dei dati relativi ai costi degli incentivi, ma che comunque sia ha solo rallentato la corsa di un nuovo modo di concepire la produzione e l’uso dell’energia.

FRANCESCO FERRANTE 

Referendum: sventato scippo di democrazia

“Sventato lo scippo di democrazia, la Cassazione restituisce ai cittadini
il diritto di voto che i furbetti del quartierino avevano vergognosamente
tentato di sottrarre agli italiani.
Ora occorre  una grande mobilitazione nei prossimi 10 giorni per andare a
votare Si ai 4 quesiti in programma col referendum del 12 e 13 giugno e per
vincere un’altra battaglia di civiltà “.
Lo dichiarano i senatori del Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante,
che aggiungono: “La Suprema Corte restituisce la parola agli elettori con
una decisione ineccepibile, una lezione di diritto e democrazia a questo
Governo arruffone che aveva imbastito una legge truffaldina, incompleta e
imprecisa.
Il Governo  temendo il giudizio dei cittadini aveva platealmente strappato
di mano agli elettori la scheda del referendum, buttando la palla in
tribuna in attesa di tempi migliori.
Ma ormai anche i sostenitori più accesi del ritorno all’energia atomica
devono ammettere la velleità  dei loro progetti, schiantati dalla notizia
clamorosa, ma non del tutto inaspettata, che la Germania ha scelto di
arrivare a l’opzione zero in tempi ravvicinati. Per tre anni questo Governo
non ha avuto alcuna politica energetica se non quella di sventolare questo
folle ritorno al nucleare fuori tempo massimo: votando sì al referendum si
metterà  la parola fine a questo progetto, per poi pensare a fare finalmente
un nuovo piano energetico per questo Paese basato su efficienza  energetica
e fonti rinnovabili”, concludono i senatori del Pd.

Il nuovo che ri-avanza

Il disastro elettorale di Pdl e Lega ha rotto due incantesimi che duravano con rare eccezioni (per lo più solo apparenti) da almeno dieci anni.

Primo incantesimo: l’idea che il centrodestra berlusconiano fosse molto più adatto e bravo del centrosinistra a compenetrarsi con le convinzioni e i sentimenti profondi degli italiani.  Idea radicatissima in tutti noi “progressisti”, il più delle volte accompagnata quasi a mo’ di consolazione dal “complesso dei migliori”: come dire “noi siamo molto meglio degli altri, ma gli italiani sono in maggioranza rozzi e ignoranti e per questo non ci amano”.  Oggi per la prima volta dopo molto tempo, non è così. Oggi per la prima volta vediamo che la destra non riesce a capire il Paese, e scopriamo di essere noi più vicini agli italiani. Più vicini in molte convinzioni: l’urgenza di politiche economiche che di fronte alla crisi economica, e al rischio evidente che il declino italiano diventi inarrestabile, spingano lo sviluppo oltre a presidiare l’equilibrio dei conti pubblici; l’urgenza di dare risposte concrete al disagio giovanile che cresce; l’insensatezza del programma di ritorno al nucleare e in generale la necessità  di dare molto più peso alla tutela dell’ambiente e dei beni comuni. Ci scopriamo più vicini agli italiani anche in alcuni sentimenti, primo fra tutti il disgusto davanti allo spettacolo, anticipato molti mesi fa da Veronica Lario e ormai conclamato,  del drago-Berlusconi cui vengono offerte in dono decine di giovani vergini  (noi, ingenui, pensammo allora a una metafora…).

Anche un secondo incantesimo s’è rotto con questo voto. Quello che mostrava come inarrestabile l’ascesa della Lega e la sua tracimazione al di sotto del Po, l’incantesimo che consentiva ai leghisti un perenne doppio incasso, come partito di governo e potere e come partito di lotta. Che permetteva loro, senza pagare alcun pegno politico e anzi continuando a crescere nei consensi, di votare a Roma per la privatizzazione dell’acqua e di strillare in Padania contro l’acqua ai privati, o di approvare con Zaia ministro norme ultra-centraliste in materia di ritorno al nucleare salvo poi irriderle qualche giorno dopo con Zaia governatore del Veneto.  Questo gioco sembra avere perso di efficacia, la Lega di lotta e di governo frana da Novara a Pavia, da Milano alla stessa Varese dove pure riesce a salvare il suo sindaco.  
Ma il terremoto elettorale fa giustizia anche di alcuni luoghi comuni largamente frequentati nel centrosinistra. Come il ritornello che destra e sinistra siano categorie ormai prive di senso. Non hanno senso, sicuramente, un’idea di destra e un’idea di sinistra che restano imprigionate nel Novecento, ma raramente un risultato elettorale ha evidenziato con tanta chiarezza a Milano come a Napoli, a Cagliari come a Trieste, la dialettica tra due visioni polarizzate di ciò che serve al buon governo delle città  e del Paese. E poi, questo davvero lo speriamo, la sconfitta del centrodestra spazza via un’altra storiella mai verificata nei fatti eppure durissima a morire: che il centrosinistra per essere competitivo debba nascondersi dietro la faccia di leadership moderate. E’ vero quasi il contrario: i successi  più vistosi e sorprendenti li abbiamo ottenuti dove ci siamo affidati a leader radicali, a figure – Pisapia, De Magistris, Zedda –  che da una parte sono tutt’altro che “impolitiche” (forse sta declinando anche il”mito” del candidato prestato dalla società  civile?) ma che sono incarnate da veri outsider, lontani dal cursus honorum degli apparati di partito, portatori di visioni di profondo cambiamento, di decisa discontinuità , di “buona politica”. Figure, va detto, senza esperienza amministrativa alle spalle, e che ora devono dimostrarsi all’altezza della prova del governo; e però politici capaci, questo è evidente, di calamitare i voti cosiddetti moderati assai meglio degli stessi candidati centristi: Pisapia preferito alla Moratti – così dicono le analisi elettorali dei risultati del primo turno – dal “popolo delle partite Iva”, De Magistris plebiscitato dagli elettori del Terzo Polo.

Queste leadership, dunque, sono state vincenti non perché segnate da un’impronta antagonista o estremista, tant’è che il loro successo non è accompagnato da analoghi exploit di Sel o dell’Italia dei valori, ma per il loro carattere innovativo: lo stesso sapore di novità , di rifiuto delle candidature di apparato, che ebbe tre anni fa la vittoria imprevista di Matteo Renzi nelle primarie di Firenze. La riuscita elettorale di tutti questi “laboratori”, pure per una parte nati fuori dal Pd, evoca assai bene l’originaria “vocazione maggioritaria” del Partito democratico fatta dell’ambizione di dare forma e forza a un riformismo radicale, nutrito di parole e valori – ambiente ed economia verde, nuovi diritti, bisogni giovanili, buona politica, le primarie come strumento irrinunciabile per un grande partito popolare – certo generici, come sono sempre le basi per costruire un’identità  politica, ma contemporanei. Da qui, ci auguriamo, ripartirà  il Pd, e allora davvero queste belle giornate possono annunciare un nuova, bella e lunga stagione.

Roberto Della Seta                                                                                                                                       Francesco Ferrante

1 273 274 275 276 277 605  Scroll to top