Comunicati

Green economy ricetta per futuro

“Nella strategia energetica nazionale sì alle rinnovabili ed efficienza, no a trivellazioni e carbone”

“Gli Stati Generali sono l’occasione per mettere sul piatto ricette per affrontare la crisi dell’Italia con un nuovo sviluppo in chiave ‘green’ e anche per evidenziare, ad una certa classe dirigente quantomeno disattenta, che c’è una parte dell’economia italiana che investendo in  rinnovabili, efficienza energetica, chimica verde e materie prime riciclate non solo sta resistendo meglio alla recessione, ma in tanti casi sta crescendo. Oggi il ministro dell’ambiente Clini ha sottolineato questa grande opportunità  per l’Italia, attendiamo il pacchetto di misure a sostegno della green economy prima che finisca la legislatura”. Lo dice il senatore Francesco Ferrante, responsabile energia e politiche relative ai cambiamenti climatici del Pd, intervenuto oggi a Rimini agli Stati Generali della Green Economy nell’ambito di Ecomondo.
“Questa parte dell’economia italiana – continua Ferrante –  è leader o ai primissimi posti nel mondo, nel solco della migliore tradizione imprenditoriale del nostro Paese.
Stupisce dunque che ci sia tanta parte della classe dirigente inconsapevole del bivio decisivo che si prospetta con il tanto atteso piano della strategia energetica nazionale: depotenziarla non dotandola di mezzi e risorse,  sarebbe un’occasione persa e irripetibile. Altrettanto grave sarebbe infarcirla con ricette da Italia anni 50, a partire dall’assurdo intento di dare il via libera a trivellazioni selvagge e di continuare a puntare sul carbone, tenendo in vita le vecchie ciminiere o pensando a improbabili riconversioni.
I cittadini italiani hanno saggiamente bocciato l’opzione nucleare, i decisori della politica energetica nazionale si dimostrino all’altezza e propongano soluzioni che proiettino il Paese al 2020 e oltre con certezze e basi solide, puntando senza tentennamenti su rinnovabili ed efficienza, e sul gas come combustibile di transizione verso una società  low carbon”.

La Green economy ci salverà 

Da alcuni anni Symbola, la Fondazione per le qualità  italiane creata e presieduta da Ermete Realacci, persegue con tenacia un obiettivo: dimostrare dati alla mano che lItalia per continuare a produrre benessere per i suoi cittadini e a competere nel mondo deve fare lItalia, cioè puntare con più forza su quella soft economy – fatta di creatività  imprenditoriale, forti legami territoriali, cura della qualità  sociale che è sempre stata il suo marchio di fabbrica. Insomma l’esatto contrario della via indicata da Marchionne. Scegliere invece la “soft economy” è oggi la via maestra che può consentirci di uscire prima e meglio dalla drammatica crisi economica di questi anni. Ed è una via che nel secolo appena iniziato intreccia strettamente unaltra scelta strategica: investire sullinnovazione ecologica, sulle tecnologie e sui prodotti verdi, terreni dincontro virtuoso tra la necessità  di rispondere ai problemi ambientali del nostro tempo  – linquinamento, leccessivo consumo di risorse naturali, i cambiamenti climatici e la possibilità  di fare impresa in modo sempre più conveniente, efficiente, competitivo.
Nasce da qui lidea della green Italy, al centro dellultimo Rapporto di Symbola e Unioncamere presentato in questi giorni. E unItalia, questa verde, già  in campo. Abitata, innanzitutto, da migliaia di imprese – delle energie rinnovabili, dell’efficienza energetica, della chimica verde, delle materie prime riciclate, del turismo dei parchi e della natura – che non solo stanno resistendo meglio alla recessione, ma in tanti casi stanno crescendo. Così, siamo diventati il secondo Paese in Europa e il quarto nel mondo per energia solare fotovoltaica installata; siamo tra i primi – davanti a giganti come Stati Uniti e Giappone – per investimenti in efficienza energetica; abbiamo visto affermarsi “campioni” mondiali della chimica verde come Novamont, leader assoluta nella produzione di plastiche biodegradabili.
Ma l’Italia verde è decisamente più larga dei confini della “green economy”. Riguarda da vicino anche molti comparti delleconomia tradizionale – dalla meccanica allelettronica, dalla farmaceutica  alla gomma e alla carta impegnati a riconvertire processi e prodotti; e soprattutto comprende lanima, il cuore della manifattura made in Italy: campioni piccoli e grandi che che miscelando qualità  ambientale, innovazione, un solido legame con la propria constituency territoriale, stanno trovando malgrado la crisi la loro via verso il futuro.

Questo scenario trova una conferma vistosa nei numeri del Rapporto Symbola-Unioncamere: quasi un quarto di tutte le imprese industriali e terziarie italiane tra il 2009 e il 2012 ha investito in tecnologie e prodotti “green”, e le imprese della green Italy mostrano una propensione all’export quasi doppia rispetto a tutte le altre (il 37% è presente sui mercati esteri, contro il 22% delle altre). Anche sul fronte delloccupazione la green Italy sembra possedere una marcia in più:  quasi il 40% delle assunzioni complessive (lovoro stagionale incluso) programmate dalle imprese italiane dellindustria e dei servizi per lanno in corso, si deve ad aziende impegnate in ecoinvestimenti. Da sottolineare, ancora, un ulteriore dato che emerge dal Rapporto: la percentuale delle imprese green è sostanzialmente analoga da nord da sud, a riprova che lItalia verde è un orizzonte che può dare gambe più forti e testa più lucida al nostro Mezzogiorno.

Tutto bene, allora? Basta aspettare e la “green Italy” ci tirerà  fuori dai guai e dalle secche che oggi sembrano paralizzarci? Non è così. Perché l’Italia verde non sia più nicchia, per quanto grande e accogliente, ma diventi sistema, serve un impegno forte da parte della politica e in generale delle classi dirigenti. Finora questo impegno non c’è stato, non c’è stato nel decennio berlusconiano ma nemmeno, va detto, nell’anno e più di governo Monti. La vitalità  e lintelligenza dellItalia green hanno bisogno, per segnare la via di una possibile rinascita italiana, di una politica che onori molto di più e molto meglio la sua missione: sostenendo leconomia della qualità  e dellinnovazione invece di quella dei sussidi e dei monopoli; ritrovando la via delletica pubblica; colpendo al cuore le piaghe dellillegalità  e di una crescente, insopportabile e antieconomica distanza tra ricchi e poveri; rivoluzionando nel segno della manutenzione e dell’ambiente la politica delle infrastrutture;  contrastando con molta più forza fenomeni crescenti di degrado ambientale – dal dissesto idrogeologico, all’inquinamento delle città , alle conseguenze dei cambiamenti climatici in atto – che determinano altissimi costi umani, sociali, economici.

Questa è una sfida in particolare per il Pd e per il centrosinistra, chiamati dalla loro ambizione progressista a dare voce e risposte alla voglia di cambiamento, alla sofferta e ogni tanto disperata domanda di futuro che sale nel Paese, sale da grandi e indifferenziati movimenti dopinione (cosaltro è lantipolitica se non una domanda selvaggia e disperata di una politica diversa?) e sale da settori importanti e promettenti delleconomia, del mondo degli interessi. Per vincerla, questa sfida, dell’Italia verde è impossibile fare  a meno. In essa vive infatti uninedita alleanza sociale per un vero, profondo rinnovamento  che aiuti lItalia a fare come sa e meglio che può il suo mestiere. Quel mestiere che è sempre lo stesso magistralmente sintetizzato un po di tempo fa da Carlo Maria Cipolla: fabbricare allombra dei campanili cose che piacciono al mondo. 
 

ROBERTO DELLA SETA
FRANCESCO FERRANTE

Intervento in aula su riforma strumento militare

PRESIDENTE. àˆ iscritto a parlare il senatore Ferrante. Ne ha facoltà .

 

FERRANTE (PD). Signor Presidente, onorevoli colleghi, Ministro, intervengo su un punto solo su cui si consuma però un dissenso netto con la posizione del Governo. Riguarda l’acquisto degli F-35 che vorrei inquadrare in un premessa molto rapida sul giudizio da dare a questo provvedimento in esame. Ero intervenuto durante la discussione in Commissione ritenendo che il provvedimento non modificasse, anzi fosse di sostanziale continuità  con l’attuale modello di difesa che quindi avrebbe richiesto un intervento profondo di modifica.

Credo che le modifiche apportate in Commissione, spiegate molto bene dal relatore, senatore Scanu, abbiano reso un servizio importante al provvedimento e lo abbiano modificato in positivo, come d’altronde riconoscono persino le associazioni pacifiste, che hanno sempre guardato con grande diffidenza allo strumento della delega e che tuttora si dichiarano insoddisfatte del compromesso raggiunto, pur riconoscendo il passo avanti fatto.

Anch’io credo che siano state apportate modifiche sostanziali al provvedimento, ma resta ancora un vulnus, su cui abbiamo già  avuto modo di discutere in passato, seppur non direttamente. Colgo in proposito l’occasione di farlo ora, ringraziando il Ministro per la sua presenza in Aula. Onestamente non si riesce a capire perché si insiste sull’acquisto di apparecchi e di aerei militari così costosi, peraltro in una fase di spending review così dura come quella con cui siamo tutti costretti a fare i conti (letteralmente “i conti”). I provvedimenti del Governo, che in Parlamento dobbiamo e vogliamo approvare per tenere in ordine i conti dello Stato, sono molto spesso dolorosi tagli ai servizi, a cui in maniera indiretta devono provvedere gli enti locali.

A fronte di tutto ciò, continuare a insistere su un’arma che ha ricevuto molte critiche e della quale ultimamente, secondo le fonti dello stesso Ministero della difesa, è aumentato ulteriormente il costo per singolo apparecchio (se non sbaglio arriviamo a 100 milioni di euro per ogni singolo apparecchio) a me sembra – devo usare la prima persona singolare, perché questo non è un argomento condiviso dall’intero Gruppo, anche se so essere condiviso da molti colleghi – un accanimento degno di migliore causa.

àˆ vero che nel corso degli scorsi mesi si è proceduto a una riduzione dell’impegno di spesa, perché si è deciso di acquistarne di meno, ma ritengo (e insisto) che, a fronte di quei tagli che tutti noi siamo continuamente chiamati ad approvare (ne dovremo approvare altri con la legge di stabilità  attualmente in discussione alla Camera) e alla vigilia di un aumento delle tasse, che noi tutti abbiamo approvato (quello disposto attraverso l’IMU, che colpirà  milioni di cittadini italiani), non sia opportuno insistere sull’acquisto di un’arma che mi sembra €‘ per tornare al discorso iniziale – poco consona alla revisione dello strumento militare che noi dovremmo fare, che vada in una direzione diversa da quella che aveva previsto l’acquisto di alcune decine di F-35.

Onestamente credo che oggi sarebbe un segnale molto più positivo per i cittadini, in considerazione delle difficoltà  cui andiamo incontro in queste settimane, se il Governo, anche autonomamente, decidesse di recedere da questo acquisto e da questa spesa, a mio parere improvvida, e di destinare quelle risorse, che sono impegnate per molti dei prossimi anni, come lei sa, signor Ministro, ad altre attività  più utili per i cittadini e per il Paese. (Applausi dal Gruppo PD).

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