Intervento in aula sul decreto Ilva
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione generale.
àˆ iscritto a parlare il senatore Ferrante. Ne ha facoltà .
FERRANTE (PD). Signor Presidente, colleghi, è del tutto evidente che quello al nostro esame è solo un primo passo per affrontare la vicenda così grave e complicata che hanno descritto anche adesso i colleghi relatori. Molto si dovrà ancora fare perché questo decreto riguarda il risanamento ambientale dei quartieri e dell’area di Taranto ma bisognerà intervenire anche sul sito industriale.
Questo decreto, che oggi approveremo convintamente come Partito Democratico poiché crediamo vada nella giusta direzione, lo discutiamo, dobbiamo dircelo chiaramente colleghi, in seguito all’intervento della magistratura. Sono state fatte in questi giorni molte polemiche e continuano a esserci ma credo occorra fare un’operazione di verità . Se la magistratura di quel territorio è imputabile di qualcosa è eventualmente del ritardo con cui è intervenuta, perché profili di illegittimità nell’operato della proprietà , prima pubblica e poi privata, che hanno messo in causa la stessa salute dei lavoratori, dei cittadini e comunque l’ambiente di quel territorio, ahimè, in quell’area sono presenti da tanto tempo. àˆ sempre antipatico parlare in sé ma in questo caso lo faccio solo per un’esperienza diretta che forse aiuta il mio ragionamento.
Da militante ambientalista e da direttore di Legambiente ho frequentato numerose volte quei posti negli ultimi vent’anni. Già all’inizio degli anni Novanta, colleghi, la situazione del Rione Tamburi e del resto della città era tale da richiedere un intervento drastico di risanamento ambientale, quello che oggi ci apprestiamo a fare, seppur con primi passi, con questo nostro decreto. La gente lì soffriva e la salute era a repentaglio ormai da anni e lo era innanzi tutto per come si era comportata la proprietà pubblica. àˆ bene ricordare che i primi a danneggiare quel territorio, e a non aver avuto con esso il rapporto corretto che invece si riscontra in altre parti del mondo quando si ha a che fare con un’industria così impattante come la siderurgia, sono stati i proprietari pubblici; dopo è venuto il privato, che si è comportato, se possibile, ancora peggio. Sono stati ricordati gli interventi che la proprietà di questa azienda ha compiuto, da quelli antisindacali, quando confinò in una palazzina, senza farli lavorare, alcuni operai che non rispettavano i propri ordini, a quelli con cui mostrava disprezzo in qualsiasi maniera per un rapporto sano con il territorio e la comunità che la ospitava.
Bene, adesso si volta pagina grazie al fatto, dobbiamo dirlo, che la magistratura è finalmente intervenuta. Ora si tratta però di dimostrare anche in questo Paese che produrre acciaio si può fare e ciò deve avvenire compatibilmente con la tutela dell’ambiente e della salute; accade in Germania, il Paese con cui sempre ci dobbiamo parametrare quando parliamo di manifattura, perché è il Paese più manifatturiero d’Europa, ma accade perfino in quei Paesi che siamo abituati a chiamare in via di sviluppo e che forse ormai è meglio chiamare emergenti, penso alla Corea. Invito i colleghi che non ne abbiano avuto occasione a vedere come è costruita l’acciaieria della Hyundai in Corea e come vengono coperti quei parchi minerari che sono tra le fonti peggiori di inquinamento oggi a Taranto e in merito ai quali è intervenuta la magistratura ed è in discussione oggi un intervento molto pesante poiché si ritiene che quello presentato dall’azienda non sia sufficiente. Ecco, le modalità con cui la Hyundai ha coperto i propri parchi minerari in Corea costituiscono certamente un caso di best practice da seguire. Non solo si può, ma quello che è in gioco in queste settimane a Taranto sta a dimostrare che produrre acciaio in maniera compatibile con l’ambiente e con la salute è l’unica maniera in cui possiamo mantenere quella produzione nel nostro Paese.
Se siamo d’accordo sul fatto che la vocazione manufatturiera dell’Italia non è disponibile (è ciò su cui dobbiamo lavorare non soltanto nel momento dell’emergenza ma per garantire la ripresa e l’occupazione nel prossimo futuro e pensare a uno sviluppo futuro), tale vocazione non può più prescindere dalla compatibilità con l’ambiente e con la salute.
In queste settimane è in via di definizione l’autorizzazione integrata ambientale, che sarà lo strumento attraverso il quale si imporrà finalmente all’azienda di rispettare le condizioni con cui si può davvero continuare a produrre. àˆ una strada ineludibile. Se non dimostriamo ciò, non solo chiuderà l’Ilva di Taranto (con il disastro che questo comporta per la città e per il suo tessuto sociale), ma rischiamo di innescare un effetto slavina: sono di questi giorni le notizie riguardanti un altro sito siderurgico molto importante per questo Paese, un sito storico per il suo insediamento, quello di Terni. Colgo l’occasione per segnalare al Governo l’importanza di seguire la questione fin da subito, senza aspettare che si arrivi all’emergenza prima di intervenire, di seguire quel problema industriale in maniera tale da assicurare un futuro a quel polo che, senza tale industria, sarebbe devastato.
Oggi con questo decreto, che pure si limita ad affrontare la questione del risanamento ambientale del territorio, apriamo una strada – questo è il nostro auspicio – per poter finalmente parlare di produzione industriale in questo Paese, non più mettendo in contrapposizione, come se fossimo ancora a metà del secolo scorso, ambiente e lavoro, salute e occupazione, ma capendo che mettere insieme la tutela della salute e la valorizzazione dell’ambiente è l’unica maniera per garantire un futuro industriale a quel territorio e al nostro Paese. (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni).