Articoli usciti sul quotidiano “Europa”

Partito Democratico

ARTICOLO USCITO SU IL CORRIERE DELL’UMBRIA

In molti, prima ad agosto, ma poi ancora in queste settimane in cui sta riprendendo a pieno regime l’attività  politica, si sono chiesti che fine avesse fatto il Partito Democratico. Alcuni ne hanno parlato come una specie di araba fenice che forse mai si farà  concreta realtà  e Roberto Segatori, in un articolo dedicato a questo argomento qualche giorno fa sul Corriere dell’Umbria, lo definisce uno spettro, soffermandosi sulle ragioni per cui anche in questa regione il nuovo soggetto politico non vede la luce. Credo che le cose non stiano così e che invece, nonostante alcune difficoltà  oggettive – la legge elettorale – e soggettive – le resistenze delle strutture dei due partiti che gli daranno vita – la costruzione di quella realtà  e di quella forma di aggregazione politica che davvero sarà  il fenomeno nuovo e direi rivoluzionario nella politica italiana è in piena marcia e che lo è anche in Umbria Ha ragione Segatori a definire sciagurata la legge elettorale voluta da Berlusconi (e il centro sinistra deve mantenere le promesse fatte e cambiarla al più presto) ma come non vedere che nonostante quella legge alle scorse elezioni politiche alla Camera il soggetto Ulivo c’era sulle schede e che quel soggetto ha raccolto più voti di Ds e Margherita da soli? Il 9 aprile quel simbolo di fronte alla più importante prova politica si dimostrò più capace dei singoli partiti nell’attrarre il voto dei cittadini. Anche quelli che al Senato magari votavano alla sua sinistra (si veda il dato di Rifondazione Comunista) oppure esprimevano posizioni più “moderate” (votando Udc), poi ne subivano il fascino, l’attrazione, quando sulla scheda trovavano il modo di premiare un soggetto che chiaramente si candida a rappresentare il moderno riformismo italiano. Quel risultato è un punto di non ritorno: il Partito Democratico è l’unica risposta possibile alla richiesta di riforme che viene dal Paese e che vuole tenere insieme le spinte alla modernizzazione con la sacrosanta tutela della coesione sociale e con l’aspirazione anche a una maggiore giustizia sociale e alla tutela dell’ambiente. Da allora infatti, almeno nelle istituzioni, c’è stata un’accelerazione vera nella costruzione del nuovo soggetto. Personalmente nella mia esperienza di capogruppo dell’Ulivo al Senato in Commissione Ambiente mi è impossibile distinguere, nei contenuti, le posizioni dei miei colleghi provenienti dai Ds da quelli della Margherita. Più in generale è proprio la storia di questi mesi, dei gruppi unici alla Camera e al Senato, la prova della necessità  dell’aggregazione e dei passi avanti che si sono fatti in quella direzione. Tutto bene quindi? Sarebbe miope non vedere i ritardi e le sollecitazioni che vengono da vari fronti della cosiddetta società  civile cui invece la risposta è ancora troppo timida e incerta. Ma è fisiologica una certa resistenza da parte delle strutture organizzate che tendono a riprodurre se stesse e a tutelarsi, a volte, chiudendosi al nuovo. Una tentazione tanto più forte quanto più solida è la struttura e quanto più radicato sul territorio è il partito. Qui la scommessa da giocare è che la costruzione del nuovo soggetto non venga affidata solo ai due partiti esistenti ma che dalla società  arrivino nuove forze, persone reali in carne ed ossa che vogliano partecipare a questo nuovo inizio, che magari la smettano di lamentarsi dei ritardi e che invece vogliano contribuire con idee e pratiche politiche a questa opera di costruzione. I partiti dovranno fare uno sforzo di apertura e di ascolto enorme. Mi pare proprio che il Comitato Regionale della Margherita che si è riunito venerdì scorso a Campello abbia dato una decisa accelerazione in questa direzione. Noi ci stiamo. Francesco Ferrante

Io, pacifista, voterò sì

Articolo uscito sul quotidiano “Europa”

Io, pacifista, e fiero di esserlo voto sì al rifinanziamento della missione militare in Afghanistan. E lo faccio senza tentennamenti e tormenti. Ero contrario a quella guerra e, insieme alla mia associazione – Legambiente – e a tanti altri, scendemmo in piazza per manifestare il nostro dissenso.

Penso oggi come allora che non è con la guerra che si risolvono i problemi: nessuno, nemmeno quello drammatico del terrorismo. Ricordo che dopo l’11 settembre, per un breve periodo sembrò che il mondo volesse fermarsi a riflettere e a capire cosa l’aveva condotto a quella tragedia. Dicemmo che l’attentato alle Torri Gemelle aveva forse il “lugubre merito” di imporre a tutti una seria riflessione sulle cause del terrorismo e che molto aveva a che fare con la questione della giustizia sociale, della povertà , della democrazia. Il mondo aveva bisogno di “interdipendenza”, questo si scriveva sui giornali, questo dicevano molti leader, non solo il movimento pacifista che in quelle settimane cresceva e conquistava tanti alle sue ragioni. Quella breve stagione di consapevolezza, a mio parere, fu bruscamente interrotta, prima ancora che dalla guerra in Irak, proprio dalla decisione americana di intervenire in Afghanistan con l’obiettivo di colpire i talebani complici di Al Quaeda. Quell’obiettivo è stato raggiunto, ma il terrorismo continua, anzi colpisce sempre più diffusamente, la situazione dell’area è peggiorata e anche l’Afghanistan non è affatto pacificato. Fare la guerra è facilissimo, costruire la pace è difficilissimo. Credo che solo ricordando questi presupposti si possa guardare alla situazione con realismo e senso di responsabilità . Ma di fronte a tutto ciò, la domanda da farsi è se sia giusto un “disimpegno” italiano oggi, non cosa si sarebbe dovuto fare cinque anni fa. Se è giusto andarsene e lasciare quel popolo in balia di una nuova guerra civile o piuttosto rimanere per cercare di contribuire al rafforzamento di una democrazia che finora ha emesso solo vagiti. Il miglioramento della condizione femminile non è certo un dato acquisito e purtroppo riguarda solo una porzione piccola di quel Paese, ma verrebbe travolto in assenza di un controllo anche militare. E infatti non credo sia un caso che nei documenti che ci arrivano dalle donne afgane, il Rawa per esempio, pieni di critiche feroci relativamente ai comportamenti delle forze militari Usa, mai si chiede il ritiro delle nostre truppe. Certo la natura della missione deve cambiare radicalmente. Non solo dobbiamo uscire da quella americana Enduring Feedom che continua ad essere condotta in modo irresponsabile, ma dobbiamo adoperarci in tutte le sedi perché il mandato della missione Isaf voluta dall’Onu cui continueremo a partecipare e sulle sue regole di ingaggio sia tale da assicurare che la legittima presenza multilaterale di stabilizzazione e sicurezza rimanga tale e non si trasformi in alcun caso in operazione di guerra. E dobbiamo smetterla, come recentemente hanno richiesto tutte le Ong italiane, di confondere le operazioni di cooperazione internazionale, da sostenere e rafforzare, con quelle militari che sono tutt’altra cosa. àˆ questa confusione che ha portato le ong a rifiutare di operare contigue al Prt italiano nella provincia di Herat, mentre continuano ad essere attive in altre province. Insomma il dibattito di questi giorni si rivelerà  utile se si concluderà  non solo con l’indispensabile decisione di non abbandonare l’Afghanistan, ma se servirà  a un definitivo chiarimento circa la distinzione tra operazioni militari di guerra – vietate dalla nostra Costituzione, ma anche dal diritto internazionale – e autentiche operazione di polizia internazionale (militare e civile). E se, come chiediamo in un recente appello della Tavola della Pace, servirà  a trovare un nuovo slancio per chiedere la riforma e la democratizzazione dell’Onu, che è la vera sfida per costruire un mondo con meno guerre. Infine, in questi giorni di guerra in Libano, questo nostro “sì” alla missione si deve accompagnare ad altri tre “sì”: sì all’immediato cessate il fuoco, sì ad una forza di pace dell’Unione Europea, sì al negoziato politico con tutti.

Ogm, quello che Bonino non dice

Il ministro Bonino si è risentita perché in un articolo su questo giornale avevo scritto che la stessa aveva detto qualche «parola in libertà », senza tener conto del programma di governo di cui pure lei fa parte, sul tema degli organismi geneticamente modificati. 

Nel merito, nella sua replica rivendica le sue prerogative di ministro per le politiche comunitarie e cita alcune decisioni «europee » in merito. Elude però il punto politico essenziale cioè che la posizione dell’Italia in questi anni, quella scritta nel programma dell’Unione, e quella ribadita dal ministro competente, sostanzialmente contraria all’introduzione degli ogm in agricoltura, non è una scelta ideologica ed antiscientifica, ma squisitamente politica per sostenere e promuovere la nostra agricoltura di qualità , che incontra il favore dei consumatori europei a differenza dei prodotti transgenici.Per quanto riguarda poi il riferimento alla normativa comunitaria che consente la coltivazione e commercializzazione di prodotti transgenici, Bonino non tiene affatto in considerazione i forti problemi politici che Commissione e Consiglio stanno tentando di risolvere rispetto alla procedura di autorizzazione.In sintesi: dall’aprile 2004 (quando è stata superata la “moratoria di fatto) non è stata concessa ancora alcuna autorizzazione per la coltivazione; la principale ragione deriva dai forti contrasti tra l’Agenzia europea sicurezza alimentare (la cui indipendenza scientifica rispetto alle multinazionali biotech è dubbia) e gli esperti scientifici nazionali che hanno contestato all’Aesa in particolare la mancata valutazione degli «effetti cumulativi a lungo termine» sulla salute umana e l’ambiente, come previsto appunto dall’allegato II della direttiva 2001/18.Per quanto riguarda la coesistenza, va sottolineato che si tratta di un problema ancora tutto da risolvere a livello comunitario. Per il momento la palla è ritornata al livello nazionale. Infatti nelle Conclusioni del Consiglio agricoltura dello scorso 22 maggio si è nei fatti constatata l’impossibilità  di raggiungere un accordo tra i 25 governi, per cui semplicemente si rimanda all’applicazione delle linee guida comunitarie attraverso leggi nazionali che consentano agli stati membri la necessaria flessibilità » per venire incontro ai «particolari bisogni» delle singole regioni (una possibile porta aperta all’istituzione di zone ogm-free che per Bonino invece non sarebbero ammissibili).Questo per quanto riguarda la questione di merito (come si vede il neoministro dovrebbe chiedere informazioni più precise ai suoi uffici), ma il punto centrale del mio articolo era un altro: la differenza nell’attenzione dei media sulle esternazioni dei ministri.Pagine e pagine sul “conflitto” tra cattolici e laici (visto che quello è il modo più ghiotto di mettere i bastoni tra le ruote al Partito democratico), prime pagine interamente dedicate a un qualsiasi starnuto (a volte, per la verità , davvero insopportabili) che proviene dall’ala radicale dello schieramento, nulla quaestio se invece l’esternazione pur contraria al programma condiviso è favorevole a un qualche interesse ben insediato.La controprova la fornisce proprio Bonino che, nello stesso giorno del suo articolo su Europa, concede un’intervista al Sole 24 Ore per sostenere la stupefacente tesi che non è giusto sospendere l’entrata in vigore del famigerato codice ambientale. Stupefacente, perché contro quella legge si sono battuti l’intero schieramento, allora all’opposizione e oggi al governo e tutte le forze sociali interessate (tranne una parte di Confindustria che anche oggi continua nella sua operazione di lobbying), ma stupefacente soprattutto perché sostiene che quel testo ci aiuterebbe a superare le tante infrazioni sui temi ambientali che abbiamo accumulato in questi anni nei confronti delle direttive europee. àˆvero l’esatto contrario, come potrà  spiegare al ministro qualsiasi funzionario, membro di Commissione o Europarlamentare: quel testo pasticciato aumenterà  le nostre infrazioni.A fronte di questa sorprendente intervista nessuno scandalo (visto che appunto era favorevole a quella piccola ma ininfluente parte di Confindustria) e la storia dei due pesi e delle due misure va avanti. Alla prossima.

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