Comunicati

Con #salvaiciclisti 28 aprile a Roma, si ascolti appello ai cittadini

“Il movimento  #salvaiciclisti rappresenta una campagna di civiltà  e una formidabile forma di impegno da parte di migliaia di cittadini, che con l’appuntamento di sabato 28 aprile ai Fori Imperiali metterà  in connessione Roma e Londra, nel segno della mobilità  sostenibile e della sicurezza per i ciclisti. I sindaci, che hanno la responsabilità  delle politiche sulla mobilità  sostenibile, ascoltino l’appello dei cittadini, per  rendere le città  più sicure per chi pedala e cammina”. Lo dice il senatore del Pd Francesco Ferrante, primo firmatario di un disegno di legge a sostegno della sicurezza dei ciclisti che ha avuto, con l’eccezione della Lega,  una larga adesione trasversale in Senato.
 “La politica e le amministrazioni locali – continua Ferrante – devono  ascoltare l’appello dei cittadini, perché occorre intervenire per fermare quella che e’ una vera strage, cioè i 2.556 ciclisti che sono state vittime della strada in Italia negli ultimi 10 anni. Bisogna passare ad un approccio alla mobilità  diverso nelle nostre città , perché la bicicletta non può rimanere confinata alle domeniche senza auto o essere il mezzo di trasporto di temerari che affrontano, come abbiamo visto con un sopralluogo fatto con colleghi e ciclisti, strade nel centro di Roma su cui le auto sfrecciano a 70- 80 km/h . Bisogna dotare le città  di una rete capillare di piste ciclabili, e con il nostro disegno di legge si può fare a costo zero per le casse dello Stato, ma ancora più urgente – conclude Ferrante – è l’introduzione dell’obbligo del limite di 30 km/h di velocità  massima nelle aree residenziali sprovviste di piste ciclabili”.

Amnistia, ma non solo

I numeri delle carceri italiane sono penosamente noti. O almeno dovrebbero esserlo, dato che si parla della vita di decine di migliaia di persone. Della vita che molti, anche per le  condizioni indegne di detenzione, si tolgono per disperazione. Le ultime lugubri cifre tratte dal Dossier “Morire di carcere” di Ristretti Orizzonti recitano così: 20 detenuti suicidi da inizio anno, 57 il totale delle morti in cella. Un suicidio ogni 5 giorni, un decesso ogni 2. L’età  media dei detenuti che si sono tolti la vita è di 35 anni, 6 erano stranieri e 14 italiani. Altre 23 persone sono morte in cella per “cause naturali” (avevano un’età  media di 40 anni), mentre su 14 decessi sono in corso indagini volte ad appurarne le cause. Impressionante la “serie storica”: dal 2000 ad oggi sono 712 i detenuti che si sono suicidati (58 di media l’anno) e 1.990 il totale dei decessi in carcere (160 di media l’anno). Nello stesso periodo nelle carceri della Turchia, dove sono rinchiusi circa 100mila detenuti, i decessi sono stati poco meno di 1.000 (dati del Consiglio d’Europa).

Quest’ultimo raffronto la dice lunga sulle condizioni detentive nelle carceri italiane. Ma vi è un altro dato statistico che dice con ancora più eloquenza del modo inaccettabile in cui l’Italia tratta i suoi detenuti: nonostante i recenti, drammatici casi di suicidi causati o favoriti dalla crisi economica, restiamo uno dei Paesi europei dove meno persone scelgono il gesto estremo e disperato del suicidio, ma se si limita lo sguardo all’universo carcerario siamo invece il il Paese dove ci si suicida di più.

Di fronte a una situazione così, la cui prima causa è nel sovraffollamento delle strutture carcerarie – quasi 70mila detenuti in luoghi che ne dovrebbero ospitare poco più della metà  -, la prima condizione perché in Italia si possa parlare di vera giustizia, per dare senso al principio scritto in Costituzione che afferma la funzione riabilitativa della pena, è una immediata e drastica riduzione del numero delle persone detenute, anche attraverso lo strumento dell’amnistia. Perché a una grave emergenza sociale, che provoca così tanti morti, occorre rispondere con misure d’emergenza. In tanti ripetono che l’amnistia farebbe crescere il numero dei reati, ma questo è un luogo comune del tutto infondato come dimostra l’esiguo numero di recidive che si è registrato a seguito dell’ultimo indulto.

Certo l’amnistia non basta, occorre contemporaneamente cambiare due tra le leggi più odiose che ci ha lasciato in eredità  il ventennio berlusconiano: la Bossi-Fini e le altre norme sull’immigrazione irregolare, per le quali le nostre carceri sono affollate anche da chi ha come unica colpa quella di essere venuto in Italia senza permesso di soggiorno; la Fini-Giovanardi, frutto di un approccio ideologico e punitivo al problema delle tossicodipendenze, che colpisce con il carcere anche tanti che avrebbero bisogno di “cura” e non di “pena”.

Nelle carceri italiane vi sono troppi detenuti e troppo pochi agenti, costretti a lavorare in condizioni assai dure. Contro questa vergogna si battono  da anni soprattutto i radicali, che ieri, 25 aprile, hanno tenuto a Roma una marcia per la giustizia, l’amnistia, la libertà  alla quale chi scrive ha scelto di aderire. La data scelta per questa bella iniziativa non è ovviamente casuale: gli stessi valori di umanità , di civiltà  per i quali 70 anni fa i partigiani diedero il proprio sangue e offrirono il loro coraggio, sono negati e calpestati se si condanna alla disperazione del suicidio chi è stato privato della libertà  per la sicurezza di tutti.

 

Roberto Della Seta

Francesco Ferrante

 

Rinnovabili: modificare Decreti, si rischia effetto “Tafazzi”

“Si rischia di spendere soldi ma di uccidere un intero settore”.
 
“Appoggiamo e condividiamo le principali proposte che vengono dalle associazioni che si sono riunite negli ‘Stati generali delle rinnovabili e dell’efficienza energetica’.
Per questo chiediamo che i decreti sulle rinnovabili in sede di Conferenza Stato – Regioni vengano modificati, perché allo stato attuale sono inadeguati al raggiungimento degli stessi obiettivi che il governo si è dato da oggi al 2020”.
Lo dice il senatore Francesco Ferrante, responsabile per il Pd delle politiche relative ai cambiamenti climatici.
 “Sosterremo – continua Ferrante –  l’impegno delle regioni nel confronto con il governo volto a cambiare i decreti e permettere così che gli obiettivi che lo stesso governo ha dato alle regioni con il decreto ‘burden sharing’ siano davvero conseguibili.
C’è molto da lavorare: dalla necessità  di emanare urgentemente il decreto sulle rinnovabili termiche che si attende dal settembre scorso e che aiuterebbe molto nell’efficienza energetica, alla proposta di abbandonare il sistema dei registri, introducendo invece un meccanismo di riduzione della tariffa che si autoregola in funzione del volume di installazioni, che otterrebbe  lo stesso risultato con strumenti di mercato e non con un approccio dirigista. Occorre poi  aumentare i plafond per le rinnovabili non fotovoltaiche,  a partire dal biogas che è pesantemente penalizzato, e bisogna prevedere le aste solo dai 10 MW in su. Va abrogata l’ingiusta norma che posticipa il pagamento dei certificati verdi, una misura retroattiva che mette a rischio la stessa sopravvivenza delle aziende, mentre vanno ripristinati i premi per il fotovoltaico più innovativo e per lo smaltimento dell’amianto. Obiettivo sul fotovoltaico in particolare  è quello di arrivare a una spesa massima di 7 miliardi, come d’altronde previsto dal decreto Romani, e non fermarsi a 6,5 come proposto dal governo. La mancanza di questi 500 milioni – conclude Ferrante –  avrebbe l’effetto ‘tafazziano’ di spendere tanti soldi, ma di uccidere un settore senza dargli la possibilità  di arrivare alla grid party e camminare con le proprie gambe”.

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