Articoli usciti sul quotidiano “Europa”

Tra borghi antichi e sciacchetrà  – lettera a Il Manifesto

Cari amici de Il Manifesto, la lettura incrociata – lettura che voi stessi invitare a fare nell’occhiello de secondo articolo – dei pezzi usciti venerdì 5 gennaio su Monticchiello e sabato 6 sul Parco delle Cinque terre dipingono un pezzo di realtà  che francamente mi riesce difficile riconoscere. Conoscendo bene quelle due zone e le storie relative permettetemi di provare a spiegare perché a mio parere leggete male ciò che lì sta succedendo. Secondo Stefano Chiarini a Monticchiello un professore (Asor Rosa) con la complicità  delle associazioni ambientaliste (tutte) ha scatenato un’ingiustificata campagna mediatica contro Regione Toscana e amministrazioni locali della Val d’Orcia su un intervento alle porte di Montichiello tutto sommato poco impattante e che sarebbe invece necessario per dare risposta alla richiesta di case della popolazione locale. Ciò che si tace nell’articolo è che però la supposta pressione demografica che giustificherebbe tale espansione edilizia è smentita (ovviamente) dagli stessi documenti programmatori del Comune. Al contrario quell’intervento è figlio di un’impostazione – cemento, brutto cemento per seconde case – che tanti scempi ha causato in tutta Italia, specie al Sud dove ciò è avvenuto fuori da ogni regola e con diffuso abusivismo, ma anche al centro e al nord dove molto spesso si sono fatti danni “legalizzati”. Anche nella splendida Val d’Orcia e nella meglio amministrata Toscana  (anche se mi pare eccessivo definire la Regione che si batte con forza per la realizzazione dell’inutile autostrada tirrenica come un modello “non solo in Italia”) quella “cultura” urbanistica ha colpito: basta andare in giro per quelle splendide lande e dare un’occhiata anche alle espansioni che negli scorsi decenni sono cresciute attorno ai borghi antichi. Oggi finalmente qualcuno riesce a  mettere un stop, e la protesta degli ambientalisti ottiene che il Ministro Rutelli ponga attenzione alla vicenda a e insieme alle amministrazioni locali provi a mitigare l’impatto di una scelta rovinosa e sbagliata qualche anno fa. Credo che chi si batte per cambiare questo paese e contro gli interessi dei pochi (costruttori) e a favore dell’interesse generale dovrebbe essere felice di questo processo e non criticarlo. Invece Alessandra Fava il giorno dopo dipinge la situazione del Parco delle Cinque Terre come un luogo dove la democrazia sarebbe addirittura sospesa – da un  presidente-faraone – e dove i “dissidenti” avrebbero persino paura di incontrarsi al bar. Addirittura! Con tutta evidenza non è così e anzi l’esperienza del Parco nato nel 1999, innanzitutto grazie alla passione di chi ci lavora, è un modello positivo che andrebbe approfondito, quello sì che meriterebbe un’inchiesta, grazie alla quale si sta recuperando un territorio splendido che correva il rischi dell’abbandono completo e dello spopolamento. Oggi la fatica e la passione di quegli uomini e di quelle donne sta recuperando le terrazze, dove si producevano e si tornano a produrre vino e sciacchetrà , che stavano franando anche sotto il peso di quei pini che niente c’entrano con la storia e la biodiversità  di quei luoghi e dei quali alcuni oggi si ergono a strenui difensori. Oggi quasi 200 persone (in un territorio dove ne vivono circa 5000)  lavorano grazie al Parco e alle cooperative che sono nate attorno ad esse. Tutta l’economia della zona ne ha tratto beneficio (e questo tenendo bassi i prezzi di alberghi e ristoranti contro ogni tentazione di turismo d’”elite” e invece promuovendo culture e prodotti locali) e tornano a nascere bambini qui e quindi servono scuole. E’ un successo straordinario non qualcosa di cui lamentarsi. Poi sui singoli progetti e ovviamente legittimo il dibattito. Io continuo a pensare il progetto sul Villaggio Europa sia una riqualificazione importante e che la scuola sia utile e bella realizzata con i criteri della bioarchitettura. Ma anche se sbagliassi su quelle due cose ritengo che è ben più grave non cogliere quanto sia “rivoluzionario” il progetto complessivo del Parco.

Comunque la Val D’Orcia  e le Cinque Terre sono posti talmente splendidi che valgono certamente un viaggio dei lettori de Il Manifesto per verificare quale è la lettura della realtà  più corretta.

 
Francesco Ferrante (Direttore generale Legambiente)

Clima, il governo ora cambi rotta

“Effetto serra fine del mediterraneo. Il turismo abbandonerà  l’Italia”. “Clima. L’allarme dell’Europa. Catastrofe nel Mediterraneo: Italia e Spagna rischiano di più”. I titoli a tutta pagina dei due quotidiani italiani più diffusi domenica 7 gennaio, all’indomani della diffusione dell’ennesimo studio dell’Unione Europea sulle conseguenze dei mutamenti climatici. Per chi, anche dalle pagine di questo giornale, tante volte ha ricordato che i mutamenti climatici non sono più  solamente un rischio ma una drammatica realtà  da affrontare con urgenza e che nella battaglia per la riduzione delle emissioni di gas di serra si costruisce il futuro di tutti noi, la prima reazione è di sconforto. Sconforto per la consapevolezza che appunto si tratta di un “ennesimo” rapporto. Quante volte bisognerà  ripeterlo?! How many times …? Gli scienziati di tutti il mondo riuniti nell’organismo Onu dedicato allo studio di questi fenomeni (l’IPCC – International Panel on Climate Changes) sono unanimi nel dirci che persino gli obiettivi fissati dal protocollo di Kyoto (per il nostro Paese una specie di chimera irraggiungibile) sarebbero del tutto insufficienti per affrontare seriamente il problema; il governo britannico poche settimane fa aveva fatto un calcolo spaventoso anche sulle conseguenze economiche e finanziarie; in Italia Legambiente a dicembre aveva pubblicato un rapporto sulle conseguenze già  in atto nel nostro Paese (desertificazione, sconvolgimento della biodiversità  , pericolo di diffusione di malattie tropicali); l’elenco di dossier e  allarmi potrebbe continuare a lungo. Ma la reazione della politica resta drammaticamente al di sotto delle necessità  descritte. Anthony Giddens in un bell’articolo pubblicato da Repubblica sosteneva quanto fosse importante non lasciare agli “ambientalisti” la battaglia per la difesa dell’ambiente. C’era una qualche semplificazione nel suo ragionamento e non si riconoscevano i meriti di chi per primo aveva capito quanto fosse fondamentale per la costruzione del futuro ma anche di una società  e un mondo più giusti la difesa dell’ambiente. Ma l’intellettuale britannico poneva una questione alla quale non possiamo sfuggire: finché la difesa dell’ambiente, e la lotta contro l’aumento dell’effetto serra (la madre di tutte le battaglie) viene lasciata a piccoli partiti politici, come da noi i Verdi, troppo occupati nel difendere la propria sopravvivenza,  e al pur meritorio – a volte straordinario – impegno della associazioni ambientaliste non faremo concreto passi avanti. Ed è per questo che ritengo impertante l’iniziativa “Ambientalisti per il Partito Democratico” che abbiamo lanciato a dicembre insieme ad alcuni amici dei Ds, della Margherita, ma anche delle associazioni per far pesare, nel processo di costruzione del nuovo partito, questi temi e anzi per renderli centrali. Ma l’inversione di rotta deve essere immediata. E le domande secche al Governo e al suo Ministro per lo Sviluppo Economico, importante dirigente riformista, sono : come è possibile leggere i dossier, i rapporti, gli allarmi di cui sopra e poi ammettere l’ipotesi di riconvertire nuove centrali di produzione di energia elettrica a carbone, il combustibile maggiormente responsabile dell’aumento dell’effetto serra? Come è possibile presentare all’Unione Europea un Piano nazionale delle Assegnazioni delle emissioni di gas di serra che prevede regali al carbone e complessivamente permessi così alti che probabilmente sarà  bocciato dalla stessa Unione Europea? Come è possibile che nella pur importante legge delega sull’energia preparata da Bersani e attualmente in discussione al Senato ci si ostini a non cambiare in maniera drastica e finalmente efficace i sistemi di incentivazione delle energie rinnovabili che insieme al risparmio energetico sono la risposta più efficace a quegli allarmi? Sì, citando ancora Bob Dylan,  the answer my friend is blowin’ in the wind. Insomma come è possibile pensare che la modernizzazione di questo Paese non passi anche e soprattutto per la trasformazione radicale del modo di produrre e distribuire energia, nel rivoluzionare il modello dei trasporti, nell’investire in tecnologie più pulite, le uniche che ci permetterebbero di rispondere alla sfida dei cambiamenti climatici e che ci darebbero un ruolo nell’economia globalizzata?

FS, prima i pendolari

In questi ultimi giorni molto si parla di ferrovie. Finalmente. Finalmente per due motivi: la qualità  di un Paese si misura molto sui servizi di trasporto offerti ai suoi cittadini e perché solo investendo e potenziando la rete ferroviaria saremo in grado, allo stesso tempo, di modificare in senso ambientalmente sostenibile il sistema di trasporto, come ci costringono a fare i mutamenti climatici in atto, e di realizzare servizi moderni ed efficienti per spostare merci e persone.  Se ne è parlato molto perché i nuovi vertici delle Ferrovie hanno svelato la vera entità  del buco (6,1 miliardi di euro) lasciato in eredità  dalle precedenti gestioni, perché sono stati proposti aumenti tariffari e perché si continuano a leggere le cronache di ordinari disservizi per i pendolari. Per cercare di affrontare un problema così grave, e importante per il nostro futuro, le tre cose vanno tenute insieme. Se è vero l’assunto che per modernizzare  e incivilire il nostro Paese è obbligatorio migliorare lo stato dei trasporti su ferro su tutto il territorio, dai valichi alpini alla Sicilia, ineludibile diventa il nodo delle risorse da destinare allo scopo. In questi giorni siamo alle prese con una Finanziaria di risanamento e quindi forse non molto si poteva fare di più, oltre ad evitare tagli che avrebbero avuto conseguenze disastrose in una situazione così fragile ma mi pare evidente che quando si parla di “fase 2” o comunque di rilancio dell’azione di Governo in senso modernizzante non si potrà  evitare di discutere concretamente su come trovare i fondi necessari alle Ferrovie. Intanto però non è ragionevole contestare gli aumenti del costo dei biglietti proposti, specie perché verrebbero applicati su quei treni – gli Eurostar – dove lo stato dei servizi offerti è accettabile e  verrebbero invece giustamente risparmiati i treni dei pendolari. Il prezzo al Km dei nostri treni è su una media di 3,3 euro mentre è di 7,2 in Germania e di 10,8 in Francia. Inoltre i dati degli aumenti dei trasporti in Italia ci dicono che sono proprio i treni a non averne subiti: lo 0% per quanto riguarda i treni nazionali e solo il 2,21% per quanto riguarda i treni regionali. I trasporti urbani, tanto per fare degli esempi, hanno subito un aumento del 11,4%, i taxi del 8,0%, i trasporti aerei del 44%, i trasporti marittimi del 38,5%. Certo insieme agli aumenti va garantito agli utenti il facile accesso ai rimborsi in caso di ritardi.

E insieme all’aumento delle tariffe va soprattutto chiarito che la  priorità  nel destinare le nuove auspicabili risorse che affluiranno al sistema – oltre al rafforzamento della rete infrastrutturale al Sud come già  previsto in Finanziaria – deve essere la soluzione dei problemi connessi agli assi di penetrazione e insieme ai bypass delle grandi città  con un impegno per un miglioramento straordinario dei treni per i pendolari.  Da questo punto di vista bisognerà  concentrare gli sforzi sulla rete che usano 1.600.000 cittadini che quotidianamente prendono il treno per recarsi a lavoro o a scuola,  nelle università  e che percorrono in media 42 chilometri  principalmente da e verso i grandi centri urbani del Paese, a fronte dei 200.000 che usano treni a lunga percorrenza. Anche per questo era folle la scelta del Governo Berlusconi e della legge obiettivo di pensare solo alle lunghe tratte e di trascurare quella parte della rete ferroviaria le cui mancanze si ripercuotono inevitabilmente sull’esercito di viaggiatori. Le cronache giornaliere ci raccontano di ritardi, problemi di sicurezza (un intero parco rotabile vecchio in media di 20 anni), mancanza di servizi igienici, mancanza di treni, problemi strutturali della rete ferroviaria. Da anni i pendolari in Italia vengono descritti nelle più svariate maniere eroi, matti, frustrati, depressi, spericolati, stressati e ritardatari perenni.

E’ per questo che Legambiente sta organizzando un’iniziativa straordinaria di mobilitazione dei comitati di pendolari che si concluderà  sabato 25 con un’assemblea a Bologna: nuove risorse per rendere degni di un  paese civile i treni per i nostri cittadini pendolari, investimenti per promuovere il trasporto su ferro diminuendo drasticamente il ricorso a quello su gomma per persone e merci. Questo è il futuro su cui impegnarsi.

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