Comunicati

Agricoltura: Fazio ritiri subito decreto su pesticida molto pericoloso

“Molti agricoltori italiani stanno utilizzando in questo periodo un pesticida a base di ‘1,3-dicloropropene’ che l’Istituto Superiore della Sanità  ha stabilito poter essere molto pericoloso per la salute umana, in particolare per quella dei bambini, oltre che  per gli animali e l’ecosistema, e che la Commissione europea ha ripetutamente rifiutato di autorizzare.E’ gravissimo pertanto che l’utilizzo di questa sostanza sia stato autorizzato con un Decreto del Ministero della Salute del 13 Luglio 2011.”
Lo dichiara il senatore del Pd Francesco Ferrante, che ha presentato un’interrogazione parlamentare urgente per richiedere l’immediato ritiro del decreto e dunque il divieto a utilizzare il diserbante.
“In base al decreto – aggiunge Ferrante –   tra il 13 luglio 2011 e il 9 novembre 2011, è autorizzata  la disinfestazione dei terreni agricoli destinati alla produzione di carote, pomodoro in serra, melanzana in serra, peperone in serra, zucchino e fragola.
Per quattro mesi dunque il Ministero della Salute concede una deroga agli agricoltori, e contestualmente deroga al proprio dovere di salvaguardare la salute dei cittadini.
Qui non si mette in discussione l’esigenza degli agricoltori di preservare le colture, ma l’uso improprio e pericoloso dei pesticidi ha effetti gravissimi e immediati sull’ecosistema, ed è dannoso nel medio e lungo periodo per la salute umana”.
“Occorre un uso sostenibile dei pesticidi in agricoltura, in base al principio di precauzione per preservare la salute umana, in particolare quella dei bambini, perché i rapporti sulla qualità  dei prodotti agricoli certificano sempre un maggior ‘inquinamento’ sulle nostre tavole.
Fazio – conclude Ferrante – ritiri immediatamente il decreto, perché è inconcepibile che il ministero della Salute autorizzi l’uso di una sostanza così potenzialmente pericolosa”.

Rinnovabili: Governo ostacola anche biometano

“Dopo  il  fotovoltaico  il  Governo  mette i bastoni tra le ruote anche al biometano?  L’avversione  di  questo Governo per  le energie rinnovabili ha causato  danni  enormi al sistema paese, ed ora a farne le spese rischia di essere  il  settore  del  biogas  che  già  mostrava possibilità  di sviluppo promettente,  che  non  può  più  programmare  investimenti se il Governo e l’Autorità  per l’energia elettrica e il gas non emaneranno il decreto sugli incentivi  e la delibera relative alle condizioni tecniche per l’erogazione del  servizio  di  connessione  di impianti di produzione di biometano alle reti del gas naturale”.
Lo  dichiara  il  senatore Francesco Ferrante, responsabile per il Pd delle politiche  relative  ai  cambiamenti climatici, che ha presentato in merito un’ interrogazione parlamentare.
 “Il biogas – continua Ferrante – è una fonte energetica  dalle grandissime potenzialità ,  e  in  Italia a inizio 2011 si contavano più di 500 impianti per  una  potenza  di oltre 550 MW e una produzione annua di circa 2,9 TWh, che  ci  pone al 3° posto in Europa dopo la Germania  e il Regno Unito, con un volume d’affari  stimabile in oltre 900 milioni di euro.
Ma  il  settore  ora  è  in una situazione di impasse perché già  un mese fa l’Autorità   per  l’energia  elettrica e il gas doveva emanare le specifiche direttive  previste  nel  Decreto  Legislativo  di  marzo  sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili.
Mentre   ieri  sono  scaduti  i  termini  che  i  ministeri  dell’Economia,
dell’Ambiente   e   dell’Agricoltura   avevano  per  attuare  le  direttive
sull’incentivazione del biometano immesso nella rete del gas naturale”.
 “Questo  Governo,  ridotto  a  salvarsi solo attraverso fiducie imposte al Parlamento,  non perde occasione per mostrare la sua lontananza dalle fonti rinnovabili   e   dallo   sviluppo   di  un  mercato  energetico  libero  e
concorrenziale, che invece – conclude Ferrante –  sarebbe l’unica strada da percorrere   senza  fermarsi  ad ascoltare vecchie sirene come quelle degli industriali  energivori  che  anche  ieri si sono attardati a lamentare ‘un insostenibile  caro  energia’,  inesistente  e  certamente non attribuibile all’incremento  delle  rinnovabili  che hanno invece avuto un utile effetto calmiere”.

Ma è un sì a scatola chiusa

Ieri in Senato anche noi abbiamo votato sí al decreto sulle missioni militari all’estero. Lo abbiamo fatto esclusivamente per disciplina di gruppo, perché così è stato deciso da un’Assemblea che ha preceduto il voto finale. E lo abbiamo fatto molto a malincuore, perché non condividiamo buona parte dei contenuti del decreto. Senza l’appello alla disciplina – che abbiamo accolto ma che ci piacerebbe venisse replicato in tutte le occasioni come purtroppo non avviene – non avremmo votato il decreto non per astratte ragioni di coscienza, ma per motivi di merito politico: perché si ostina – nonostante la cooperazione sia paradossalmente nel titolo stesso – a dedicare alla cooperazione le briciole (in questo caso appena l’1,89 % del finanziamento), perché non consente di distinguere tra missione e missione. Pur condividendo la posizione del Partito democratico sulle linee di impegno e di responsabilità  che devono caratterizzare stabilmente la politica estera italiana, non avremmo voluto che il Pd, per un eccesso a nostro avviso di spirito bipartisan, approvasse un “burocratico” rifinanziamento delle missioni senza alcun approfondimento del senso e degli impegni richiesti. Noi vorremo invece che si mettesse finalmente mano al disegno di legge costituzionale presentato insieme a numerosi altri colleghi che normi finalmente le missioni all’estero. Vorremmo che per il Pd non sia negoziabile la necessità  di affiancare sempre, anteporre addirittura almeno in alcuni casi, la cooperazione di pace alle operazioni militari di peace keeping. Per tutto questo e altro ancora non avremmo votato questo decreto, che nonostante gli apprezzabili sforzi dei nostri colleghi del Pd nelle Commissioni Esteri e Difesa che hanno almeno impedito un ennesimo scippo ai fondi della cooperazione, resta ampiamente al di sotto delle necessità ; e siccome si sta parlando di questioni per le quali quotidianamente vi sono morti sia tra i ragazzi  italiani impegnati come militari in quelle missioni, sia  tra i civili di quei disgraziati Paesi, l’inadeguatezza del provvedimento diventa drammatica. Questo nel merito. Ci dispiace che le nostre tesi, sostenute da almeno un’altra dozzina di senatori democratici, non siano state condivise dal Gruppo del Pd, e che nemmeno si sia compreso che questo nostro dissenso può essere una ricchezza per un partito davvero plurale (dove plurale vuol dire “grande” e capace di contenere posizioni diverse, e non “fatto di correnti”

come ahimè troppo spesso s’intende).

La scelta imposta a noi dissenzienti è sbagliata nel merito e anche nelle forme, perché basata su un criterio – la disciplina di gruppo – che di solito non viene fatto valere. Naturalmente questo che consideriamo un errore non ci impedirà  di continuare a impegnarci affinché una cultura autenticamente nonviolenta non solo trovi cittadinanza nel Pd, ma ne diventi attitudine prevalente.

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